Capitolo 3

2283 Words
3 REBECCA Prima che potessi chiedermi quali fossero le sue intenzioni, lui chinò la testa e mi baciò. Io trassi un brusco respiro per lo shock; non ero mai stata baciata prima e le sue labbra erano calde e morbide contro le mie. Il suo corpo, dov’era premuto contro il mio, era tutto muscoli, duro come la roccia e caldo come il peccato. Ebbi a malapena il tempo anche solo di rendermi conto delle sue azioni prima che lui sollevasse la testa. «Signor McPherson-» «Dash,» sussurrò lui, i suoi occhi ora più scuri e concentrati solamente sulle mie labbra. «Sono tuo marito e puoi chiamarmi Dash.» Lui chinò nuovamente la testa e questa volta il suo bacio non fu altrettanto delicato. In effetti, fu esigente. La sua bocca premette contro la mia, per poi aprirsi mentre la sua lingua mi leccava il labbro inferiore. Io trasalii al calore di quel tocco e lui ne approfittò per infilarmi la lingua in bocca. Sapeva di torta di mela dal pranzo e di qualcosa di oscuro e pericoloso. Io risposi, ma non ero sicura di come fare, dal momento che non sapevo come si baciasse. «Tocca a me.» Sentii quelle parole attraverso una nebbia spessa come quella di Londra. Mi ero completamente dimenticata del fatto che Connor fosse in piedi alle nostre spalle e trasalii, scostandomi. Le mani del signor McPh- di Dash si strinsero su di me. Connor aveva assistito al bacio, al modo in cui avevo chiuso gli occhi, al modo in cui non avevo scacciato Dash. Oh Signore benedetto. «Vi prego, mettetemi giù,» dissi, ma o non mi sentirono o non volevano fare come avevo chiesto, dal momento che venni passata da Dash a Connor. «Io... non sono un pacco da scambiare a destra e a sinistra!» La presa di Connor fu altrettanto salda, ma come avevo ritenuto prima, mi dava una sensazione diversa. Il suo petto era più ampio e il suo profumo diverso. Dove Dash era oscuro e pungente, Connor sapeva più di aperta prateria e di cuoio. Era una combinazione strana, ma gli stava bene addosso. Ciò che non stava bene a me era trovarmi tra le sue braccia. «Non è giusto,» insistetti, premendo invano contro il suo petto. Lui inarcò un sopracciglio scuro mentre mi guardava. «Oh? Vuoi dire che ho aspettato troppo per baciarti? È tutto ciò a cui ho pensato durante il pranzo. Lo sapevi che profumi di vaniglia?» Sogghignò, poi mi sollevò in un bacio che fu completamente diverso da quello di Dash. La bocca di Connor era più dura, più insistente e non tenne le labbra ferme in un punto, bensì mi mordicchiò – sì, mordicchiò! – fino ad un angolo della bocca e poi l’altro. «Non posso baciarvi. Noi... non siamo sposati!» mi affrettai a dire. Sentivo il suo fiato caldo contro la guancia, la mandibola. Ovunque. Connor sollevò la testa e mi guardò confuso. «Sì. lo siamo. Qualunque donna sia sposata con Dash è sposata con me.» Scossi la testa. «No.» Premetti sul suo petto e cercai di scendere, ma lui mi teneva saldamente da sotto le ginocchia e dietro la schiena. Non me ne sarei andata da nessuna parte a meno che lui non l’avesse deciso. «L’attestato di matrimonio dice solamente Dashiell McPherson. Non posso venire a baciarvi mentre sono sposata con lui.» «Stai chiedendo il mio permesso, dolcezza, di baciare Connor?» domandò Dash da sopra la sua spalla. Scossi di nuovo la testa. «Non posso essere una donna che va in giro a baciare altri uomini.» «Non ci baceremo solamente,» aggiunse Connor, la voce profonda. Vidi qualcosa nei suoi occhi, qualcosa come calore e... desiderio. Spalancai la bocca alle sue parole. «Visto? Pensa che io sia una... una donna facile.» «Donna facile? Sei mai stata baciata prima?» Mi sentii arrossire e sembrò che fosse una risposta sufficiente per Dash. «Come pensavo. Connor sa che sei mia moglie,» replicò. «Anche sua moglie. È così che si fa qui a Bridgewater. Non devi preoccuparti di venire giudicata da nessuno. È questo che voleva tuo fratello per te.» «Vi prego, mettetemi giù,» supplicai, guardando Connor dritto negli occhi. Come poteva Cecil aver inteso questo per me? Ero ferita, schiacciata dalla consapevolezza che avesse pensato a me in una maniera simile. Mi aveva salvata dal matrimonio combinato che aveva pianificato mio padre solo per darmi a due uomini? Come doveva essersela risa di notte pensando a quel colpaccio. Aveva reso pan per focaccia a quell’uomo usando me. Connor doveva aver sentito la mia delusione, dal momento che si spostò fino ad una sedia accanto alla porta e si sedette. Invece di lasciarmi andare, però, mi tenne in vita e mi mise in piedi tra le sue gambe. «Trovi il mio tocco insopportabile?» mi chiese. Per un uomo tanto grande, sentii una traccia di insicurezza nelle sue parole. Se avevano pianificato di condividere una sposa per lungo tempo, magari per anni, allora il mio rifiuto nei suoi confronti avrebbe cambiato la loro dinamica. Cecil aveva usato anche loro come aveva fatto con me? «No,» risposi. Il suo tocco non era insopportabile. In effetti, era piuttosto bello. Ma non avrei dovuto trovare bello il tocco di due uomini. «Non è questo. Cecil, lui... Sono stata ingannata.» Mi ricordai appena in tempo delle mie buone maniere, ricordandomi di non condividere emozioni o parlare male di un defunto. Per quanto fosse importante non lamentarmi, dovevo parlare. «Non mi abbasserò al punto da fare da moglie a Dash e da amante a voi.» Entrambi gli uomini rimasero in silenzio ed io voltai la testa per sollevare lo sguardo su Dash, per poi riportarlo dritto negli occhi di Connor. Lui annuì. «Capisco.» Sospirai di sollievo. «Davvero?» chiesi. «Sì, e vi possiamo porre facilmente rimedio,» rispose Connor. Mi aspettai che mi sollevasse e mi passasse a Dash, mio marito, ma lui non lo fece. Mi accigliai. «Ah sì?» «Sì.» Mi scostò e si alzò in piedi. «Ce ne andiamo in città.» «Adesso?» chiesi. Vidi i due uomini scambiarsi un’occhiata. La loro amicizia era abbastanza stretta che sembravano non aver bisogno di parole per comunicare. «Sì,» ripeté Connor. «Perché? Ci sono stata questa mattina.» «Ci sposiamo.» Mi strattonò la mano e mi condusse fuori dalla porta. CONNOR Due ore più tardi, ci trovavamo di fronte alle porte della chiesa in città. Io avevo trascorso la cavalcata a guardare in silenzio la nostra nuova moglie. Moglie! O era stata una pazzia a farla comparire di fronte a noi a pranzo, o un colpo di fortuna. Era la cosa più adorabile – e più puritana – che avessi mai visto. Certo, Ann, Emma e le altre erano bellissime, ma loro non erano mie. C’era una differenza quando la donna che ti trovavi di fronte – dai setosi capelli scuri che aveva in testa passando per l’inclinazione sdegnosa del mento fino al perfetto allargarsi dei suoi fianchi – ti apparteneva. Sì, ci avrei scommesso che la sua colonna vertebrale sarebbe stata rigida e dritta anche senza lo stretto corsetto che indossava, ma sarebbe stato un piacere per me, e per lei, scoparmela fino a farla rilassare per bene. Rebecca non era per niente contenta della mia intenzione di sposarla, ma evidentemente il modo in cui era stata cresciuta le impediva di lamentarsi. Aveva trascorso la cavalcata fino in città a tormentarsi quel bellissimo labbro inferiore pieno tra i denti. Aveva utilizzato il termine donna facile. Era l’esatto opposto di una donna facile. Non c’era una sola donna al mondo che avesse più bisogno di essere baciata, toccata e scopata di lei. Un paio di orgasmi sudati e potenti le avrebbero fatto un gran bene. Sfortunatamente, lei credeva che anche solo il fatto che le piacesse un bacio da parte di entrambi la rendesse immorale. Chiaramente, suo fratello non l’aveva preparata ad entrambi noi e adesso dovevamo risolvere la faccenda. Avremmo cominciato col pronunciare il nostro “sì” di fronte a un uomo di Dio. «Io sono sposata con Dash,» disse. «Non posso sposare un altro uomo. Di certo il ministro lo saprà.» «Quando sei stata nella pensione, hai detto a qualcuno del tuo matrimonio su delega?» le domandai io. Avevo una certa idea di cosa mi avrebbe risposto. «No.» «Perché eri preoccupata del fatto che ti avrei respinta?» Le parole di Dash attirarono il suo sguardo verso di lui ed io riuscii a vedere una traccia di dolore nei suoi occhi. Dopo aver attraversato mezzo mondo, aver visto morire suo fratello di fronte ai propri occhi ed essere poi stata data in sposa ad un estraneo, nessuno di noi due poteva biasimarla per averlo pensato. Se fosse stata respinta, avrebbe potuto voltarsi e abbandonare la città senza che nessuno lo fosse venuto a sapere, per quanto cosa avrebbe fatto allora, sono certo che non l’avesse saputo nemmeno lei. Noi non avevamo intenzione di respingerla. Col cavolo proprio. Avevamo intenzione di darle più mariti di quanti non ne avesse voluti e quello era un problema che non si era immaginata nemmeno nei suoi pensieri più sfrenati. «Chiunque in città, allora, saprà del tuo matrimonio con me,» dissi io. «Noi,» indicai tutti e tre, «sapremo che sei legalmente sposata con Dash e con me.» A quel punto lei si accigliò. «Perché... perché avete bisogno di fare ciò? Anche se sono sposata con Dash, sono vostra in ogni caso, come un’amante da sfruttare a vostro piacimento.» Il suo mento si sollevò leggermente. Ah, adoravo quell’accenno di sprezzo in lei nonostante avrei voluto piegarmela sulle ginocchia per sculacciarla a quelle parole. Mi voltai verso di lei e le tenni delicatamente quel mento sollevato così che fosse costretta a guardarmi. «Perché non ti voglio come amante. È la seconda volta che metti in dubbio il nostro onore. Se volessi gingillarmi con una ragazza, me ne andrei al bordello. Io non voglio trastullarmi, voglio scoparmi mia moglie e quella sei tu. Per me, il tuo matrimonio su delega con Dash è abbastanza per renderti mia, ma se tu hai bisogno di trovarti di fronte ad un ministro e a Dio per sapere di appartenere anche a me, per permettermi di toccarti come vorrei, allora così sia.» Lei cercò di voltare la testa dall’altra parte, ma io non glielo permisi. Non volevo che nascondesse le sue emozioni, che nascondesse ciò che riuscivo a vedere chiaramente nel suo sguardo. «Il ministro, di certo lui saprà,» sussurrò. Dash si tolse il capello, si guardò a destra e a sinistra come se ci fosse stato qualcuno nei paraggi ad origliare e poi scosse la testa. «Io non lo dirò a nessuno.» Inarcò un sopracciglo. «Tu hai intenzione di dirgli di essere sposata con un altro uomo?» Lei aprì la bocca per rispondere, ma poi la richiuse. L’avevamo in pugno. Né io né Dash volevamo raccontare al ministro la verità che si celava dietro il nostro matrimonio; poteva anche avere una vaga idea di come fosse visto il matrimonio a Bridgewater, ma non ne aveva mai fatto parola. Se Rebecca gli avesse raccontato della nostra presa di posizione in merito, allora sarebbe diventata complice delle nostre insolite usanze. Non aveva altra scelta che tenerselo per sé. Saremmo potuti tornare al ranch come una famiglia, io, Dash e Rebecca, ma la sua morale incrollabile necessitava che quell’unione venisse registrata negli archivi matrimoniali, o come venissero chiamati nel Territorio. Se aveva bisogno di trovarsi di fronte ad un ministro per farsi toccare da me, per farsi scopare, per farsi rendere mia con lo stesso diritto che ne aveva Dash, allora così avremmo fatto. «No, non glielo dirò,» rispose lei. «Siete disposto a sposarmi – non sapete nulla di me – nonostante io sia già sposata con Dash? Mi pare un gran bel passo solo perchè mi volete baciare.» Sogghignai. «Eccome se ti voglio baciare, e tante altre cose. Io e Dash stavamo aspettando che arrivasse la nostra sposa, per quanto non ci fossimo aspettati che sarebbe successo a pranzo, ma abbiamo sempre avuto l’idea di condividere una moglie, sin da quando siamo stati nel Mohamir. Io non ho intenzione di ripensarci. Se Montgomery ti ha data in sposa a Dash, allora sapeva che ti stava dando in sposa anche a me. Conosceva le nostre usanze, ma non poteva mettere entrambi i nostri nomi sulla licenza di matrimonio. Era ciò che voleva.» Rebecca fece scorrere lo sguardo tra me e Dash, poi strinse le labbra. «Cosa c’è, ragazza?» le chiesi. «Non devi trattenerti con noi.» «Voleva umiliarmi?» «Umiliarti? Tuo fratello ti stava onorando.» «Onore?» Lei arrossì mentre si lasciava sfuggire una punta di frustrazione. Era anche ora, diamine. «Continuate a tirare in ballo quella parola. Pensavo che mi stesse salvando da un matrimonio combinato con un uomo che aveva tre volte la mia età, ma invece stava decidendo di umiliarmi. Mi stava usando per vendicarsi di mio padre.» Percepii la sua delusione. Era chiaramente confusa, persa e molto probabilmente sopraffatta. «Umiliarti? Non comprendi le nostre usanze, ragazza,» le disse Dash. «Tuo fratello sapeva che i nostri modi di fare erano la cosa migliore per te. Non ti stava umiliando, ti stava proteggendo.» «Come?» Lei si voltò, fece qualche passo, poi si girò di scatto. «Io... non capisco.» «È facile restare vedova da queste parti,» esordii. «Possono accadere molte cose ad un uomo, proprio come sai grazie all’incidente di tuo fratello. Le vedove finiscono preda di spasimanti indegni e spesso non hanno altra scelta che risposarsi, e non per amore o nemmeno per gentilezza. Se una donna ha più di un marito, non deve preoccuparsi di essere lasciata sola al mondo. I figli prodotti da quell’unione sono protetti. Non dovrai temere la fame o la solitudine. Sei al sicuro, apprezzata, adorata, protetta e, soprattutto, onorata.» Lei non sembrò convinta, per cui proseguii. «Lo sto facendo per te, dolcezza. Se hai bisogno che io pronunci i voti di fronte a Dio per sapere che sono tuo, allora lo farò.» Le porsi il braccio e la accompagnai alla porta della piccola chiesa. Mi fermai e mi voltai verso di lei. «Sappi questo, dolcezza: quando ti farò mia, avrai tutto di me, tutto ciò che ho, tutto ciò che sono, e questo include baci... e molto altro.»
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