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Blurb

Spinta da sua madre, una donna molto motivata, a diventare la migliore nel suo campo, Penny crede che il Destino sia intervenuto, quando riceve la notizia di non essere soltanto un’ereditiera dello Steele Ranch, ma di avere avuto anche un padre che non ha mai conosciuto. Coglie l’occasione per liberarsi della famiglia cui non ha mai davvero sentito di appartenere e si dirige a Barlow, nel Montana.

Due cowboy hanno messo gli occhi sulla bellissima e intelligente biondina e non hanno intenzione di lasciarsela sfuggire. Jamison e Boone le daranno tutto ciò che vorrà, specialmente dal momento che ha vinto i loro cuori.

Questo è il secondo libro della serie dello Steele Ranch, in cui le donne sono intelligenti, sfacciate e pronte ad una cavalcata selvaggia con i loro uomini.

 

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Capitolo 1
1 JAMISON Osservai gli avventori entrare e uscire da Lo Sperone di Seta. Dal momento che era una serata di balli di gruppo al bar del paese situato in periferia, il posto era pieno di gente. A differenza di tutti gli altri che entravano con l’idea di divertirsi, io combattevo l’impulso di farlo. No, combattevo con me stesso perché lei era lì dentro. Ed io stavo ignorando il mio uccello premuto contro il mio interno coscia, dolorosamente duro e senza la minima possibilità di sgonfiarsi. Se avessi dato retta a quello che voleva lui, mi sarei infilato dritto dentro di lei già da tempo. Ma io non vivevo secondo le regole del mio uccello – non avevo più diciannove anni – fino a quel momento. Fino a lei. L’avevo vista entrare con Shamus e Patrick e qualcun altro del ranch più di un’ora prima. Sì, la stavo seguendo, ma aveva bisogno di qualcuno che la tenesse d’occhio. Che la proteggesse. Se messa a confronto con alcune delle donne in minuscoli pantaloncini che appena coprivano le natiche e magliette striminzite, lei era vestita in maniera piuttosto modesta con una gonna di jeans, degli stivali da cowboy e una camicetta western. Non importava che indossasse quella roba o un sacco di iuta, comunque. Riuscivo ad immaginare ogni centimetro del suo corpo al di sotto degli abiti. Un bel pacchettino piccolo e voluttuoso. Importava solamente che nessun altro vedesse tutta quella perfezione. Strinsi il volante, le nocche che sbiancavano, sapendo che avrei pestato a sangue chiunque le avesse anche solo posato un dito addosso. Tranne Boone. Lui volevo guardarlo metterle le mani ovunque. Cazzo. Me ne stavo seduto in macchina nel parcheggio, a non fare un bel niente. Erano passati tre giorni da quando avevo posato gli occhi per la prima volta su Penelope Vandervelk, la seconda delle figlie ed eredi di Steele ad arrivare in Montana, e da allora, non avevo pensato ad altro che a lei. I suoi lunghi capelli biondi. Quanto fosse piccola. Ero più che certo che non mi arrivasse nemmeno alla spalla. I suoi occhi azzurri. E quelle tette e quel culo. Per una così minuta, aveva più curve di una strada di montagna. Senza dubbio quelle belle collinette mi avrebbero riempito i palmi, e i suoi fianchi... sarebbero stati perfetti da afferrare e stringere mentre me la scopavo da dietro. Gemetti all’interno della cabina del mio furgone. La volevo con una disperazione che non avevo mai provato prima. Avevo visto il modo in cui Cord Connolly e Riley Townsend avevano perso in fretta la testa per Kady Parks. Sebbene non avessi riso della rapidità e dell’intensità del loro legame, di certo avevo dubitato che sarebbe mai successo a me. Mi ero decisamente, fottutamente sbagliato. Diamine, sarebbero stati loro a ridere di me in quel preciso istante, se avessero saputo cosa stavo facendo. Di nuovo, un bel niente e con il cazzo duro come una spranga. Volevo Penelope. Il mio uccello – e il mio cuore – non avrebbero voluto nessun’altra. Non vedevo più le altre donne, ormai. Troppo alte, troppo magre, troppo... chissene frega. Non importava. Non erano lei. La parte peggiore? Aveva ventidue anni. Cristo, io ne avevo sedici più di lei. Sedici! Abbastanza da sapere che non avrei dovuto portarla sulla cattiva strada. E quello che avrei voluto farle l’avrebbe portata su una strada pessima. Avrei dovuto lasciarla in pace. Avrei dovuto lasciare che si trovasse un ragazzo della sua età. Sì, uno giovane. Nessun ragazzino sapeva maneggiare una figa con un minimo di destrezza. Si sarebbe persa ciò che io e Boone avremmo potuto darle, ciò che si meritava. Eppure sapevo che era sbagliato. Ecco perché si trovava allo Sperone di Seta con Patrick e Shamus. Loro andavano ancora al college, erano nati nel suo stesso cazzo di decennio. Così anche gli altri aiutanti del ranch con cui si trovava. L’avevano invitata ad andare a ballare con loro, un gruppo di uomini che si sfruttavano a vicenda per avvicinarsi a lei. Eppure, il solo pensiero che uno di loro la toccasse – diamine, che anche solo pensasse di infilarsi tra quelle cosce sexy – mi faceva vedere rosso, cazzo. Io e Boone eravamo gli unici che avremmo visto quelle belle tette, succhiato i suoi capezzoli. Assaggiato tutto quel dolce miele appiccicosco direttamente dalla fonte. L’avremmo sentita urlare i nostri nomi mentre veniva. Mentre mi spremeva il cazzo e mi estraeva ogni goccia di seme dai testicoli. Cazzo, sì. E una volta che mi avesse prosciugato, l’avrei guardata godersi il suo turno con Boone, perché un solo cazzo duro non sarebbe stato abbastanza per lei. Il mattino dopo non sarebbe più stata in grado di camminare normalmente e non si sarebbe ricordata nemmeno il proprio nome. Ed ecco perché mi trovavo lì. Mi ero tenuto già abbastanza a distanza. Il mio uccello mi diceva di andarmela a prendere. La mia mente mi diceva di tenere giù le mani. Fino a quel momento. Mi meritavo una cazzo di medaglia per essermi trattenuto fino a quella sera. Tre giorni di fottuta tortura. Ora basta. Il solo pensiero di lei che ballava e agitava quel sedere perfetto di fronte ad altri uomini mi fece perdere l’ultimo briciolo di determinazione. Avevo aspettato che arrivasse Quella Giusta. Trentott’anni. Qui non si trattava di una sveltina. Non si trattava di uno sfizio che dovevo levarmi. No. Questa era la volta buona. Volevo Penelope – per sempre – e l’avrei avuta. Una volta presa la decisione, afferrai il cellulare e chiamai Boone. «Mi arrendo.» Fu tutto quello che dissi, ma lui sapeva esattamente di cosa stessi parlando. «Era pure ora che ti dessi una svegliata. Il mio uccello è stufo di andare avanti a seghe.» Sembrava che avesse popolato le fantasie di entrambi negli ultimi giorni. Mentre Boone se l’era menato pensando a Penelope, io avevo voluto conservare ogni singola goccia di seme per lei e avevo i testicoli che pulsavano in segno di protesta. La mia mano non sarebbe più bastata. Tutto ciò che sarebbe servito sarebbe stato darle un’occhiata e avrei voluto venire con quella bella figa stretta avvolta attorno a me, calda e bagnata. Per sempre. Boone si era trovato al ranch quando lei era arrivata il primo giorno, quando era scesa dalla piccola decappottabile carica della sua roba. Dolce, giovane, innocente. Fottutamente bellissima. Mi aveva rivolto quell’occhiata ed io avevo capito che stavamo pensando la stessa cosa. Era lei quella giusta. Sarebbe stata nostra. Dal momento che io non ero stato pronto, che avevo lottato con tutte le mie forze per tenermi a distanza a parte le presentazioni di base, lui si era trattenuto dall’avvicinarla in cerca di altro. L’avremmo fatto insieme perché sarebbe appartenuta ad entrambi. L’avremmo presa, rivendicata, scopata, amata. Insieme. Ovviamente, lui aveva sempre saputo che prima o poi avrei ceduto a quella tentazione dai capelli biondi. Odiavo quella sua profonda e infinita pazienza. L’avevo odiata sin da bambino, maledizione a lui. Non che io fossi pronto a scattare alla minima provocazione, ma in confronto a Boone, ero decisamente precipitoso e spontaneo. Ecco perché lui era un ottimo dottore. Le sue parole, tuttavia, dimostravano che non era poi così tranquillo nei confronti di Penelope quanto avessi pensato. «Vieni allo Sperone di Seta,» sbottai, aprendo la portiera del mio furgone e scendendo. «È ora di prenderci la nostra ragazza.»

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