Capitolo due-1

938 Words
CAPITOLO DUE Grizz Augustine abita in un quartiere elegante nella Oro Valley, ai piedi della catena montuosa Catilina. Parcheggio la motocicletta, mi arrampico sul muro e scruto il cortile. Enorme piscina, bella veranda. Ma al di là dell’arredamento del patio e del caminetto in pietra, c’è una normalissima porta. Sarebbe piuttosto facile sfondarla per entrare. Mi prendo un momento per evitare le videocamere. Non ci sono luci nel prato: i vampiri ci vedono al buio. Fortunatamente, lo stesso vale per i mutanti. Mi accuccio tra i cespugli e aspetto. I vampiri sono all’apice della loro forza di notte, e trovo che siano un po’ più fiacchi in prossimità dell’alba. Non Frangelico: è tanto vecchio da riuscire a restare sveglio fino ai primi raggi di luce. Ma anche i suoi sottoposti più anziani se ne stanno rintanati ben prima del sorgere del sole. Quindi me ne resto acquattato finché una tenue luce non brilla nel cielo, subito dietro alle montagne. Dopo aver bevuto un sorso dalla mia fiaschetta, mi incammino verso la porta ed entro. Non è chiusa a chiave: bisogna essere pazzi per venire a rubare a casa di un vampiro. La maggior parte di loro tiene da parte le difese e le trappole per i rifugi dove dormono, che è il motivo per cui voglio beccare Augustine ancora sveglio. Non se l’aspetterà. Dopo aver dato la caccia ai vampiri da una vita, so cosa serve per abbatterli. L’arroganza. Sono i più grossi e cattivi predatori sulla faccia della Terra, e lo sanno. E quindi non si rendono conto del contrario, fino a che non ti trovi sopra di loro con un paletto in mano. Ovviamente non ho ricevuto ordine di ucciderlo. Devo solo interrogarlo. Potrebbe anche vivere, se a Frangelico piaceranno le sue risposte. Frangelico odia uccidere i suoi sottoposti, perché secondo lui è difficile farsene di nuovi. La casa è fredda, pulita e sa di limone. Perlustro le stanze, ma sono inutilizzate. Perfettamente arredate e adorne, ma sanno di vuoto. Apro il frigorifero: un paio di caraffe piene di sangue e mezza bottiglia di vino, ma nient’altro. Il vampiro non c’è. Probabilmente dorme altrove. Se voglio catturarlo in piena festa o comunque completamente sveglio, questo è un tentativo a vuoto. Non che mi aspettassi che sarebbe stato facile. Accanto al frigo c’è una borsa con del cibo per cani. Una marca costosa: carne cruda di selvaggina, o qualcosa del genere. Mi prendo un momento e mi concentro sull’odore che c’è sotto al freddo puzzo di vampiro. E lì colgo quella familiare fragranza di muschio. Cane. O qualcosa di simile. Non lupo. Con la pelle che freme, mi dirigo verso la dispensa. Nell’angolo c’è una coperta messicana tutta colorata che copre una grossa struttura. Una gabbia. Il mostruoso orso nel mio petto inizia a borbottare. Non è un ringhio, ma un sommesso suono calmante. Alzo il sarape, ed ecco lì la mia volpacchiotta. Accoccolata, ancora in forma umana. Nuda, eccetto per il collare bianco. Sta tremando. Il mio orso emette versi più sonori. Apro la gabbia. La vedo sussultare per il forte rumore del metallo: strizza gli occhi e il suo corpo si contrae cercando di occupare meno spazio possibile. Ci sono ancora alcuni segni sulla sua pelle pallida, anche se per la maggior parte sono sbiaditi. Grazie al cielo è una mutante e non un’umana, cazzo. Il suo dominatore se l’è davvero lavorata a dovere, se sta ancora guarendo. E poi l’ha lasciata in una gabbia. Il mio corpo trema per il sommesso ringhio dell’orso. Strappo la coperta dalla gabbia e la avvolgo attorno a lei. “Padrone?” chiede in un timido sussurro. La sua voce tremante mi sfiora come dita leggere. Cazzo, ce l’ho duro. “Non sono il tuo padrone,” le rispondo bruscamente. Sono così incazzato, che il mio orso è pronto a schizzarmi fuori dalla pelle e fare a pezzi la villa una stanza dopo l’altra. Che razza di stronzo può lasciare la sua sottomessa a gestire da sola lo stato di apatia e depressione che di solito segue una pratica sadomaso? E non semplicemente da sola, ma tremante in una gabbia. Con nient’altro che cibo per cani per nutrirsi? “Vieni qui,” le ordino. Reagisce all’istante, strisciando più vicina a me. “Più vicino,” la incoraggio, prima di realizzare quello che sto facendo. “Vieni da me. Del tutto, volpacchiotta. Fuori dalla gabbia.” Con gli occhi ancora chiusi, striscia fuori dalla gabbia e mi finisce tra le braccia. “Ecco fatto.” Automaticamente, la stringo a me. Appena il suo piccolo corpo si schiaccia contro al mio petto, il furente e costante commento di sottofondo del mio orso cessa e si trasforma in una nota bassa e baritonale. Sta facendo le fusa. Non sapevo che ne fosse capace. La donna strofina la faccia contro alla mia maglietta, cercando rifugio. Sempre con il pilota automatico, le poso una mano sulla testa, aiutandola a mettersi comoda. Con un sospiro, la piccola sottomessa si rilassa. “Brava,” mormoro. Ho le parole pronte, proprio sulla punta della lingua. Al club ho visto abbastanza scene da sapere cosa dire, ma le ho dette con facilità, senza pensare. Il suo respiro rallenta, la bocca si scioglie. Ha gli occhi ancora chiusi, quindi non so esattamente quale sia il preciso istante in cui si addormenta. Tutto quello che so è che sono dentro a una villa in cui ho fatto irruzione, le braccia strette attorno alla bestiola di un vampiro, e che non posso lasciarla andare. Per la prima volta da un sacco di tempo, il mio orso ha trovato qualcuno da abbracciare.
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