3
EMMA
Diverse ore più tardi, mi trovavo in piedi di fronte ad un gruppo di uomini con indosso solamente la mia sottoveste, quella nuova che avevo acquistato con tanta impazienza a inizio settimana. La signora Pratt, per quanto apparentemente gentile, aveva ritenuto prudente lasciare che gli offerenti vedessero più del mio corpo di quanto il mio abito non mettesse in mostra. Ora, rimproveravo l’indumento che avevo tanto ammirato, in quanto il tessuto era tanto sottile da essere semitrasparente. Non riuscivo a guardare nessuno di quegli uomini, a vedere l’espressione sui loro volti, mentre scrutavano il mio corpo come se fossero stati intenti ad ispezionare un cavallo prima di acquistarlo. Tenni la mia attenzione fissa sul pavimento.
Guardare in basso mi suggeriva cosa potessero vedere gli altri di me. Il colore dei miei capezzoli era palesemente visibile, le punte rigide che facevano capolino. La sottoveste mi arrivava a metà coscia ed ero certa che il colore scuro dei peli tra le mie gambe fosse chiaramente distinguibile. Il ricercato ricamo sull’orlo non faceva che attirare lo sguardo degli uomini sulla sua scarsa lunghezza. Per me era stato piacevole indossare un indumento tanto decadente sotto il mio abito modesto, con la consapevolezza segreta di cosa ci fosse al di sotto, ma essere esposta a tal modo ad una stanza piena di uomini era mortificante. Umiliante. Totalmente terrificante.
Era quasi impossibile non coprirmi con le braccia, tirare verso il basso l’orlo con dita tremanti, ma la signora Pratt aveva chiarito che il mio futuro marito avrebbe voluto avere una buona visuale di ciò che avrebbe acquistato. Se doveva essere quello il caso, io avrei dovuto essere nuda; tuttavia di certo non avrei suggerito l’idea. Per fortuna, la stanzetta non era troppo illuminata, c’erano solamente un paio di lampade accese che gettavano una flebile luce gialla. Non faceva freddo, ma mi venne la pelle d’oca sulle braccia comunque. Il leggero odore di cherosene misto a tabacco riempiva l’aria.
E così me ne stavo lì in piedi, mani lungo i fianchi a sfregare i polpastrelli l’uno contro l’altro, gli occhi che guardavano ovunque meno che in direzione degli uomini mentre l’aria si riempiva di mormorii. La signora Pratt era l’unica altra donna nella stanza ed io sapevo di avere tutti gli sguardi puntati addosso, con gli uomini seduti in semicerchio su delle sedie attorno a me. Avrebbero potuto avere qualsiasi altra donna al piano di sotto, dunque perché io? Perché una verginella inesperta quando un’autentica cortigiana avrebbe potuto venire incontro ad ogni loro necessità senza il peso di un vincolo coniugale? Chiaramente, col fatto che non si fossero avvalsi di quell’opzione, per quanto disponibile, quegli uomini erano seri in quanto alle loro intenzioni. Avevo brevemente scorto quattro di loro entrando, ma mi ero rifiutata di incrociare lo sguardo di chiunque. Non era che avessi paura di conoscere qualcuno di loro – le possibilità erano incredibilmente remote dal momento che ci trovavamo a Simms e non ad Helena – ma non volevo vedere le loro espressioni mentre notavano il mio dishabillé. Non volevo vedere le loro espressioni mentre mi guardavano.
«È vergine?» domandò un uomo alla mia destra.
La signora Pratt, che era in piedi alle mie spalle, parlò, le sue parole secche e sorprendentemente stizzite. «Non mettete in dubbio l’integrità delle mie aste, signor Pierce.»
L’uomo emise un verso insoddisfatto con la gola, ma non rispose.
«La voglio nuda,» aggiunse un altro.
«Emma,» la signora Pratt si rivolse a me invece di rispondere alla richiesta. «Cos’ha visto un uomo del tuo corpo?»
Mi voltai verso la sua voce, sollevando lo sguardo su di lei attraverso le mie ciglia abbassate. «Signora?» domandai, la voce a malapena più che un sussurro.
«Un uomo ti ha mai visto le caviglie?»
Arrossii violentemente a quell’idea. «No.» Abbassai lo sguardo e mi concentrai sul tappeto sotto i miei piedi.
«Un polso?»
Scossi la testa. «No.»
«Questa è la prima volta che un uomo ti vede con indosso solamente una sottoveste?»
Perché doveva sottolineare l’entità della mia innocenza? Trassi un respiro profondo per placare il cuore che mi batteva forte. Sembrava che volesse uscirmi dal petto. Leccandomi le labbra, risposi. «Sì, signora.»
«Allora, signor Rivers, l’assistere alla sua reazione nel trovarsi nuda con un uomo sarà un privilegio riservato solamente a suo marito. Fate l’offerta più alta e quell’uomo sarete voi.»
Una voce parlò alla mia sinistra. «È stata addestrata a venire incontro alle esigenze di suo marito?»
«Certo che no, signor Potter. Il suo addestramento è responsabilità di suo marito.»
«E un piacere.» La voce dell’uomo giunse proprio da davanti a me. Era un timbro profondo, ruvido, eppure sicuro di sé. Vedevo solamente i suoi piedi e la parte inferiore delle gambe. Stivali di pelle, pantaloni neri. Mi rifiutai di guardare più in alto. Piacere, aveva detto? Quell’uomo avrebbe trovato piacere nell’addestrarmi ad andare incontro alle sue necessità? Mi tornò in mente una visione di Clara, a gambe spalancate, che si faceva dare piacere da Allen. La governante aveva fatto ciò che l’uomo desiderava?
«Precisamente,» aggiunse la signora Pratt, le sue parole che mi riportavano al presente. «Cominciamo? L’asta parte a mille dollari.»
Quel prezzo mi fece trasalire. Così tanto? Non c’era da meravigliarsi che la signora Pratt volesse vendermi al miglior offerente. Rientrava facilmente delle spese e ne avrebbe ricavato un bel profitto.
Il prezzo salì quasi subito. Non osavo sollevare lo sguardo per vedere chi stesse facendo offerte. Il peso della situazione non mi era sconosciuto. Quelle voci erano di uomini che volevano sposarmi. Sposarmi. Ed erano disposti ad offrire una piccola fortuna per farlo. Non c’era corteggiamento, niente cene, niente passeggiate o uscite in accompagnamento. Nessuna confidenza sussurrata, sorrisi provocanti o baci rubati. Quegli uomini stavano facendo offerte per me per via della mia purezza, del mio aspetto e della rassicurazione della signora Pratt circa il fatto che sarei andata incontro alle loro necessità sessuali. Mi passai le dita sulla sottoveste ai miei fianchi mentre continuavo a studiare il motivo cachemire del tappeto, cercando di regolare il respiro. Quella situazione stava annientando la mia idea di sposarmi per amore e la stava rimpiazzando con qualcosa di squallido e ignobile.
«Venduta!» disse la signora Pratt in tono decisivo, facendomi sobbalzare. Era finita? Era successo così in fretta, forse solo un minuto o due, eppure la mia vita era cambiata in maniera irrevocabile. Ero troppo spaventata per sollevare lo sguardo e vedere l’uomo che aveva offerto di più. In effetti, non ero sicura di chi avesse vinto. Vedere il suo volto avrebbe solo reso il tutto molto più reale. «Signor Kane, signor Monroe, congratulazioni. Vi prego di seguirmi. Il dottore e il giudice di pace attendono nel mio ufficio.»
Aveva menzionato due uomini? Non poteva essere. La donna mi prese per un braccio e mi condusse via dalla stanza. Mentre camminavamo lungo il corridoio, notai l’uomo con gli stivali e i pantaloni scuri che ci seguiva. Era lui il signor Kane? Sarebbe stato mio marito? Quando svoltammo un angolo, notai un secondo uomo che ci seguiva un po’ più indietro. Era tutto così soverchiante, così disorientante. Rapido. Sembrava che dovessimo sposarci nell’immediato. La signora Pratt era una donna d’affari accorta e di certo non voleva correre alcun rischio che questo uomo, il signor Kane, si tirasse indietro dall’accordo. Di certo dei voti nuziali avrebbero risolto il problema.
Il giudice di pace era un uomo basso e robusto con dei baffi sottili. Aveva più peli sopra le labbra che capelli in testa. Bibbia alla mano, si alzò quando ci vide arrivare. Lo stesso fece il dottore, o così presunsi. Era alto e curato, di corporatura snella, ma attraente con indosso il suo completo scuro. Fissai lo sguardo oltre l’uomo con i pantaloni scuri e gli stivali, timorosa del fatto che se l’avessi guardato, tutto quello sarebbe diventato reale. L’uomo che ci seguiva si spostò per restarsene in disparte in un angolo. I suoi abiti erano meno formali: pantaloni scuri e camicia bianca. Aveva i capelli più lunghi del normale e la pelle abbronzata come se avesse passato molto tempo all’aperto. Il colore dei suoi capelli mi ricordava un campo di grano, in cui i riccioli venivano illuminati dal sole estivo. Con gli occhi verdi penetranti fissi su di me, mi sentivo esposta, ricordandomi di avere indosso solamente la mia sottoveste. Era come se fosse stato in grado di vedere attraverso il tessuto fino alla mia pelle inviolata. Quando il suo sguardo incrociò il mio, ebbi la sensazione che potesse vedermi dentro, leggendomi nel pensiero. Non potei impedirmi di incrociare le braccia al petto in un tentativo di modestia.
Mi sentii arrossire, i capezzoli che si indurivano alla consapevolezza che mi stesse guardando. Quando colsi con la coda dell’occhio un angolo della sua bocca incurvarsi verso l’alto, seppi che non mi avrebbe salvata da quella farsa di matrimonio.
«Dottor Carmichael, cominceremo con la sua visita,» disse la signora Pratt, e il mio sguardo si spostò su di lei.
Mi raggelai. Visita? Lì? Con quegli uomini? Incurvando le spalle, cercai di coprirmi il più possibile. Il dottore fece un passo verso di me ed io balzai indietro.
«Aspettate,» interruppe il signor Kane, sollevando una mano e facendo fermare l’altro uomo. Riconobbi la sua voce dall’asta. «Non vuoi vedere l’uomo che stai per sposare?» La sua voce era profonda e severa e mi resi conto che stava parlando con me. Le sue parole nascondevano un accento britannico, con le vocali corte e tronche. Cosa ci faceva un inglese così lontano da casa, nonché in un bordello a sposare una completa sconosciuta? Il modo in cui ignorava non solo la signora Pratt, ma anche il dottore, la diceva lunga sul suo potere, il che mi rendeva curiosa e allo stesso tempo timorosa di lui.
Chiusi brevemente gli occhi e deglutii. Non potevo più evitarlo. Voltandomi, guardai avanti, ma solamente sui bottoni della sua camicia bianca. Sollevando il mento, scorsi per la prima volta il mio sposo e mi si mozzò il respiro. La prima cosa che notai furono i suoi occhi. Scuri, così scuri da essere quasi neri, con delle sopracciglia ben definite. Mi guardava con una tale intensità, una tale possessività, che era difficile distogliere lo sguardo. I suoi capelli erano altrettanto scuri, così neri da avere quasi dei riflessi bluastri. Erano tagliati corti ai lati e più lunghi in cima per ricadergli sulla fronte. Il naso era sottile, ma leggermente curvo, come se a un certo punto fosse stato rotto. La mascella era ampia, squadrata, con un accenno di barba scura. Le labbra erano piene e un angolo era sollevato come se avesse saputo che ero impressionata da ciò che vedevo.
Era bellissimo, decisamente bellissimo. E alto – avrei detto quasi due metri – e altrettanto robusto. Le spalle erano ampie e ben definite sotto la camicia bianca, il petto robusto, che si stringeva in una vita sottile. Aveva le gambe lunghe e palesemente muscolose, una cosa che nell’altra stanza non avevo notato. Se non avesse parlato, non l’avrei riconosciuto come straniero.
A confronto con la sua enorme stazza, io ero piccola, praticamente striminzita. Quell’uomo, il mio sposo, avrebbe potuto facilmente farmi del male se l’avesse voluto, tuttavia lo sguardo ardente che aveva negli occhi mi diceva che voleva esaudire altri desideri. Con me. Trasalii.
«Ecco, adesso riesco a vederti in volto. Per dei capelli così scuri, hai degli occhi sorprendentemente azzurri.»
La sua voce colta, per quanto aspra e profondamente baritona, celava una nota di qualcosa – tenerezza, forse – che uno non si sarebbe aspettato. Le sue labbra si incurvarono in un angolo e gli si formò una fossetta nella guancia.
«Come ti chiami?» domandò.
«Emma. Emma James,» risposi, col suo tono dolce a convincermi a farlo.
«Io sono Whitmore Kane, ma tutti mi chiamano Kane.»
Kane. Il mio sposo si chiamava Kane ed era inglese. Mi avrebbe portata a vivere in Inghilterra? L’idea mi terrorizzava. Io non sapevo nulla dell’Inghilterra, nulla della vita al di fuori dal Territorio del Montana.
«Ian,» chiamò lui. L’uomo nell’angolo si fece avanti, estraendo una mazzetta di banconote piegate dalla tasca dei pantaloni, contandone una somma esorbitante e porgendola poi alla signora Pratt. Quell’uomo era il segretario di Kane proprio come Allen per Thomas?
«Non richiederemo i servigi del dottore,» disse l’uomo di nome Ian alla signora Pratt una volta completata la transazione. Anche lui era alto e robusto, con i capelli chiari e lo sguardo serio.
«Non volete che la esamini per verificare la sua verginità?» domandò il dottore, come se io non mi fossi nemmeno trovata nella stanza. «È un’operazione semplice. Si sdraierà sulla poltroncina tenendosi le ginocchia al petto. Io le inserirò le dita all’interno per cercare col tatto la barriera della sua verginità. Di certo vorrete una prova dopo la bella somma che avete appena pagato.»
-Sbiancai alla sola idea presentata dal dottore. Voleva toccarmi con altri tre uomini a guardare più la signora Pratt? Feci un passo indietro e andai a sbattere contro Ian. Per fortuna, era stato lui a dire che quello spiacevole esame non sarebbe stato necessario. Ad ogni modo, trasalii a quel contatto e mi spostai. Quella stanza era troppo piccola!
«Vi assicuro che posso esaminarla da solo,» controbatté Kane.
Il dottore non sembrò turbato dalla risposta, si limitò ad annuire comprensivo. «Ma certo.»
«Lasciate che vi apra la porta, Dottore, così potete congedarvi,» disse cordialmente Ian, con una forte cadenza scozzese.
Il dottor Carmichael recuperò una borsa a tracolla nera dalla scrivania della signora Pratt e uscì dalla porta che Ian gli teneva aperta, poi se la chiuse alle spalle.
Lasciai andare il fiato che avevo trattenuto. Solo il fatto che quell’uomo fosse uscito dalla stanza alleviava leggermente la tensione, per me.
La signora Pratt si rivolse al giudice di pace. «Sembra che siamo pronti per lei, signor Molesly.»
No, la tensione non si era alleviata affatto. Stavo per sposare uno straniero inglese.
«Dopo, sarò felice di portarvi di sotto per usufruire di una delle mie ragazze.»
«Rachelle è disponibile?» domandò lui, gli occhi accesi d’impazienza.
La signora Pratt annuì. «Ma certo. Stava chiedendo di voi.»
L’uomo si gonfiò come un pavone a quella lusinga, per quanto molto probabilmente falsa. Lo rese di certo impaziente di concludere il proprio compito, comunque, il che non fece che farmi dubitare della profondità della sua vocazione. Si schiarì la gola e cominciò. «Cari congiunti...»
Quella mattina ero stata un’ereditiera che faceva colazione in casa sua. Adesso, me ne stavo in piedi con indosso solamente la sottoveste a sposare un bellissimo straniero che mi aveva comprata ad un’asta al piano superiore di un bordello.