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EMMA
«Vorrete esaminare il vostro acquisto, ora, ne sono certa,» commentò la signora Pratt. Aveva invitato il giudice di pace a recarsi al piano di sotto indirizzandolo verso Rachelle. Lui non si era fatto scrupoli nell’ufficiare a quella insolita cerimonia, un compito che molto probabilmente aveva già svolto in passato; senza dubbio i servizi di Rachelle erano stati sempre un omaggio a seguito dei suoi servigi.
Ian si spostò per mettersi accanto a Kane. Erano entrambi alti e con le spalle ampie. Non sapevo quale lavoro svolgessero, ma quasi sicuramente si trattava di qualcosa per cui erano richiesti i loro muscoli dal momento che erano entrambi ben formati. Forzuti. Non erano i tipici gentiluomini che sedevano a far niente. A giudicare dal loro aspetto, dall’intensità che emanavano, erano uomini potenti. E uno di loro era mio marito. L’altro mi guardava con la stessa luce possessiva negli occhi. Li trovavo anche entrambi bellissimi.
«Sì,» rispose Kane.
Sgranai gli occhi, spalancai la bocca e feci un passo indietro, allungando una mano in un debole gesto di difesa. «Di certo non vi aspetterete che-»
Kane sollevò a sua volta una mano per interrompere le mie parole. «Sposare me ti ha indubbiamente salvata da una sgradevole situazione in cui ti trovavi. Ho pagato una somma ragguardevole per farlo. Dunque, mi sono guadagnato il diritto di ispezionare la merce.»
Merce? Mi si infiammarono le guance, e quella volta non per l’umiliazione, bensì per l’indignazione. «Non sono una cavalla di valore che avete acquistato per l’accoppiamento.»
Kane inarcò un sopracciglio scuro. Mi trafisse coi suoi occhi altrettanto scuri. «Ah no?»
Quella domanda mi lasciò senza parole ed io mi voltai, incapace di guardarlo.
«Ecco.» La signora Pratt porse un vasetto di vetro a Ian. «Questo faciliterà l’ingresso.»
«Non ce n’è bisogno,» replicò Kane. «Avrà la fica bagnata quando la controllerò.»
Fica? Non avevo mai sentito quel termine prima, eppure sapevo che era volgare e un eufemismo del suo dialetto per indicare i genitali di una donna. Strinsi le gambe. Mi avrebbe infilato le dita dentro. Lì. Non avevo idea di cosa stesse parlando riguardo all’essere bagnata, ma sembrava sicuro di sé.
«Non preoccuparti, ragazza. Kane te lo farà piacere, stanne certa. Vi prego di lasciarci soli, signora Pratt,» disse Ian. Non Kane, bensì Ian. Intendeva rimanere nella stanza? Adesso? Inghiottii la mia paura per quei due dominatori.
Lasciarci? Dubitavo fortemente che mi sarebbe piaciuto farmi toccare da Kane come immaginava lui. Bello o meno, io ero diffidente e ne avevo tutto il diritto. Quel giorno erano cambiate troppe cose per me per non esserlo.
La signora Pratt se ne andò piuttosto in fretta; aveva guadagnato i suoi soldi e si era sbarazzata di me senza problemi. Avendo pronunciato i voti, non solo per vie legali ma anche agli occhi di Dio, Kane non avrebbe potuto cambiare idea.
Noi tre restammo nella stanza, ora meno affollata, seppur mi sentissi troppo piccola vista l’enorme stazza di Ian e Kane. Mi sentivo minacciata, sopraffatta.
«Sei insoddisfatta di tuo marito?» domandò Kane, una traccia di umorismo nella voce.
Il suo tono mi fece voltare di scatto a guardarlo, ma vidi dalla sua espressione che era stata quella la sua intenzione. Aveva voluto che lo guardassi. Che li guardassi entrambi.
«Di ciò che intendete fare, sì.»
«Siamo i tuoi mariti. Ti toccheremo, eccome.»
Spalancai gli occhi e mi allontanai, ora davvero spaventata. «Voi? Entrambi? Devo avervi sentito male.»
Entrambi scossero la testa. «Hai sentito bene.» Kane indicò se stesso, poi Ian. «Noi siamo i tuoi mariti.»
Era assurdo ed ero certa che l’espressione sul mio viso lo dimostrasse. «Non posso avere due mariti!»
«Legalmente sei sposata con Kane, ragazza, tuttavia sei anche mia. Io sono Ian Stewart.» La voce di Ian era più profonda di quella di Kane, più oscura e con un accento più marcato.
Scossi la testa, le lacrime che avevo tenuto a bada così a lungo che ormai mi riempivano gli occhi, riversandosi sulle mie guance. «Perché? Non capisco.»
«Come puoi capire dai nostri accenti, siamo britannici.»
«Parla per te,» borbottò Ian. «Io sono scozzese.»
«Io... non voglio vivere in Inghilterra,» dissi, scuotendo violentemente la testa nel mentre.
«Nemmeno noi. Possiamo anche venire da un altro paese, ma casa nostra è qui nel Territorio del Montana.»
Non sembrava il tipo di uomo da mentire, per cui percepii una debolissima scintilla di speranza riguardo al fatto che non avrei dovuto vivere in un paese straniero. Ero solamente sposata con degli stranieri. Che concetto folle!
Kane incrociò le braccia sul petto ampio. «Siamo soldati. Le nostre vite sono state trascorse a difendere il regno per la Regina e per il paese. Ciò includeva un tratto nel piccolo stato del medio oriente di Mohamir che ha ampliato le nostre prospettive circa il trattamento e il possesso delle donne.»
Mohamir? Non ne avevo mai sentito parlare, tuttavia non conoscevo i confini geografici più lontani. «Possesso?»
Ian si passò con disinvoltura il barattolo da una mano all’altra come avrebbe fatto con una palla di neve d’inverno. «Una moglie appartiene al marito, lo sai? Puo fare di lei ciò che ritiene giusto. Abusarne, picchiarla, trattarla male. Nulla può fermarlo, nemmeno la legge né Dio possono proteggere una donna dal marito.»
Mi sentii sbiancare e indietreggiai barcollando. Quegli uomini erano come Thomas. La signora Pratt mi aveva promesso che non avrei dovuto soffrire il destino descritto da Ian. Lui fece un passo avanti e mi prese per un gomito, la sua presa sorprendentemente delicata considerate la sua stazza e le sue parole cupe.
«Tranquilla, ragazza,» mormorò.
«Vi prego... vi prego, non fatemi del male,» sussurrai, la testa voltata altrove, ritraendomi da qualunque cosa quell’uomo avesse voluto farmi. Non sarei sopravvissuta a due uomini che abusavano di me.
Kane si avvicinò ed io sollevai una mano per ripararmi il volto.
«Emma. Emma, ragazza, guardami.» La voce di Ian era insistente, tuttavia la sua presa rimase delicata. Voltando a malapena la testa, gli lanciai un’occhiata – a entrambi – attraverso le ciglia. Loro mi guardavano intensamente, le mascelle serrate, un tendine nel collo di Ian in evidenza.
«Non ti picchieremo mai. Non saremo mai crudeli,» promise Ian. «Ti stimeremo e ti rispetteremo come si fa ad Est. Sarai accudita e protetta.»
«Da entrambi,» aggiunse Kane solennemente. «In quanto nostra moglie, ci appartieni. È nostro compito tenerti al sicuro, occuparci della tua felicità e del tuo piacere. A cominciare da ora.»
«Confermando la mia verginità. Dubitate di me e della signora Pratt,» protestai.
«Troverai piacere quando io avrò trovato tale conferma, te lo garantisco.» Kane sospirò, probabilmente quando vide lo scetticismo sul mio volto. «La signora Pratt non sarebbe uscita dalla stanza se avesse detto il falso, ma ho intenzione di scoprire la verità. Non ce ne andremo da qui finché non l’avrò fatto.»
«Perché?» domandai confusa. Perché gli serviva la conferma? «Siamo sposati e non si possono infrangere le promesse. Sono vostra moglie, vergine o meno.» Lanciai un’occhiata a entrambi mentre lo dicevo.
«Dobbiamo sapere se sei vergine perché così, quando ti prenderemo per la prima volta, lo faremo nel modo giusto.»
Non sapendo cosa intendesse, chiesi, «Non vi fidate della mia parola al riguardo?»
«Non ti conosciamo,» controbatté Kane. «E cambieremo subito la cosa.»
Arretrai di un passo, sollevando lo sguardo sull’uomo a cui ora appartenevo con gli occhi spalancati per la paura. «Voi mi... mi costringereste?»
Ian e Kane si scambiarono un’occhiata, apparentemente comunicando senza proferire parola. Ian guardò il barattolo di vetro che aveva tra le mani, rifletté su qualcosa, poi lo posò sulla scrivania.
«Lo dirò ancora una volta,» ripeté Kane. «Sono tuo marito. Ian è tuo marito. Farai come ti diciamo in ogni cosa, ma ti posso assicurare, così come può farlo Ian, che non ci sarà alcun bisogno di costringerti. Sarei ben soddisfatta prima ancora che avremo finito.»
Così arrogante! «Oh? E perché mai?»
«Perché sarai bagnata e desidererai le nostre mani su di te. Ho intenzione di affondarti le dita dentro la fica per cercare la tua verginità e tu mi vorrai dentro di te. Poi ti concederò il tuo primo piacere. Sei bagnata adesso?»
«Continuate a parlare di essere bagnata.» Aggrottai la fronte confusa. «Io... non so cosa intendiate.»
Invece di avvicinarsi, lui si spostò fino alla comoda poltrona in un angolo e si sedette. Si appoggiò allo schienale, con le braccia poste con nonchalance sui braccioli imbottiti, le gambe aperte e allungate di fronte a sé.
«La signora Pratt ha detto che hai guardato una coppia scopare ed è per questo che ti trovi qui.» Io spalancai gli occhi, ma lui proseguì. «Si trovavano su un letto?»
«No! State insinuando che mi sono intrufolata e nascosta a spiare.»
«Ti hanno lasciata guardare, dunque?» domandò Ian, ancora in piedi accanto a me.
«No!» ripetei, agitandomi per via del fatto che quei due uomini mi stavano assillando con le loro parole. «Sono tornata a casa e li ho trovati... in cucina.»
«Ah. Gli hai visto l’uccello?»
Non sapevo come rispondere. Certo che gli avevo visto l’uccello. Stavano... scopando! Mi avrebbe resa merce danneggiata se avessi risposto di sì?
«Le stava scopando la fica? La bocca? Il culo?» volle sapere Kane.
«Signor Kane, per piacere!» esclamai, arrossendo. Mi coprii le guance con le mani. Come poteva parlarne tanto facilmente?
«Lei aveva la fica bagnata, ragazza?» insistette Ian.
«Non so...»
«Tra le sue gambe.» Mi interruppe con voce profonda. «Era bagnata tra le gambe?»
«Sì,» risposi, frustrata e non abituata ad essere verbalmente prevaricata.
«In questo istante, la tua fica è bagnata come lo era la sua?»
Feci un altro passo indietro e andai a sbattere contro la scrivania. Afferrandola, strinsi la presa sul bordo in legno alle mie spalle. Mi dava stabilità – qualcosa a cui aggrapparmi, mentre il mondo mi vorticava intorno. La domanda era, si sarebbe mai più rimesso a posto?
«Certo che no.»
«Allora ti bagnerò io così che le mie dita possano infilarsi dentro facilmente,» replicò Kane con sicurezza.
«Perché è così importante, questo... essere bagnata?» domandai, agitando una mano di fronte a me.
«Ci dice se sei eccitata. È un segno, un’indicazione circa ciò che ti eccita, anche quando potresti dirci il contrario.»
«Cosa? No.» Quando lui non si mosse, non disse nulla, io proseguii. «Io non volevo tutto questo. Non ho chiesto di essere qui. Thomas mi ha drogata ed io mi sono svegliata qui, l’unica opzione era lavorare per la signora Pratt o sposare voi. Non volevo fare nessuna delle due cose, sposare nessuno di voi due. Non entrambi. Come potete aspettarvi che sia eccitata quando non è stata una mia scelta?»
«Chi è Thomas?» chiese Ian, assottigliando lo sguardo.
«Il mio fratellastro.»
«È lui che hai visto scopare?» chiese Kane.
Mi leccai le labbra. «Prima ho visto il suo segretario con una delle governanti, poi, quando lui ha finito, è toccato a Thomas, ma sono stata scoperta e sono fuggita prima di assistere a gran parte di quello.»
Ian annuì. «Ora capisco. Il tuo fratellastro non mi era sembrato un tipo a posto. Non c’è da meravigliarsi che tu sia diffidente nei confronti degli uomini.»
«Puoi anche non volerlo – questo matrimonio o qualunque cosa ti faremo – la tua mente può anche dirti di resistere seguendo il modo in cui senti di dover reagire, ma il tuo corpo ci mostrerà la verità,» disse Kane.
Ero scettica. Dubbiosa. Era di questo che parlava? Di come la mia mente stesse mettendo in dubbio la situazione, ma poteva il mio corpo andare contro i miei stessi desideri e agire di propria sponte? Era impossibile, eppure altrettanto lo era essere sposata con due uomini. Io sapevo controllarmi. Incrociai con decisione le braccia davanti al petto. «Come?»
«So che hai paura.» Si interruppe, guardandomi attentamente. Quando io trassi un respiro profondo e annuii, lui proseguì. «Rispondi alle mie domande. Non ti toccherò nemmeno mentre te le porrò.» Si chinò in avanti, le mani sulle ginocchia, e sollevò lo sguardo su di me, scuro e affascinante.
«Non mi toccherete?» ripetei, desiderando che confermasse quanto aveva detto. Mi dava speranza, ma lasciai che sul mio viso fosse espresso il mio pessimismo, specialmente quando guardai Ian.
«Nessuno di noi lo farà. Non ancora,» chiarì. «Quando il tuo corpo sarà pronto, allora troverò la tua verginità.»
Continuai a guardarlo con scetticismo, dubitando di lui dal momento che il mio corpo non sarebbe mai stato pronto, ma lui ne era così sicuro!
«Dimmi, Emma, cosa ti è piaciuto del guardare la coppia scopare?» domandò Ian. Si spostò per appoggiarsi alla parete, le caviglie incrociate, rilassato. Essendo lui così vicino alla porta, non c’era via di fuga. «Non il tuo fratellastro. L’altro.»
Lanciai un’occhiata ad un tagliacarte sul tavolo, ai miei piedi scalzi, al caminetto spento, ovunque tranne che a lui. Loro. Stavano mettendo alla prova la mia suscettibilità.
«Rispondimi, per favore.»
Non potevo evitare di farlo. Sembrava che la sua pazienza fosse infinita e che avrebbe ottenuto ciò che voleva. Erano entrambi così. Come avevano detto, appartenevo a loro. Oh, signore benedetto, a loro! Il tono di Kane – il modo in cui si era messo dall’altra parte della stanza, il modo in cui Ian se ne stava in piedi con tanta noncuranza – li rendeva inoffensivi, come se fosse stata quella la loro intenzione. Ad ogni modo, era impossibile dimenticare il loro obiettivo. Quell’approccio gentile era un piano per conquistarmi ed era solo una questione di tempo prima che la loro vera natura venisse alla luce. Non poteva essere tanto semplice quanto due uomini che mi desideravano e basta.
«Stavo tornando a prendere la sacca del pranzo di un bambino e inizialmente non sapevo a cosa stessi assistendo.» Quando loro mi guardarono in silenzio con sguardi scuri e penetranti, ma non risposero, io proseguii. «Mi ha colto di sorpresa. Non mi ero mai aspettata, non avevo mai saputo, che una cosa del genere potesse accadere in cucina.»
«Non hai risposto alla mia domanda, ma lascerò correre. Come se la stava scopando?» domandò Kane.
Chiusi brevemente gli occhi, per nulla abituata a quel genere di domande. «Lei era... sulla schiena sul tavolo. Lui le teneva le caviglie sollevate e le gambe spalancate. Il suo membro-»
«Cazzo.» Trasalii quando Ian disse quella parola, interrompendomi. «Il suo cazzo. Dillo, ragazza.»
Mi leccai le labbra. «Il suo... cazzo era grande, duro e rosso e lui glielo stava mettendo dentro, più e più volte.»
«Le stava scopando la fica col cazzo.» Disse lui le parole che a me non riuscivano.
Mi scostai un ricciolo dal volto. «Sì.»
«La donna stava apprezzando le sue attenzioni?»
Io guardai Kane a quella domanda, incrociando il suo sguardo. «Sì. Sì, le piaceva.»
«A te è piaciuto guardare?»
Mi scostai dal bordo della scrivania e presi a fare avanti e indietro per la stanzetta, dal caminetto spento fino alla libreria e viceversa, tenendomi alla larga da Ian. Non potevo dire loro la verità. Cosa avrebbero pensato di me? Sarei stata proprio come le ragazze al piano di sotto se avessi ammesso di aver sentito... un desiderio scorrermi dentro nel vedere le loro azioni.
«Emma?»
«No. No, non mi è piaciuto,» risposi, distogliendo lo sguardo.
«Emma.» Quella volta, quando pronunciò il mio nome, lo fece con asprezza e disappunto. «Ti concederò quest’unica possibilità per mentirmi. In futuro, se lo farai, ti prometto che non apprezzerai le conseguenze.»