III
Angela sedeva, sola, nel salottino attiguo alla sua stanza: leggeva una lettera di Giovanni Severi.
Da tre giorni suo padre dormiva l'eterno sonno nella tomba di famiglia, accanto alla moglie adorata, ai genitori, agli avi.
Angela sentiva ogni giorno più la mancanza dello scomparso: era così abituata a farlo giudice e arbitro della sua vita, a farsi guidare da lui, che ora si sentiva desolatamente sola.
La signora Bernard, trasferitasi al palazzo, era l'espressione stessa della bontà e della gentilezza: non vi era cosa che non tentasse, per confortare, per distrarre la fanciulla dal suo mortale abbattimento. Ma Angela era chiusa nella sua tristezza: il ricordo di quegli ultimi giorni si era così inciso nella sua mente, che nessuna cosa valeva a distrarla. Se chiudeva gli occhi al sonno vedeva la bianca faccia del Cavaliere di Malta, i grandi candelabri d'argento, la stanza buia, respirava l'afoso odore dei fiori, udiva il salmodiare dei preti.
Finalmente le giunse una lettera di Giovanni, la prima che avesse ricevuta da lui. Ella non conosceva la sua calligrafia e dovette guardare il fondo della lettera per vedere chi le scrivesse così a lungo. Un vago rossore le imporporò le guance quando lesse il nome di lui e le portò un vivido senso di calore al cuore. Era una bella mattina di sole, ma prima di quel momento la fanciulla non se ne era accorta.
Era una lettera affettuosa, tenera, quale può scrivere un innamorato alla donna che la sventura ha duramente colpito, ma tenuta in quei termini di correttezza mondana che si addicono a simili circostanze. Cominciava con un «Gentilissima Donna Angela» ed era firmata col nome e cognome dello scrivente. La fanciulla si sarebbe sorpresa, e forse anche offesa, del contrario. Aveva dato del lei a suo padre fin da quando aveva avuto l'uso della ragione, e nella stessa persona le parlava l'uomo che le scriveva quel giorno.
Malgrado queste costrizioni, però, Giovanni Severi aveva trovato modo di far parlare il suo cuore. Innanzi tutto annunziava la sua visita per quel pomeriggio: le diceva che per non destare troppa curiosità avrebbe indossati gli abiti borghesi, e che sperava che ella avesse allontanato la signora Bernard per qualche minuto, avendo da comunicarle cose molto gravi e importanti.
Quell'annunzio le apportò tanta gioia e al tempo stesso tale sgomento che ne provò rimorso e si chiese ripetute volte se ciò che stava per fare non fosse una offesa alla memoria di suo padre e alla sua presente condizione. No, non era possibile, non poteva aderire alla richiesta del giovane: purtroppo doveva rinunziare al dolce colloquio che egli le proponeva. La zia le aveva fatto telefonare che alle quattro sarebbe andata da lei in compagnia di un avvocato, per chiarire la nuova posizione sociale della nipote. Chi sa quanto tempo si sarebbero trattenuti con lei! Bisognava avvertire Giovanni, dirgli di rimandare la sua visita. Non bastava dare ordine al cancello perchè il giovane non fosse lasciato passare. Poteva incontrare la marchesa, proprio mentre questa si recava da lei, e Angela era sicura che la zia avrebbe riprovato quella visita intempestiva. D'altra parte non voleva mandare la sua cameriera all'ufficio o alla casa di lui nè voleva dare un incarico del genere al cameriere. Non sapendo cosa risolvere chiese consiglio alla buona signora Bernard.
— Non so come fare – le disse dopo averle comunicato la richiesta del giovane. – A quest'ora egli è per solito al suo ufficio e potrebbe darsi che venisse qui senza neanche passare da casa sua. Dovrei mandargli un biglietto.
— È probabile che passi da casa per cambiarsi d'abito, visto che ti dice che verrà in borghese. In ogni modo telefono subito al suo ufficio e se il conte è di servizio gli spiego tutto. Vuoi che gli chieda di venire da te domani alle quattro invece di oggi?
Angela esitava, imbarazzata.
— Credi che convenga? – disse alla fine. – Certo il babbo non sarebbe contento se... – La voce era stanca, addolorata, l'espressione del volto ansiosa, perplessa.
— Tuo padre? Ma mia cara principessa... – proruppe la buona donna.
— Non mi chiamare così – implorò Angela. – Non l'hai mai fatto...
— Ma sei una persona importante, ora, mia cara piccina – rispose la donna, – e io non sono più la tua istitutrice.
— Ma sei la mia amica, cara, e questo è molto di più. Credo proprio di non avere che te al mondo.
E la fanciulla buttò le braccia al collo della signora Bernard e la baciò affettuosamente. Il bel volto grassoccio della istitutrice si illuminò di gioia.
— Grazie, cara piccina, grazie – disse poi commossa. – Non ti crucciare per tuo padre: egli è in paradiso ora, e giudica meglio le tue intenzioni, voglio dire, non dalle apparenze soltanto.
Questo breve discorso calmò totalmente la giovane, la quale però sentì una piccola punta di rimorso per aver permesso alla signora Bernard di esprimere tanto liberamente la sua opinione sul principe.
Nel frattempo però l'istitutrice stava già telefonando a Giovanni, il quale, come Angela aveva immaginato, si trovava al suo ufficio: egli rispose che sarebbe andato al palazzo Chiaromonte l'indomani alle quattro e che avrebbe chiesto di parlare alla signora Bernard. I servi sapevano che la signora dava lezione di francese e se avessero creduto che l'ufficiale andava da lei per fissare delle lezioni per sè o per qualche amico, tanto di guadagnato. Si misero quindi d'accordo subito: il buon senso della signora Bernard era provvidenziale e appianava tutte le difficoltà.
Nel pomeriggio di quel giorno Angela attese la zia in uno dei salotti del primo piano. Faceva molto freddo in quelle stanze disabitate, ma ella non aveva osata ordinare che si accendesse il fuoco nel caminetto: il principe non lo aveva mai permesso. I fuochi venivano accesi nei due appartamenti privati: ma quello di suo padre era ancora chiuso dai suggelli apposti nel giorno della sua morte e il suo aveva un salottino poco adatto alla visita che si annunziava.
Invece la sala ove Angela doveva ricevere la zia era riccamente tappezzata in autentico broccato Luigi XIV: nel centro di una parete grandeggiava il ritratto d'uno dei Chiaromonte, dipinto da Van Dyck: una Sacra Famiglia del Guercino e una del Bonifaccio, una Maddalena di Andrea del Sarto ornavano le altre tre pareti. Qua e là erano ninnoli preziosi e mobili d'arte. Nel centro un lampadario di cristallo e bronzo, magnifico. La luce era scarsa perchè il cielo si era subitamente rannuvolato: spirava un vento gelido che fischiava sordamente e faceva rabbrividire la fanciulla.
Qualche minuto dopo le quattro un servo, sollevando la pesante tenda di broccato, annunziò:
— Sua Eccellenza la principessa Chiaromonte!
Nell'udire quel nome Angela ebbe un sussulto. L'ultima principessa di Chiaromonte che aveva varcata la soglia di quella stanza, era stata sua madre: nessuno, in quei giorni, aveva detto alla fanciulla che lo zio aveva assunto il titolo di capo della famiglia. Il servo non si occupò affatto dell'omiciattolo, che seguiva la principessa e che avanzava con un lento piegarsi delle ginocchia, quasi volesse profondersi in una serie ininterrotta di inchini diretti a persone che solo la sua immaginazione vedeva. Angela ricordava vagamente quel volto solenne e ossequioso.
Ebbe l'impressione che la zia fosse diventata più alta, più imponente: ella si curvò a baciare la nipote, poi sedette in una poltrona, mentre l'avvocato si accomodava a rispettosa distanza su uno sgabello: il cappello gli posava sulle ginocchia. Angela riprese il suo posto sotto il ritratto di Van Dyck e attese che la zia parlasse.
— Lo zio ha un po' di influenza, – disse ella – altrimenti sarebbe venuto con me: ti confesso che sarei stata più contenta se lui stesso ti avesse rivelata la tua situazione presente. Purtroppo questo compito ora spetta a me. Tu sai, cara Angela, quanto tuo padre fosse ligio alle intransigenti tradizioni clericali, e come non abbia mai voluto indursi a cedere ai nuovi regolamenti imposti dal Governo Italiano. Credo proprio che egli non si sia mai reso conto che i vecchi sistemi sono tramontati fin dall'epoca in cui egli era un ragazzo. Se egli avesse compreso ciò, si sarebbe regolato ben diversamente anche nei tuoi riguardi: in questo caso il mio compito oggi sarebbe assai meno doloroso. Mi comprendi?
Angela accennò di sì col capo, per quanto non riuscisse a comprendere in che cosa le convinzioni politiche di suo padre potessero influire sulla sua situazione:
— Egli ti avrà senza dubbio allevata nella convinzione che tu avresti ereditata tutta la sua fortuna, per quanto non il titolo, che spetta di diritto al fratello minore. È così, non è vero?
— Non mi ha mai parlato di tali cose – rispose Angela.
— Tanto meglio. Allora mi sarà più facile spiegarti la tua specialissima condizione. Innanzi tutto debbo dirti che tua madre e tuo padre si rifiutarono di celebrare il matrimonio civile, indispensabile, secondo la legge del Governo Italiano, per rendere valido un matrimonio. Essi erano ferventi cattolici e la benedizione della Chiesa doveva bastare. Celebrare, prima o dopo il matrimonio religioso, una qualsiasi cerimonia civile, significava mettere in dubbio la validità della benedizione della Chiesa: questo disse tuo padre, allora.
— Naturalmente – approvò Angela. La zia la guardò stupita.
— Naturalmente! – ribattè la marchesa dopo avere scambiata una rapida occhiata col piccolo avvocato che nel frattempo aveva ascoltato attentamente. – Disgraziatamente per te, tuo padre non trascurava un dettaglio burocratico, ma si metteva contro le leggi del Governo Italiano.
— Che vuol dire ciò? – chiese Angela nervosamente.
— È penoso da spiegare – rispose la donna con un sorriso odioso. – La verità è che tuo padre e tua madre non furono legalmente sposati, secondo i regolamenti italiani, mi comprendi? e quindi la legge non li considera marito e moglie.
Le mani di Angela stringevano i bracciuoli dell'ampia poltrona.
— Non furono legalmente sposati? Ma è impossibile, è mostruoso...
— Non furono legalmente sposati – ribattè la principessa. – Per essere considerati marito e moglie dinanzi alla legge bisogna compiere la funzione civile, in regola. È vero? – domandò rivolgendosi all'avvocato. – È vero che ciò è indispensabile?
— Sì, Eccellenza – rispose l'avvocato. – In caso diverso i figli non vengono considerati legittimi.
— Che vuol dire ciò? – ripetè Angela spaventata.
— Vuol dire che dinanzi alla legge tu non esisti.
Angela rise amaramente.
— Ma io esisto, vivo. Sono Angela Chiaromonte, vivo!
— Sei Angela, ma non Chiaromonte – corresse la principessa, che mal celava la sua gioia. – Ho il dolore di comunicarti che tuo padre, all'epoca della tua nascita, si rifiutò di fare la regolare dichiarazione al Comune, e dovette pagare una multa ingente per questa sua mancanza. Per conseguenza tu fosti notata allo Stato Civile come figlia d'ignoti, cioè di persone che si erano rifiutate di darti il loro nome!
— Io una trovatella! Io! – Angela scattò in piedi indignata, fremente. Poi dominandosi, ricadde a sedere, e con un incredulo sorriso, aggiunse: – O siete impazzita o cercate di spaventarmi per una ragione che ancora mi sfugge.
La principessa gettò una rapida occhiata al suo legale, come per dirgli che era giunto il momento di intervenire.
— La vostra posizione, signorina, è precisamente quella prospettatavi da Sua Eccellenza la Principessa di Chiaromonte. Sventuratamente voi non avete stato civile, non avete nome, non avete alcun diritto a ereditare i beni di Sua Eccellenza il defunto Principe di Chiaromonte, che la legge non può considerare marito di vostra madre, e poi egli si rifiutò di dichiarare allo Stato Civile la vostra nascita.
Abbiamo fatto tutte le inchieste possibili nel vostro interesse, vi ho portato qui una copia del registro nel quale siete segnata come trovatella. Era però in potere di vostro padre di fare un testamento in vostro favore, nominandovi sua erede universale, escluso naturalmente il titolo che passava al fratello cadetto della famiglia. Debbo però avvertirvi che anche l'esistenza di questo testamento non migliorerebbe la situazione giacchè voi non potrete essere considerata dalla legge come erede del Principe di Chiaromonte, visto che non ne siete la figliuola legittima. Fino ad oggi non vi è traccia di un testamento, nè presso il notaio, nè presso l'avvocato di vostro padre, nè presso i banchieri della famiglia Chiaromonte. Forse nelle camere ancora sotto suggello si potrà trovare qualche documento del genere, ma ho i miei dubbi su questo punto. In ogni modo domani quelle stanze saranno aperte alla presenza dei legali e degli eredi coi loro testimoni.
Si fermò guardando la principessa quasi per domandarle se doveva aggiungere altro. Angela aveva curvato la testa e se ne stava tranquilla al suo posto, senza dir nulla. L'avvocato credette che ella stesse per scoppiare in lagrime: non la conosceva ed era nel suo diritto di pensare così. La maggioranza delle donne non avrebbe fatto diversamente.