PROLOGO
PROLOGO
Courtney Wallace sentì un familiare bruciore ai polmoni e alle cosce. Rallentò la corsa, poi si fermò, piegata con le mani sulle ginocchia, ansimando mentre riprendeva fiato.
Era una bella sensazione tonificante, un sistema di gran lunga migliore per svegliarsi rispetto ad una tazza di caffè bollente, anche se, da lì a qualche minuto, avrebbe bevuto caffè a colazione. Le restava ancora molto tempo per fare la doccia e mangiare prima di uscire ed andare a lavoro.
Courtney amava il luccichio del primo sole, che filtrava in mezzo agli alberi, e la persistente umidità della rugiada del mattino ancora presente nell’aria. Presto, sarebbe stata una calda giornata di maggio, ma in quel momento, la temperatura era perfetta, specialmente lì nella splendida Belle Terre Nature Preserve.
Apprezzava anche la solitudine. Di rado le era capitato di incontrare un’altra persona che facesse footing lungo quel tragitto, e mai a quell’ora del mattino.
Sebbene fosse soddisfatta da ciò che la circondava, un senso di delusione cominciò a far capolino in lei, mentre teneva sotto controllo la respirazione.
Il suo compagno, Duncan, le aveva promesso per l’ennesima volta di recarsi con lei a fare footing ma, come sempre, si era rifiutato di svegliarsi. Probabilmente, non si sarebbe alzato neppure per l’ora in cui sarebbe arrivata in ufficio, forse non prima del pomeriggio.
Riuscirà mai a venirne fuori? si chiese.
E quando andrà a cercare un altro lavoro?
Accelerò un po’ il passo, sperando di scacciare quei pensieri negativi. Poco dopo cominciò proprio a correre, e quel bruciore tonificante ai polmoni e alle gambe sembrò spazzare via preoccupazione e delusione.
D’improvviso la terra cedette sotto di lei.
Si rese conto di stare cadendo nel vuoto, in un modo che le parve dolorosamente lento.
Infine sbatté a terra con un tonfo brutale.
Il sole era svanito, e i suoi occhi dovettero adattarsi.
Dove mi trovo? si chiese.
Comprese di trovarsi in fondo ad una piccola fossa.
Ma come ci era finita dentro?
Avvertì un dolore terribile alla gamba sinistra.
Guardò in basso, e vide che la caviglia era piegata in un angolo innaturale.
Provò a muovere la gamba. Il dolore si acuì, e lei gridò. Tentò di rimettersi in piedi, ma la gamba cedette sotto di lei. Avvertì il suono delle ossa rotte che sfregavano tra loro. Cominciò a provare nausea, e quasi svenne.
Sapeva di aver bisogno di aiuto, e infilò la mano in tasca per estrarre il cellulare.
Non c’era!
Doveva essere caduto.
Doveva essere da qualche parte. Mosse le mani a tentoni per provare a ritrovarlo.
Ma si rese di conto di essere avviluppata, almeno in parte, da una sorta di coperta ruvida, pesante, coperta di terra e foglie. Non riusciva a trovare il cellulare.
Cominciò a sospettare di essere caduta in una trappola: una fossa su cui era stato steso uno straccio coperto di detriti.
Era uno scherzo di qualcuno?
In quel caso, non era neanche un po’ divertente.
E come ne sarebbe uscita?
Le pareti della fossa erano dritte, prive di punti di appoggio. Impossibilitata persino ad alzarsi, non sarebbe mai riuscita ad uscire di lì da sola.
Ed era improbabile che qualcuno percorresse quel sentiero così presto, forse avrebbe dovuto attendere ore.
Improvvisamente, sentì una voce provenire direttamente da sopra di lei.
“Ehi! Hai avuto un incidente?”
Si accorse di stare respirando più rilassata.
Guardò in alto e vide un uomo. La sua figura era mal illuminata dalla pallida luce dal mattino e non riusciva a vederne il viso.
Eppure, era quasi incredula per una tale fortuna. Dopo tutte le mattine in cui era passata di lì senza incontrare nessuno, proprio quella mattina qualcuno era arrivato, nel momento in cui aveva disperatamente bisogno di aiuto.
“Credo di essermi rotta la caviglia” gridò all’uomo. “E ho perso il mio cellulare.”
“Accidenti” l’uomo esclamò. “Com’è successo?”
Ma che razza di domanda è mai questa? si chiese.
Anche se il tono di quella voce sembrava far intuire un sorriso, Courtney avrebbe voluto vedere il suo volto.
Rispose: “Stavo facendo footing, e … c’era questa fossa, e …”
“E cosa?”
Courtney avvertì l’impazienza crescere in lei, che - in ogni caso - rispose: “Ovviamente ci sono caduta dentro.”
L’uomo restò in silenzio per un istante. Poi aggiunse: “È una grande fossa. Non l’avevi vista?”
Courtney emise un grugnito di esasperazione.
“Ascolta, mi serve soltanto aiuto a venirne fuori, OK?”
Lo sconosciuto scosse la testa.
“Non dovresti venire a fare footing in posti strani di cui non conosci il sentiero.”
“Io conosco questo sentiero!” Courtney gridò.
“Allora come hai fatto a cadere nella fossa?”
Courtney era esterrefatta. Non riusciva a capire se l’uomo fosse un idiota o se stesse giocando con lei.
“Sei il coglione che ha scavato questa fossa?” esplose. “Se è così, non è divertente, dannazione. Fammi uscire di qui!”
Fu scioccata nel rendersi conto che stava piangendo.
“Come?” l’uomo chiese.
Courtney reagì, protendendo il più possibile il suo braccio.
“Così” replicò. “Abbassati e prendi la mia mano, e tirami su.”
“Non credo di riuscire ad allungarmi fin là.”
“Certo che puoi.”
L’uomo scoppiò a ridere. Era una risata piacevole ed amichevole. Nonostante tutto, Courtney avrebbe voluto poter vedere il suo viso.
“Me ne occuperò io” lui rispose.
Si allontanò sparendo dalla scena.
Poco dopo, la donna sentì un rumore di ferraglia e cigolii metallici provenienti da sopra di lei.
Poi un enorme peso cadde sopra di lei.
La donna sussultò e sputò, finché non si rese conto che quell’uomo le aveva appena buttato addosso un mucchio di terra.
Sentì mani e gambe diventare fredde, erano i segnali del panico, comprese.
Non entrare in panico, si disse.
Qualunque cosa stesse accadendo, doveva restare calma.
Sollevando lo sguardo vide che l’uomo reggeva una carriola inclinata sopra di lei. Le poche zolle restanti di terra caddero fuori dalla carriola, finendo dritte sulla sua testa.
“Che cosa stai facendo?” urlò.
“Rilassati” l’altro disse. “Come ho detto, mi occuperò di tutto.”
Riabbassò la carriola. Subito dopo, la donna sentì un leggeri e ripetuti colpi contro una superficie metallica, ancora e ancora.
Certamente l’uomo stava mettendo dell’altra terra nella carriola.
Lei chiuse gli occhi, fece un respiro profondo, aprì la bocca ed emise un lungo e terribile grido.
“Aiuto!”
Poi, sentì una pesante zolla di terra colpirla direttamente al viso. Un po’ di essa le finì in bocca, e lei ingoiò e sputò.
L’uomo, con voce ancora amichevole, disse …
“Temo che dovrai urlare molto più forte di così.”
Poi con un sogghigno, aggiunse …
“Riesco a malapena a sentirti io.”
Lei emise un altro urlo, scioccata dall’intensità della sua stessa voce.
Poi, l’uomo rovesciò dell’altra terra su di lei.
Ma ora non poteva gridare. Aveva la gola piena di terra.
Fu sopraffatta da un inquietante senso di déjà vu. Aveva già vissuto questo genere di esperienza: l’incapacità di scappare dal pericolo o persino di gridare.
Ma quelle esperienze erano state soltanto incubi. E lei si era sempre risvegliata.
Senz’altro, questo era soltanto un altro incubo.
Svegliati, continuava a ripetersi. Svegliati, svegliati, svegliati …
Ma non poteva farlo.
Questo non era un sogno.
Era reale.