Capitolo 1

3368 Words
CAPITOLO 1 Il presente: Paul passò le dita lungo i segni delle bruciature. Era stato lì una dozzina di volte negli ultimi sei mesi. Si rifiutava di arrendersi. Era stato lui a trovare il capanno, a circa otto chilometri dal punto in cui la strada finiva. Era stato lui a trovare il primo dei quattro corpi sepolti attorno a esso. Gli si rivoltò lo stomaco al ricordo. Quando Trisha non si era presentata il giorno stabilito, lui aveva chiamato. Trisha rispondeva sempre alle sue chiamate, se poteva. Qualora si mancassero, si chiamavano non appena tornati, non importava a che ora del giorno o della notte. Due giorni dopo, Paul era stato contattato dalla polizia di Stato della California. Trisha e diverse altre donne erano scomparse. La donna sarebbe dovuta tornare a bordo di un aereo della Boswell International, ma non si era più vista. Il jet sperimentale era ancora sulla pista dell’aeroporto di Shelby, California. Paul aveva guidato per tutta la notte per recarsi laggiù. Un nuovo sistema di sicurezza aveva mostrato ciò che era accaduto nel parcheggio semibuio. Lo sceriffo locale aveva rapito Abby Tanner, un’artista che la figlia di Paul e l’amica d’infanzia di lei, Ariel, stavano riportando a casa da New York. L’FBI e la polizia di Stato avevano assunto il comando delle indagini quando era sembrato che uno dei loro fosse coinvolto. Paul aveva riscosso alcuni favori e ricevuto il permesso di contribuire alle ricerche, con la scusa della sua esperienza di battitore. C’erano voluti tre giorni per individuare i furgoni di Abby e dello sceriffo. La moto che la figlia surrogata di Paul, Carmen Walker, aveva fatto trasportare laggiù prima dell’atterraggio giaceva sul terreno, un po’ più indietro, dove dei segni di frenata scuri mostravano che Carmen aveva abbandonato frettolosamente il mezzo. Durante quei tre giorni, Paul aveva scoperto delle cose sullo sceriffo locale, Clay Thomas, che gli avevano gelato il sangue. Thomas era stato congedato dai marine nell’ombra del sospetto che avesse ucciso alcune donne nei pressi della base a cui era stato assegnato, in Medio Oriente. Non c’erano prove, perché nessuno dei corpi era mai stato trovato. Paul aveva riscosso altri favori e ricevuto una copia di tutti i rapporti. Li aveva esaminati con cura, uno per uno, ed era riuscito a ricostruire il profilo spaventoso di un uomo che amava fare del male ad altre persone, soprattutto donne. Ciascuna famiglia intervistata aveva raccontato di come Thomas aveva perseguitato mogli, sorelle e figlie. Lo avevano denunciato alle autorità locali, ma nessuno era intervenuto, nemmeno dopo la misteriosa scomparsa delle loro care. Thomas aveva sempre un alibi e si assicurava di non essere seguito quando lasciava la base. Quando Paul aveva trovato il capanno, aveva capito che avevano a che fare con un serial killer. L’interno conteneva un’ampia varietà di strumenti progettati per infliggere la massima quantità di dolore. Fra le assi del pavimento c’erano macchie di sangue secco. Mentre gli investigatori si riversavano nella zona, Paul aveva fatto il giro della proprietà. Aveva bisogno di guardare con i suoi occhi prima che gli “esperti” distruggessero le prove. Aveva allargato il cerchio fino a raggiungere la prima tomba. Il corpo della donna era stato smembrato prima di essere avvolto nella plastica e coperto da un sottile strato di terriccio. Paul aveva trovato altri tre corpi prima di avere la certezza che non ce ne fossero altri. Una parte di lui era morta a ogni ritrovamento. L’immensa paura che Trisha, Ariel o Carmen fossero uno di quei poveri corpi lo divorava. Aveva impiegato due lunghi mesi prima che i risultati delle analisi rivelassero che nessuna di quelle donne era stata su quell’aereo. Da allora, Paul aveva fatto avanti e indietro una volta al mese fra il suo ranch in Wyoming e Shelby, California, per esaminare nuovamente quei luoghi alla ricerca di altri indizi. Ora stava osservando i segni di bruciature sugli alberi. Il rapporto dell’ispettore antincendi non giungeva a conclusioni definitive. Non avevano trovato residui di sostanze chimiche e non avevano saputo spiegare cosa potesse aver provocato un incendio abbastanza intenso da ridurre in cenere una piccola zona senza sfiorare tutto il resto, né come ciò fosse accaduto. I segni erano estremamente precisi, come se fossero stati lasciati da un’arma di qualche genere. Paul aveva mostrato delle immagini dei danni a esperti delle forze armate, ma persino loro non erano riusciti a cavare un ragno dal buco. Un rapporto sosteneva che nessuna fonte terrestre potesse aver generato un fuoco così caldo da provocare danni simili senza dar fuoco a tutto il resto della foresta. Paul si alzò e guardò il punto dove un mucchietto di cenere sottilissima era stato scoperto da un giovane investigatore. Le analisi suggerivano che si trattasse di resti umani, ma nemmeno la cremazione poteva ridurre un corpo in ceneri tanto sottili. Paul estrasse un piccolo fazzoletto piegato dalla tasca. Lo aprì e guardò la scaglia grande quanto un dollaro d’argento posata sul tessuto bianco. L’aveva trovata conficcata nella corteccia di un albero, vicino al punto in cui era stato trovato il mucchietto di cenere. Era rosso scuro, con tracce di verde scuro e oro lungo i bordi. L’aveva fatta analizzare dalla Wyoming State University. Hugh Little, un suo amico dai tempi delle superiori, lavorava nel dipartimento di bio-ricerca. Un brivido gli corse lungo la schiena al ricordo della telefonata che Hugh gli aveva fatto a tarda notte. “Ehi, Paul,” aveva detto entusiasta Hugh. “Senti, devi chiamarmi il prima possibile. Quella scaglia che mi hai mandato… Ti devo parlare.” Hugh era così infervorato che Paul aveva guidato per quasi quattrocento chilometri, fino al campus dove Hugh era docente. Hugh lo aveva salutato con un entusiasmo trattenuto a stento che Paul non aveva mai visto in quell’uomo normalmente placido. Aveva portato Paul nel suo laboratorio e aveva cominciato a descrivergli le sue scoperte. Lui aveva ascoltato con attenzione, ma erano state le immagini ad affascinarlo particolarmente. “La scaglia proviene da una creatura vivente. Non ho dubbi. All’inizio ho pensato che si trattasse di un rettile, ma ora non ne sono più convinto. È completamente diversa da qualunque altra cosa io abbia mai visto. Non si tratta solo della sua composizione chimica o delle sue dimensioni: guarda questo ingrandimento,” aveva spiegato Hugh. Paul aveva osservato mentre l’immagine sfocata della scaglia si faceva più nitida e un disegno molto complesso appariva alla vista. Il bordo era una curva perfetta, con una sottile linea d’oro che incrociava delle linee oblique verde scuro incise lungo i bordi. Il rosso brillava di un colore vorticante, dando l’impressione di un incendio. Al centro della scaglia c’era un simbolo simile a una lancia. Paul si era avvicinato, osservando attentamente il disegno. “È tutto vero?” aveva chiesto a Hugh con voce bassa e pensierosa. “Oh, è verissimo. Vedi quei colori vorticanti? Ho cercato di raccogliere un campione. Ogni singolo ago è stato distrutto. Quando ho provato a tagliare in due la scaglia, mi si è fusa la lama,” rispose Hugh. “Non so dove tu te la sia procurata, ma ti dirò una cosa: non ho mai visto nulla del genere sulla faccia della Terra.” Un’ondata di terrore gelido aveva travolto Paul mentre fissava il rosso che vorticava. Era la terza volta che gli dicevano qualcosa di simile. Si era ripreso la scaglia, nonostante Hugh avesse protestato e sostenuto di dover effettuare altre analisi. Paul gli aveva spiegato che era necessaria alle indagini, ma che forse, dopo che Trisha fosse stata ritrovata, lui avrebbe potuto rimandargliela. Per il momento, ne aveva bisogno. Paul inclinò la testa per guardare il cielo coperto. Presto avrebbe piovuto. Nell’aria c’era odore di pioggia. Mentre tornava al suo furgone, si guardò attorno un’ultima volta, immerso nei suoi pensieri, prima di prendere posto sul sedile del conducente. Doveva ancora andare a trovare una persona prima di ritornare a casa. Aveva scoperto il nome solo un paio di giorni prima. Nessuno degli investigatori aveva pensato che l’anziana amica dell’artista fosse abbastanza importante da interrogarla. Paul tirò fuori il portablocco dal cruscotto e guardò l’indirizzo. Edna Grey, sessantasei anni, amica di famiglia di Abby Tanner. Grey conosceva i nonni di Abby, che l’avevano cresciuta. Aveva lavorato con loro nel settore artistico prima di andare in pensione. Abby teneva spesso d’occhio i suoi animali quando Grey andava a trovare i figli, stando ad alcune testimonianze. Paul posò il portablocco sul sedile accanto e avviò il grosso Ford 250 diesel. Inserì la retromarcia e fece inversione, in modo da cominciare a scendere lungo la montagna. Dopo essersi immesso nella statale, avviò i tergicristalli mentre la pioggia cominciava a cadere. Sperò con tutto il cuore che quella tale Edna Grey potesse dargli qualche informazione utile. Cominciava a esaurire gli indizi. Si sfregò il petto in corrispondenza del cuore. Sapeva che la sua piccina era ancora viva. Lo sentiva. Non era come quando era morta Evelyn. Allora, lui aveva capito subito che sua moglie se n’era andata. Aveva sentito il vuoto nel cuore. Aveva capito che era successo qualcosa prima ancora di ricevere la telefonata di sua madre, che era con Evelyn quando lei era collassata. No, Trisha era ancora viva. Paul la sentiva che lo chiamava. Era una sensazione forte quasi quanto le altre che aveva avuto negli ultimi tempi. Che la sua vita stesse per cambiare. Si sentiva irrequieto, come se qualcosa lo stesse chiamando, dicendogli che il vuoto che aveva avvertito tanto a lungo stava per essere colmato fino a traboccare. Paul mise la freccia e rallentò per prendere la stretta curva sul lungo viale acciottolato. Vide una grande casa a due piani in fondo al viale attraverso il parabrezza sporco di pioggia. Una grande veranda avvolgente sembrava accogliere i visitatori, invitandoli a fermarsi. Paul accostò lungo il viale curvo di fronte ai gradini e spense il motore. Dopo aver aperto la portiera, abbassò la tesa del grosso Stetson per proteggersi il viso dalla pioggerella fredda. Salì i gradini della veranda due alla volta. Un basso abbaiare giunse dall’altro lato della porta. Prima che lui potesse anche solo sollevare la mano per bussare, la porta si aprì a rivelare il volto dall’espressione amichevole di una donna sui sessantacinque. Costei portava i lunghi capelli grigio scuro in una treccia lungo la schiena e indossava un paio di vecchi jeans con una robusta camicia blu infilata in vita. Per un attimo, la donna non disse nulla prima di sorridere e aprire la zanzariera. Un grosso golden retriever era in piedi accanto a lei con una pallina da tennis in bocca, la lunga coda che si muoveva avanti e indietro. “Signora Grey, mi chiamo Paul Grove,” disse Paul, togliendosi il cappello e tenendolo nervosamente fra le mani. “Sono il padre di Trisha Grove. Mia figlia pilotava l’aereo che stava riportando a casa la sua amica Abby Tanner.” Edna annuì mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. “Entri. Mi aspettavo che venisse qualcuno.” Paul chinò il capo per prenderne atto nell’entrare silenziosamente in casa. Si guardò attorno mentre la sua vista si abituava all’interno poco illuminato. I suoi occhi notarono ogni cosa con un singolo passaggio. Vide le foto di cantanti e attori famosi mescolate a quelle della famiglia di Edna lungo una parete prima che il suo sguardo passasse sulla teca colma di riconoscimenti. “Mi segua,” disse Edna, inoltrandosi in casa. Paul sollevò lo sguardo sulle scale, notando il legno consumato, ma lucido, dei gradini. Isuoi occhi si spostarono a osservare il salotto formale prima di passarvi accanto. Seguì Edna attraverso lo stretto corridoio fino a quando non entrarono in una cucina luminosa e molto moderna. Grandi finestre si aprivano dalla parete di fondo, lasciando entrare luce naturale in abbondanza. Edna gli fece segno di sedersi al liso tavolo bianco vicino alla finestra mentre metteva a bollire dell’acqua. “Ora le racconterò una storia, Paul Grove. Probabilmente, penserà che io sia una vecchia rimbecillita che vive in un mondo di fantasia. Non è così,” disse Edna, osservando Paul con un sorriso fermo, ma rassicurante. “Spetterà a lei decidere se credermi o meno. Io posso solo dirle quello che so e quello che sospetto.” “Mia figlia è viva?” chiese Paul con voce profonda e roca. Edna sorrise mentre l’acqua bolliva, dapprima guardando non Paul, ma il vapore che si sollevava dal bollitore. “Lasci che le racconti la mia storia; poi sarò io a chiederglielo.” Edna versò l’acqua bollente in due tazze. Si allungò ad aprire un armadietto e tirò fuori un paio di bustine di tè, che mise nelle tazze. Dopo aver messo ciascuna tazza in un piattino, prese il tutto e lo portò al tavolo, mettendo una tazza di fronte a Paul e l’altra di fronte al proprio posto per poi di sedersi. Il golden retriever entrò nella stanza e si raggomitolò ai piedi della donna, lasciando cadere la pallina fra le zampe anteriori prima di appoggiarvi sopra il mento, piagnucolando sommessamente. “Bo sente la mancanza di Abby,” disse Edna prima di soffiare sul tè e bere un sorso. “Anch’io, ma lei è in un posto migliore. O almeno credo.” “Dove crede che sia?” chiese Paul, avvolgendo le mani fredde attorno alla tazza, ma senza bere la bevanda fragrante. Edna sospirò prima di guardare Paul con occhi dallo sguardo limpido e intelligente. “Sei mesi fa, ho lasciato il mio cane, Bo, e il mio mulo, Gloria, a casa di Abby sulle montagne. Abby ha ereditato la baita dei suoi nonni. È nata e cresciuta laggiù e non aveva mai pensato di andarsene,” spiegò Edna, interrompendosi per bere un sorso di tè. Paul non disse una parola. Si limitò ad aspettare che Edna fosse pronta a proseguire. Aveva imparato che aspettando e ascoltando a sufficienza si imparava di più che cercando di mettere fretta all’interlocutore. Edna annuì e sorrise a Paul. “Lei piacerebbe a Abby. È un uomo paziente, Paul Grove. Abby aveva realizzato un’opera importante in vetro soffiato per i Boswell. Se non ho capito male, sua figlia Trisha era la pilota dell’aereo.” “Assieme a lei c’erano altre tre donne a cui sono molto affezionato,” disse Paul. “Trisha era la pilota. A bordo c’erano anche due sue amiche d’infanzia, assieme a un’altra giovane che mia figlia e Ariel hanno praticamente adottato.” “Sì, l’ho letto sul giornale. Ma è quello che non era scritto sul giornale che lei deve sapere,” disse Edna, sporgendosi in avanti. “Quando sono tornata a riprendere Bo e Gloria dopo essere andata a trovare mio figlio e mia nuora, ho scoperto che Abby non era più sola. C’era un uomo con lei. Era diverso da chiunque altro avessi mai visto. In lui c’erano una primitività, un potere, che non erano… normali.” Il volto di Paul si contrasse in una maschera immobile. “Crede che abbia fatto del male a Abby?” Edna scosse la testa e si appoggiò allo schienale della sedia. “Al contrario. Credo che l’abbia salvata… assieme a sua figlia e alle altre donne.” “Come mai pensa questo?” chiese rigidamente Paul. “Ha detto che c’era qualcosa di strano in quell’uomo. Cosa aveva di diverso?” Il sorriso sul volto di Edna svanì mentre i ricordi le incupivano lo sguardo. “Perché la amava e ha giurato di fare tutto ciò che era in suo potere per proteggerla e renderla felice. Io gli ho creduto. Vede, il suo nome era Zoran Reykill ed era un alieno proveniente da un altro mondo,” disse Edna in tono prudente. Paul le strinse la bocca mentre ricambiava lo sguardo fisso di Edna. “Lei si aspetta che io creda che mia figlia sarebbe stata rapita dagli alieni?” chiese con voce profonda e priva di emozione. “Non rapita, ma salvata,” rispose con leggerezza Edna, bevendo un sorso di tè. “Le ho detto che ero preoccupata quando ho visto uno sconosciuto con Abby. Deve capire che Abby è una persona molto tranquilla e riservata. Non si apre facilmente. Era felicissima da sola sulla sua montagna. Quell’uomo era molto massiccio, persino più di lei. Aveva capelli neri che gli ricadevano lungo la schiena e occhi di oro solido con le pupille verticali. Capiva quello che io gli dicevo, ma io non ero in grado di capire lui, fino a quando…” Edna lasciò la frase in sospeso al ricordo della nave dorata nel pascolo alto. “Fino a quando…” la incoraggiò Paul. “All’inizio, laggiù non c’era niente; poi, dal nulla è apparsa un’enorme nave spaziale dorata. Galleggiava a un metro e passa dal suolo. Era viva. Io ho visto i suoi colori vorticosi e il modo in cui ha tremato quando l’ho avvicinata. Zoran l’ha toccata e all’improvviso è comparso un ingresso con dei gradini. Zoran mi ha portato all’interno. Sotto di noi si sono formati dei sedili d’oro ed è comparso un pannello. Mentre eravamo all’interno della nave dorata, io riuscivo a capire quello che lui diceva.” Edna sollevò lo sguardo su Paul con una determinazione negli occhi. “Lui mi ha raccontato di essere precipitato sul nostro mondo e che Abby lo ha trovato. Lei si è presa cura di lui e lui ha capito che era la sua vera compagna. Mi ha detto che aveva intenzione di portarla via con sé alla sua partenza. Non mi sto inventando nulla. Non ho prove, ma questo è quanto. Spetta a lei decidere se credermi o meno. È in grado di spiegare alcune delle cose che ha trovato? Non è l’unico ad aver svolto delle indagini, signor Grove. So quali indizi sono stati trovati e so quali sono le sue esperienze. Cosa suggeriscono le sue analisi?” incalzò Edna. Paul distolse lo sguardo dagli occhi di Edna per guardare fuori dalla finestra. Riusciva a vedere il fienile dove un vecchio mulo se ne stava fuori sotto la pioggerella. Il suo sguardo si spostò sulle montagne in lontananza prima di tornare sulla donna seduta di fronte a lui. “Che da queste parti è passato qualcosa che non era di questo mondo,” rispose a bassa voce. Edna annuì lentamente. “Ora le chiederò quello che lei ha chiesto a me. Sua figlia è viva?” domandò a bassa voce, posando delicatamente la mano sopra quella di Paul. Paul guardò la sua tazza di tè ancora intatta e deglutì oltre il groppo alla gola. Le lacrime gli bruciarono negli occhi mentre immaginava la sua bella bambina. Si chiese se fosse felice. Se fosse al sicuro. Se sentisse la sua mancanza quanto lui sentiva quella di lei. Sollevò lo sguardo prima di annuire. “Sì, è ancora viva. Ma adesso non so cosa fare. Come posso riportarla a casa se l’hanno portata su un altro pianeta?” chiese Paul, dando voce alle sue paure con quella donna che gli aveva dato le uniche risposte che sembravano avere un senso. Edna raddrizzò la schiena. “Qualcosa mi dice che sua figlia non è più felice di lei di questa vostra separazione. Se è tenace anche solo la metà di lei, non mi stupirei se gli alieni tornassero. Quando verrà quel momento, forse non sarà lei a portare a casa sua figlia, ma sua figlia a portarla via con lei.” Paul guardò Edna per diversi lunghi istanti. Per la prima volta in sei mesi, sentì un principio di speranza crescere dentro di lui. Trascorse l’ora successiva in compagnia di Edna. Le fece una domanda dopo l’altra, cercando di imparare il più possibile riguardo a quel tale Zoran Reykill e alla sua nave dorata. Rifiutò cortesemente l’invito a cena, dicendo a Edna che aveva molte cose a cui pensare nel corso del lungo viaggio di ritorno a casa. Salutò Edna e Bo con un cenno del capo mentre si allontanava per tornare al suo ranch. Durante il lungo tragitto, fece una serie di telefonate. Aveva molte cose da sistemare. Se la sua bambina era andata fra le stelle come aveva sempre promesso, Paul doveva prendere provvedimenti. Le aveva promesso che, se mai lei fosse partita, lui l’avrebbe accompagnata.
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