CAPITOLO UNO-3

3022 Words
Giustissimo, pensò Emily ricordandosi la sua ossessione per i dipinti di Tori, ricordando che ne aveva appeso uno raffigurante il faro nella casa di New York dove viveva con Patricia, e che Emily si era arrabbiata quando aveva capito quanto fosse stato sfrontato e irrispettoso da parte sua quel gesto. “Come hai fatto a permettertelo?” lo sfidò Emily. “La polizia ha detto che non c’è stata attività sui tuoi conti bancari. È stata una delle ragioni che mi hanno fatto pensare che fossi morto.” Roy trasalì al sentire quella parola. Emily capì quanto male si sentisse di fronte al dolore che le aveva fatto passare. Ma doveva sentirlo. E lei doveva dirlo. Era l’unico modo che avevano per sperare di andare avanti. “Non ho venduto nessuna delle mie antichità, se è quello che pensavi,” cominciò. “Le ho lasciate tutte per te.” “Dovrei ringraziarti?” gli chiese amaramente Emily. “Non è che un diamante può risolvere anni di abbandono.” Roy annuì tristemente, incassando le sue parole rabbiose. Emily cominciò ad accettare che la stava mettendo al corrente, che non cercava più di giustificare le sue azioni ma che invece ascoltava il dolore che le avevano causato. “Hai ragione,” disse piano. “Non volevo sottintendere che potesse essere così.” Emily serrò la mascella. “Bene; allora va’ avanti,” disse. “Dimmi cos’è successo dopo che te ne sei andato. Come ti sei mantenuto.” “All’inizio vivevo un giorno alla volta,” spiegò Roy. “Tiravo su i soldi facendo tutto quello che potevo. Lavori strani. Sistemavo auto e biciclette. Riparazioni. Ho imparato a fabbricare e sistemare orologi. Lo faccio ancora. Sono un orologiaio. Faccio orologi elaborati con chiavi nascoste e compartimenti segreti.” “Ovviamente,” disse, con amarezza, Emily. A Roy tornò un’espressione di vergogna. “E l’amore?” chiese Emily. “Ti sei sistemato?” “Vivo da solo,” rispose triste Roy. “Da quando me ne sono andato. Non volevo causare dolore a nessun altro. Non riuscivo a sopportare di avere gente intorno.” Per la prima volta Emily cominciò a provare compassione per suo padre – se lo immaginava solo, a vivere come un eremita. Iniziò ad avere la sensazione di aver lasciato uscire tutto il dolore che doveva, di averlo incolpato abbastanza da essere finalmente in grado di stare a sentire la sua versione. Si sentì ripulire da un’ondata catartica. “È per questo che non uso la tecnologia moderna,” proseguì Roy. “In città c’è una cabina telefonica che uso per telefonare, molto raramente. L’ufficio postale del posto mi informa se qualcuno ha risposto al mio annuncio come orologiaio. Quando mi sento abbastanza forte vado alla biblioteca a controllare le email per vedere se mi hai scritto.” Emily si bloccò, accigliata. La cosa la sorprese. “Davvero?” Roy annuì. “Ti ho lasciato degli indizi, Emily Jane. Ogni volta che tornavo in casa lasciavo una nuova briciola di pane perché tu la trovassi. L’indirizzo email è stato il passo più grande che ho fatto, perché sapevo che non appena lo avessi trovato si sarebbe aperta una linea diretta tra te e me. Ma l’ansia dell’attesa era insopportabile. Quindi mi sono limitato a pochi controlli l’anno. Quando ho ricevuto la tua email ho preso subito un volo per tornare qui.” Emily capì allora che era quella la ragione per quei mesi in più di ansia che le aveva fatto patire dopo che era venuta a sapere che era ancora vivo e l’aveva contattato. Non la stava ignorando né evitando – semplicemente non aveva visto l’email. “È vero?” gli chiese con voce forzata mentre le lacrime le riempivano gli occhi. “Sei davvero venuto qui non appena hai visto che ti avevo scritto?” “Sì,” rispose Roy con la voce che era appena un sospiro. Anche le sue, di lacrime, avevano ripreso a scorrere. “Ho sperato, desiderato, sognato che mi scrivessi. Ho pensato che un giorno saresti tornata qui, quando fossi stata pronta. Ma sapevo anche che saresti stata arrabbiata con me. Volevo che l’iniziativa fosse tua. Volevo che fossi tu a metterti in contatto con me perché non volevo intromettermi nella tua vita. Pensavo che se fossi andata avanti senza di me sarebbe stato meglio lasciare le cose così.” “Oh, papà,” gemette Emily. Qualcosa, alla fine, uscì dal profondo di Emily. Qualcosa nell’ultima e finale ammissione spezza cuore venuta da suo padre era ciò che aveva sempre avuto bisogno di sapere. Che stava aspettando che lei facesse il primo passo. Non la stava evitando, non si stava nascondendo; le aveva lasciato degli indizi in fede che una volta che lei avesse messo insieme tutti i pezzi avrebbe deciso autonomamente se poteva perdonarlo per poi lasciarlo entrare nella sua vita. Emily si alzò in piedi e corse al sofà che aveva di fronte, buttandogli le braccia al collo. Singhiozzò contro la sua spalla, dei singhiozzi profondi che le scossero tutto il corpo. Roy si aggrappò a lei, tremando anche lui dallo sfogo di dolore. “Mi dispiace così tanto,” disse soffocando, con la voce smorzata dai capelli di Emily. “Mi dispiace tanto, tantissimo.” Rimasero così a lungo, tenendosi l’uno con l’altra, lasciando andare ogni lacrima dovuta, facendo uscire il dolore fino all’ultima goccia. Alla fine il pianto cessò. Tutto si fece silenzio. “Hai altre domande?” disse alla fine con calma Roy. “Non ti terrò segreto più niente. Non ti nasconderò nulla.” Emily era esausta, svuotata da tutte le emozioni. Il petto di suo padre si sollevava e abbassava a ogni suo profondo respiro. Era così stanca che le pareva di potersi addormentare proprio lì, tra le sue braccia. Però, allo stesso tempo, aveva ancora un milione di domande che le vorticavano nella mente – ma una era più importante delle altre. “La notte in cui è morta Charlotte…” cominciò. “La mamma mi ha detto delle cose, ma è solo la sua versione. Cos’è successo?” L’abbraccio di Roy si strinse. Emily sapeva che gli era difficile riportare alla mente quella notte, ma voleva disperatamente conoscere la verità, o almeno la versione dei fatti di suo padre. Forse sarebbe stata in grado di mettere insieme le tre parti – quella di Patricia, quella di Roy e la sua – e creare qualcosa che avesse un senso. “Vi ho portate qui per il Ringraziamento e il Natale,” cominciò Roy. “Le cose con tua madre non andavano bene, quindi lei è rimasta a casa. Ma poi avete preso tutte e due l’influenza.” “Credo di ricordarmelo,” disse Emily. Tornò a un ricordo d’infanzia in cui aveva avuto la febbre. “C’era il cane di Toni, Persefone. Sono crollata in corridoio.” Roy annuiva, ma sembrava imbarazzato. Emily il perché lo sapeva; era stato un momento cruciale nella sua relazione con Toni, il momento in cui aveva avuto tanta faccia tosta da far incrociare la vita della sua amante con quella delle figlie. “Ti ricordi che tua madre è venuta qui senza avvertire?” chiese Roy. Emily fece di no con la testa. “Voleva venire per seguirvi, dato che stavate molto male.” “Non è una cosa che la mamma farebbe,” disse Emily. Roy rise. “No, non lo è. Magari era una scusa. Sospettava che avessi una relazione e voleva presentarsi qui per cogliermi in fallo.” Emily annuì mogia. Questo era più lo stile di sua madre. “Devi aver rimosso il litigio, perché sono sicuro che abbiamo gridato tanto da farci sentire fin giù al porto.” Si strinse nelle spalle. “Non lo so se è stato questo a svegliare Charlotte. Prendeva delle medicine che la intontivano. Tutte e due le prendevate. Ma lei si è svegliata e immagino che si sia un po’ confusa mentre ci cercava, o solo che si sentisse male. È finita nella dépendance con la piscina. Immagino che il resto tu lo conosca.” Il resto lo conosceva. Ma quello che non aveva capito era che piccolissimo ruolo avesse avuto lei in ciò che era accaduto. Non era stata colpa sua se non si era svegliata quando l’aveva fatto Charlotte per impedirle di andarsene in giro. Non era stata colpa sua se aveva parlato con tanto entusiasmo della piscina nuova da far venire voglia alla sorellina di andare a vederla. Era malata, confusa, forse anche terrorizzata per via del litigio dei suoi genitori. Non aveva nessuna colpa. Neanche una. Emily provò un improvviso sollievo. Il peso che non si era neanche accorta di aver portato con sé le si sollevò dalle spalle. Era rimasta aggrappata al senso di colpa per la morte di Charlotte, anche dopo che sua madre le aveva chiarito che la colpa non era sua. Adesso le parve che suo padre le avesse dato il permesso di lasciar andare la colpa. Si accoccolò contro di lui, mentre una nuova sensazione di pace metteva radici dentro di lei. Proprio allora la calma venne interrotta da dei colpi alla porta. Daniel fece capolino nella stanza. “Daniel, vieni,” disse Emily facendogli cenno di entrare. Adesso che lei e suo padre avevano portato tutto alla luce lo voleva lì con sé. Aveva bisogno del suo sostegno. Lui entrò e si sedette sull’orlo del sofà di fronte a loro. Emily si asciugò le lacrime dalle ciglia, ma rimase aggrappata al padre, appallottolata accanto a lui come una bambina. “Avete bisogno di qualcosa?” chiese loro dolcemente. “Un fazzoletto? Qualcosa di forte da bere?” Era proprio ciò che serviva in quel momento per tagliare la pesantezza. Emily scoppiò a ridere con un singhiozzo. Sentiva la pancia di Roy rumoreggiare mentre rideva. “Un drink andrebbe bene,” disse. “Anche per me,” rispose Roy. “Il bar è pieno?” Daniel prese il comando. “Sì. Vieni. È fantastico. Preparo qualcosa da bere.” Emily esitava. “Papà, è una buona idea?” disse. “Perché no?” rispose Roy confuso. Emily abbassò la voce. “Per via del tuo problema con l’alcol.” Roy era sconvolto. “Quale problema con l’alcol?” Poi impallidì. “Patricia ti ha detto che ero un alcolista?” “Ma tu eri davvero un alcolista,” rispose Emily. “Me lo ricordo che bevevi. Continuamente.” “Bevevo pesantemente,” ammise Roy. “Lo facevamo tutti e due, io e tua madre. È uno dei motivi per cui il nostro rapporto era così esplosivo. Ma non ero un alcolista.” “E gli zabaioni che ti bevevi a colazione sotto Natale?” chiese ricordandosi quanto si fosse irritato suo padre quando lei gli aveva fatto cadere il bicchiere. “Ma era solo per Natale!” esclamò Roy. Un altro pezzo del passato di Emily si ridefiniva. Aveva creduto alla versione amara e distorta degli eventi di Patricia, aveva permesso che rimpiazzasse i ricordi che aveva lei di suo padre. Provò rabbia contro sua madre per aver trasformato Roy nel cattivo della loro esperienza più traumatica. Andarono al bar e si accomodarono al bancone. Daniel si mise al lavoro per preparare i cocktail. “Per la sera abbiamo un barista,” spiegò a Roy. “Alec. È fantastico. Meglio di me, comunque.” Versò per ognuno un margarita. Roy bevette un sorso. “È buonissimo,” disse. Poi, un po’ timidamente, aggiunse, “Devo dire che sei diventato un distinto giovane gentiluomo.” Emily sentì sollevarsi il cuore. Sorrise, finalmente espirò, con la sensazione che tutto fosse come doveva essere. “Per questo devo ringraziare te,” rispose Daniel, timidamente, senza guardarlo negli occhi. “Per avermi insegnato cose che mi interessavano. La pesca. La navigazione.” “Navighi ancora?” chiese Roy. “Ho una barca la porto. L’ho sistemata grazie a Emily. Usciamo in gita in famiglia. Anche Chantelle la adora. È bravissima a pescare.” “Anch’io esco ancora spesso in barca,” disse Roy. “Quando non sto lavorando a un orologio trascorro il tempo in barca. O in giardino.” “Ti ricordi il giorno in cui mi hai insegnato a fare l’orto?” chiese Daniel. “Certo,” rispose Roy. Sorrise al ricordo. “Non avevo mai visto un trasandato teppistello lavorare così duramente con un trapiantatoio in mano.” Daniel rise. “Ero assetato di conoscenza,” disse. “Di cogliere l’opportunità. Anche se da fuori sembrava che odiassi il mondo.” Emily trovò strano vederli ridere e scherzare. C’era tanto dolore in meno tra di loro. Era più spirito di squadra. Daniel era da sempre grato all’uomo che gli aveva dato un’opportunità quando ne aveva avuto bisogno, anche se quello stesso uomo era scomparso senza dire una parola neanche a lui. Forse era solo sorpresa di accorgersi di quanto un tempo fossero stati vicini sapendo anche che quell’estate che avevano trascorso insieme era stata l’estate che lei e suo padre avevano trascorso separatamente. In quel momento le vibrò il telefono e vide che era un messaggio da parte di Amy sulla visita che avevano programmato per quel pomeriggio. Lei e Jayne avevano della roba urgente di cui occuparsi e avrebbero fatto una sosta, quindi sarebbero arrivate più tardi del previsto. Emily si accorse, con fare colpevole, di essersi completamente dimenticata del loro arrivo. Era stata così presa dal padre che tutto il resto le era uscito di mente. Le rispose rapidamente e poi riportò l’attenzione su suo padre e su Daniel. Ridevano di nuovo con leggerezza. “Sono contentissimo che la barca abbia retto,” stava esclamando Daniel. “Chi avrebbe pensato che il tempo sarebbe cambiato così? Una tempesta nel bel mezzo dell’estate.” “È stato un pessimo tempismo,” rispose Roy. “Considerando che era il tuo primo giro in barca.” “Be’, avevo il maestro migliore, quindi non ero preoccupato.” Sorrise, con lo sguardo distante, perso nei ricordi. “Grazie per avermi insegnato tutto sulle barche, sull’acqua e sulla navigazione. Adesso non riesco a immaginarmi di vivere senza queste cose.” Emily osservava Roy sorridere insieme a Daniel. Adesso che aveva lasciato andare la rabbia provava una sensazione soverchiante di pace, di adeguatezza. Avrebbe sempre dovuto essere così. Suo padre che passava il tempo col suo fidanzato, godendosi la reciproca compagnia, non vedendo l’ora di diventare presto parte della stessa famiglia. Magari era un po’ tardi, ma Emily adesso avrebbe fatto tutto il possibile per godersela. * Mentre si faceva sera, Daniel preparò un’altra serie di cocktail. Posò il bicchiere di fronte a Emily proprio quando le vibrò il telefono per una telefonata. “È Amy,” spiegò. “Devo rispondere.” “Amy? Delle scuole superiori?” chiese Roy sollevando un sopracciglio. Emily annuì. “Siamo ancora amiche,” lo informò. “È una delle damigelle. Mi sta aiutando molto a preparare il matrimonio.” Emily uscì di corsa dal bar per rispondere. “Em, ci dispiace tantissimo,” cominciò Amy. “La telefonata è durata un’eternità e adesso siamo troppo distrutte per guidare. Ci fermiamo qui per la notte. Non odiarci.” “Non vi odio,” le disse Emily, segretamente sollevata che le sue amiche non avrebbero interrotto la sua riunione col padre. “Domani mattina partiamo subito,” aggiunse Amy. “Amy, davvero, va tutto bene,” disse Emily. “È successo qualcosa qui.” “Che cosa? C’entra il matrimonio? Daniel? Sheila?” Sembrava preoccupata. “Niente del genere,” spiegò Emily. Poi fece un respiro profondo. “Amy, c’è mio padre.” Ci fu un lungo silenzio. “Cosa? Come? Stai bene?” A questo non sapeva come rispondere, e proprio non voleva starci a pensare troppo su. Non l’aveva ancora assorbita del tutto. Aveva bisogno di tempo per sbrogliare le emozioni e trovare il senso di tutto. “Sto bene. Ne parliamo quando arrivate.” Amy non sembrava convinta. “Okay. Ma se hai bisogno di parlare con qualcuno, chiamami subito. A domani.” Emily riattaccò e tornò al bar, alle risate gioiose di Roy e Daniel. Gli amici di vecchia data erano tornati insieme. “Be’,” disse Roy bevendo l’ultimo sorso rimasto nel bicchiere. “Credo che sia ora che mi levi dai piedi. Sembra che abbiate degli ospiti di cui occuparvi.” Emily era terrorizzata al pensiero che Roy se ne andasse. “Ho lo staff, si stanno occupando di tutto loro. Possiamo trascorrere del tempo insieme. Non te ne devi andare per forza.” Roy notò la sua aria spaventata. “Volevo solo dire che è ora che vada a letto. A dormire.” “Vuoi dire che resti?” chiese Emily sorpresa. “Qui?” “Se hai posto…” disse Roy docilmente. “Non intendevo darlo per scontato.” “Ma certo che puoi rimanere!” esclamò Emily. “Per quanto hai intenzione di rimanere?” “Fino al matrimonio, se non è un problema. Potrei aiutarvi un po’ con le varie organizzazioni, se vi serve.” Emily era sconvolta. Non solo suo padre era lì, ma intendeva rimanere per più di una settimana! Era davvero un sogno diventato realtà. “Sarebbe meraviglioso,” disse. Salirono di sopra e sistemarono Roy nella stanza che si trovava accanto al suo studio. Emily sapeva che a un certo punto avrebbe voluto entrarci, probabilmente da solo. “Questa stanza va bene?” chiese. “Oh, sì. È adorabile,” rispose Roy. “E si trova proprio accanto alla mia scala segreta.” Emily si accigliò. “Alla tua cosa?” “Non mi dire che non l’hai trovata,” disse Roy. Aveva un’ombra di malizia nello sguardo, che rivelava il suo problemino di un tempo con la pazzia, quella spirale che aveva trasformato la sua passione giocosa per le mappe dei tesori in casseforti segrete e inaccessibili dalle combinazioni nascoste. “Vuoi dire la scala per il belvedere?” chiese Emily. “Quella l’ho trovata. Ma è al secondo piano.” Roy allora applaudì rumorosamente, come se deliziato dalla cosa. “Non l’hai trovata! La scala dei domestici.” Emily scosse la testa per dire di no. “Ma ho visto i progetti di tutta la casa. Il bar era l’ultimo luogo nascosto che c’era.” “Una cosa non può essere nascosta se si trova nei progetti!” esclamò Roy. “Mostracela,” disse Daniel. Pareva elettrizzato, come quando avevano scoperto il bar. Roy li condusse nel suo studio. “Non vi siete chiesti perché ci fosse lo stipite di un camino su questo muro?” Ci bussò contro, e ne uscì un suono vuoto. “Tutti gli altri stipiti dei camini sono su muri esterni. Questo è su un muro interno.” “Non mi è neanche passato per la testa,” disse Emily. “Be’, è qui dietro,” disse Roy. “Ti spiace darmi una mano, Daniel?” Daniel obbedì subito. Rimossero quella che agli occhi di Emily adesso era una parete finta tappezzata in modo da essere uguale al resto della stanza. Ed eccola lì. Una scala. Semplice, niente di particolarmente bello da vedere, ma era la sua stessa esistenza a entusiasmarli. “Non ci credo,” disse Emily avanzando. “È per questo che hai scelto di fare lo studio qui?” “Ovviamente,” rispose Roy. “Le scale erano la scorciatoia della servitù per raggiungere il dormitorio senza essere visti da chi si trovava in casa. Va da qui giù fino al seminterrato, che è il luogo in cui un tempo dormivano i domestici.” “E questo è l’unico accesso,” affermò Emily, capendo adesso perché non l’avesse trovata prima. Il seminterrato conteneva ancora delle stanze che non aveva esplorato, e lo studio di suo padre era la stanza sulla quale aveva lavorato meno. Roy annuì. “Sorpresa.” Emily rise e scosse la testa. “Così tanti segreti.” Uscirono dallo studio e Roy andò in camera sua. Emily andò a chiudergli la porta, ma lui le si avvicinò per darle il bacio della buonanotte. Emily si bloccò, sconvolta. Suo padre non le dava un bacio da così tanto tempo, da ben prima che scomparisse dalla sua vita. “Buonanotte, papà,” disse frettolosamente. Chiuse la porta e si precipitò in camera sua. Una volta che fu dentro, al sicuro, Daniel la strinse immediatamente in un abbraccio di cui aveva davvero bisogno. “Come va?” le chiese dolcemente, cullandola delicatamente tra le braccia. “Non riesco a credere che sia davvero qui,” balbettò lei. “Continuo a pensare che sia un sogno.” “Di cosa avete parlato?” “Di tutto. Cioè, so che sto ancora elaborando la cosa, ma è stato catartico. Ho la sensazione che ora possiamo lasciarci tutto il dolore alle spalle e ricominciare da capo.” “Quindi sono lacrime di felicità quelle che mi bagnano la spalla?” scherzò Daniel. Emily si fece indietro e rise della macchia scura che Daniel aveva sulla camicia. “Ops, scusa,” disse. Non si era neanche accorta di piangere. Daniel la baciò con leggerezza. “Non c’è nulla di cui scusarsi. Lo capisco che sarà dura. Se devi piangere o ridere o urlare o altro, io sono qui. Okay?” Emily annuì, molto grata di avere un uomo tanto meraviglioso nella sua vita. E adesso, con suo padre lì con lei, le pareva che tutto stesse andando davvero a posto. Almeno, dopo così tanti anni trascorsi a vivere una vita insoddisfacente, sentiva che finalmente avrebbe vissuto la vita che meritava. Al suo matrimonio mancava solo una settimana. E adesso, per la prima volta, con tutte le persone che amava accanto a sé, si sentiva davvero pronta a compiere quel passo. Adesso era il momento di sposarsi.
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