CAPITOLO CINQUE

1419 Words
CAPITOLO CINQUE Il Santissimo e Supremo Ra sedeva sul suo trono dorato nella capitale, nel mezzo di Andros, e guardava la sala piena di generali, schiavi e supplicanti sfregando le mani sui braccioli del trono e provando immensa soddisfazione. Sapeva di doversi sentire vittorioso e sazio dopo tutto quello che aveva ottenuto. Dopotutto Escalon era stata l’ultima roccaforte della libertà nel mondo, l’ultimo luogo nel suo impero che ancora si sottraeva alla suo soggiogazione, e negli ultimi giorni era riuscito a condurre i suoi eserciti in uno dei più grandiosi attacchi di tutti i tempi. Chiuse gli occhi e sorrise godendosi l’immagine del passaggio alla Porta Meridionale, senza impedimenti; della razzia di ogni cittadina nel sud di Escalon; del passaggio verso nord per tutto il tragitto fino alla capitale. Sorrise pensando che quel paese, una volta così abbondante e ricco, ora era un’enorme tomba. Sapeva che a nord Escalon non se la passava tanto meglio. Le sue flotte erano riuscite a inondare la grandiosa città di Ur, della quale ora non restava che il ricordo. Sulla costa orientale le sue navi avevano conquistato il Mare di Lacrime e distrutto tutte le città portuali che si affacciavano sul mare, iniziando con Esefo. Neanche un centimetro di Escalon restava fuori dalla sua morsa. E cosa più importante, il più ribelle comandante di Escalon, l’agitatore che aveva dato inizio a tutto questo – Duncan – si trovava in prigione come suo prigioniero. In effetti, mentre osservava il sole sorgere attraverso la finestra, Ra era frastornato dall’eccitazione all’idea di portare personalmente Duncan sul patibolo. Avrebbe lui stesso tirato la corda e l’avrebbe guardato morire. Sorrise al pensiero. Quello sarebbe stato un giorno meraviglioso. La vittoria di Ra era stata completa su tutti i fronti, eppure lui non si sentiva ancora del tutto sazio. Stava lì seduto e guardava dentro se stesso cercando di capire quel sentimento di insoddisfazione. Aveva avuto tutto ciò che desiderava. Cosa gli mancava ancora? Ra non si era mai sentito sazio, in nessuna delle sue campagne né in tutta la sua vita. C’era sempre stato qualcosa che gli bruciava dentro, un desiderio di avere di più, e di più ancora. Anche ora lo provava. Cos’altro poteva fare per esaudire i suoi desideri? Per rendere la sua vittoria realmente completa? Lentamente gli venne in mente un piano. Poteva uccidere ogni uomo, donna e bambino rimasti ad Escalon. Prima di tutto poteva stuprare le donne e torturare gli uomini. Sorrise. Sì, questo sarebbe stato d’aiuto. In effetti poteva iniziare proprio adesso. Ra guardò i suoi consiglieri, centinaia dei suoi migliori uomini, tutti inginocchiati di fronte a lui con le teste abbassate, nessuno che osasse incrociare il suo sguardo. Fissavano tutti il pavimento senza emettere un solo suono, proprio come ci si aspettava facessero. Dopotutto erano fortunati a trovarsi alla presenza di un dio quale lui era. Ra si schiarì la voce. “Portatemi subito dieci delle donne più belle rimaste sulla terra di Escalon,” ordinò con voce profonda e tonante che riecheggiò nella stanza. Uno dei suoi servitori chinò la testa fino a toccare il pavimento di marmo. “Sì, mio signore,” disse voltandosi e correndo via. Ma quando il servitore raggiunse la porta, quella si aprì di schianto prima che la toccasse e un altro intendente irruppe nella sala freneticamente, correndo verso il trono di Ra. Tutti gli altri nella stanza sussultarono, inorriditi dall’affronto. Nessuno avrebbe mai osato entrare in una stanza, tantomeno avvicinarsi a Ra, senza essere stato formalmente invitato. Farlo significava morte certa. Il servitore si buttò a terra con il volto contro il pavimento e Ra lo fissò disgustato. “Uccidetelo,” ordinò. Immediatamente numerosi soldati accorsero e afferrarono l’uomo. Lo trascinarono via mentre si dimenava e gridava: “Aspettate, mio meraviglioso signore! Porto urgenti notizie, notizie che dovete sentire subito!” Ra lasciò che l’uomo venisse trascinato via, senza curarsi delle notizie. L’uomo si dimenò per tutto il tragitto, fino a che raggiunsero l’uscita e mentre la porta stava per chiudersi gridò: “Duncan è fuggito!” Ra, provando una scossa di shock, improvvisamente sollevò la mano destra. Gli uomini si fermarono, tenendo il messaggero fermo alla porta. Accigliato, Ra lentamente esaminò l’informazione. Si alzò in piedi e respirò profondamente. Scese i gradini d’avorio, uno alla volta, con i suoi stivali dorati che riecheggiavano mentre attraversava l’intera sala. Tutti erano in silenzio nella stanza, la tensione era palpabile. Ra alla fine si fermò di fronte al messaggero. A ogni passo sentiva la rabbia crescere dentro di sé. “Ripetilo,” ordinò con voce oscura e minacciosa. Il messaggero tremava. “Mi spiace tantissimo, mio grandioso e santo Supremo Signore,” disse con voce tremante, “ma Duncan è fuggito. Qualcuno ha fatto irruzione nelle prigioni e l’ha fatto uscire. I nostri uomini lo stanno cercando in tutta la capitale anche ora che stiamo parlando!” Ra si sentì avvampare in volto, sentì il fuoco che gli ardeva dentro. Serrò i pugni. Non lo avrebbe permesso. Non avrebbe permesso che lo derubassero dell’ultimo pezzo della sua soddisfazione. “Grazie per avermi portato questa notizia,” disse. Sorrise, e per un momento il messaggero si sentì rilassato, iniziò quasi a sorridergli in risposta, gonfiandosi di orgoglio. Ra gli avrebbe sicuramente dato una ricompensa. Fece un passo avanti e lentamente mise una mano attorno al collo dell’uomo, quindi strinse con forza sempre maggiore. L’uomo strabuzzò gli occhi fuori dalla testa e prese i polsi di Ra, ma non riuscì a tirargli via le mani. Ra sapeva che non ne sarebbe stato capace. Dopotutto era solo un uomo e Ra era il grandioso e santo Ra, l’uomo che un tempo era stato un dio. L’uomo collassò al suolo, morto. Ma questo diede a Ra ben poca soddisfazione. “Uomini!” tuonò. I suoi comandanti scattarono in azione e lo guardarono con paura. “Bloccate ogni uscita della città! Spedite ogni soldato che abbiamo a trovare Duncan. E mentre siete impegnati a fare questo, uccidete ogni uomo donna e bambino all’interno della città di Escalon, fino all’ultimo. ANDATE!” “Sì, supremo signore!” risposero gli uomini tutti insieme. Uscirono tutti di corsa dalla stanza inciampando l’uno contro l’altro, tutti lanciandosi a compiere l’ordine del loro padrone più rapidamente degli altri. Ra si voltò, fumante di rabbia, e fece un profondo respiro attraversando da solo la sala che ora era vuota. Si portò su un largo balcone esterno e guardò la città. Quando fu fuori sentì l’aria fresca e scrutò la caotica città di sotto. Fu felice di vedere che i suoi soldati ne occupavano la maggior parte. Si chiese dove potesse essere Duncan. Lo ammirava, doveva ammetterlo. Forse vedeva addirittura in lui qualcosa di se stesso. Eppure Duncan avrebbe imparato cosa volesse dire tagliare la strada al grandioso Ra. Avrebbe imparato ad accettare di buon grado la morte. Avrebbe imparato a sottomettersi, come il resto del mondo. Iniziarono a risuonare le grida e Ra abbassò lo sguardo vedendo i suoi uomini che sollevavano le spade e le lance trafiggendo ignari uomini, donne e bambini alle spalle. Secondo i suoi ordini le strade iniziarono a riempirsi di sangue. Ra sospirò, lieto di questo e provando una certa soddisfazione. Tutti quegli Escaloniani avrebbero imparato la lezione. Era la stessa cosa ovunque andasse, in ogni terra conquistasse. Avrebbero pagato per i peccati del loro comandante. Un improvviso rumore squarciò l’aria, ancora più forte delle grida che provenivano dal basso, risvegliando di soprassalto Ra dai suoi pensieri. Non capiva cosa fosse o perché lo disturbasse tanto. Era un basso e profondo rombo, qualcosa di simile a un tuono. Proprio quando si chiedeva se l’avesse realmente udito, quello si ripropose e Ra si rese conto che non veniva dal suolo, ma dal cielo. Sollevò lo sguardo, sorpreso, scrutando le nuvole, perplesso. Il rumore si ripeté di nuovo, poi di nuovo ancora, e Ra capì che non era un tuono. Era qualcosa di molto più minaccioso. Mentre esaminava le nuvole grigie e ondeggianti, Ra improvvisamente vide qualcosa che mai avrebbe dimenticato. Sbatté le palpebre, certo di essersi immaginato tutto. Ma non servì a nulla distogliere lo sguardo più volte: la visione era ancora lì. Draghi. Un intero branco. Scendevano verso Escalon con gli artigli protesi, le ali sollevate, soffiando fiammate di fuoco. E volando dritti verso di lui. Prima che potesse addirittura rendersene conto, centinaia di soldati di sotto vennero avvolti dalle fiamme lanciate dai draghi, gridando, imprigionati in una colonna di fuoco. Centinaia di altri gemettero mentre i draghi li facevano a pezzi. Restando lì, paralizzato dal panico, incredulo, un enorme drago lo prese di mira. Si diresse verso il suo balcone, sollevò gli artigli e si tuffò. Un attimo dopo tagliò a metà la pietra, mancando per un pelo Ra, che si abbassò. Terrorizzato Ra sentì la pietra cedere sotto i suoi piedi. Un attimo dopo si sentì precipitare, dimenandosi e gridando, verso il suolo. Aveva pensato di essere intoccabile, più grande di tutti loro. E invece alla fine la morte l’aveva trovato.
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