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REBECCA
Il viaggio era stato lungo. Se avessi dovuto comporre una lettera per un parente prossimo, era ciò che vi avrei scritto. Non ci si lamentava né si mostrava mai alcun disagio, specialmente quando la missiva non sarebbe stata recapitata per mesi. A giudicare dal disastro avvenuto e dal ritardo assicurato, una lettera avrebbe raggiunto il Territorio del Montana ben prima di me. Sin da Chicago, avevo cavalcato da sola, senza accompagnatore. Sarebbe stato meglio se ne avessi avuto uno, ma non c’era nessuno che conoscessi che avrebbe voluto avventurarsi nelle terre selvagge e agitate degli indiani. Non mi ci sarei voluta avventurare nemmeno io, ma la scelta non era mia. Per cui avevo proseguito la cavalcata su un cavallo preso in prestito per essere accolta non da mio marito, bensì da un lavoratore del ranch. Lui mi aveva indirizzata verso la più grande delle case che costellavano il paesaggio quasi privo di alberi.
Questa volta, quando rallentai il cavallo, non venni accolta da un uomo, bensì da molti. Non avevo idea di quale appartenesse a me o – meglio – a quale appartenessi io. Molti avevano i capelli scuri, alcuni ce li avevano chiari, un altro era rosso, tuttavia erano tutti robusti, muscolosi e decisamente bellissimi. Non erano i classici uomini che si muovevano all’interno delle cerchie di mio padre nell’elite di Londra. Questi avevano uno sguardo diretto, un portamento possente e sembravano aver vissuto la vita invece di osservarla dai margini. Questi uomini si sporcavano le mani invece di pagare qualcuno affinché lo facesse per loro. Ciò li rendeva formidabili e piuttosto spaventosi, dal momento che non mi era stato insegnato come gestire un tale predominio. Uno di quegli uomini era mio marito? Il mio sguardo si spostò dall’uno all’altro, ma nessuno si fece avanti come se si fosse aspettato il mio arrivo. Forse avevo davvero viaggiato più rapidamente di una lettera, dopotutto.
Un uomo scese i gradini della veranda e mi si avvicinò. «Buon pomeriggio.»
«Buon pomeriggio,» risposi con un leggero cenno del capo.
Quattro donne, con sorrisi incuriositi, ma coinvolgenti, si unirono agli uomini sulla veranda.
«Benvenuta a Bridgewater. Io sono Kane,» disse l’uomo.
Annuii nuovamente e strinsi le redini in una presa ferrea, sperando che fosse l’unico segno visibile del mio nervosismo. Ecco il momento, quello che attendevo da tre mesi, ed ero terribilmente nervosa. Non potevo farmi rispedire in Inghilterra, dal momento che ero legalmente unita ad uno degli uomini in quel gruppo. Di certo lui non mi avrebbe rifiutata e rimandata a casa in disgrazia, no? Poteva farlo? Avrei dovuto vivere lì, in una terra così diversa dalla mia, e in quel momento non riuscivo a decidere quale opzione fosse la peggiore.
«Signor Kane, io mi chiamo Rebecca Montgomery, sono qui per incontrare il signor McPherson.»
Alla mia affermazione, due uomini si fecero avanti. Entrambi avevano i capelli chiari e si assomigliavano al punto che pareva ovvio che fossero imparentati, per quanto uno fosse leggermente più alto, leggermente più robusto e leggermente più intimidatorio e mi fece battere forte il cuore. Poteva essere stato perché mi stava fissando in una maniera tale da farmi credere di essere in grado di leggermi fin nell’anima. Per quanto il suo sguardo fosse intenso, ebbi la sensazione che il suo interesse fosse rivolto solamente a me. Se qualcuno avesse sparato un colpo di pistola, dubito che lui avrebbe anche solo battuto ciglio.
«Quale McPherson stai cercando, ragazza?» Me lo chiese quello più basso dei due, con la voce profonda, chiara e divertita. La sua domanda mi fece distogliere lo sguardo dall’altro.
Deglutii, dal momento che sembrava che mio marito fosse uno di loro due.
«Il signor Dashiell McPherson.»
«Cosa vorresti da lui?» domandò quello robusto. Il suono della sua forte parlata scozzese mi fece venire la pelle d’oca sulle braccia e non avevo nemmeno freddo.
Lo guardai nei suoi occhi chiari, ignorando chiunque altro, e mi leccai le labbra, mentre sollevavo leggermente il mento. «È mio marito.»
Entrambi gli uomini inarcarono le sopracciglia alle mie parole, chiaramente sorpresi dalla mia affermazione.
«E come vi sareste sposati?» mi chiese il signor Kane al mio fianco. Anche lui era curioso, così come le donne che stavano bisbigliando tra di loro. A parte uno sguardo sorpreso o due, gli uomini si mostrarono invece più riservati riguardo le proprie emozioni. Era già venuta una donna in passato a sostenere di essere la sposa di qualcuno?
«Se n’è occupato mio fratello, Cecil Montgomery.»
«Ah, sì, Montgomery. Davvero un bravo agente,» rispose il McPherson più basso, facendo un passo indietro. «Per quanto tu sia piuttosto attraente, io ho già rivendicato una sposa.» Una bellissima donna dai capelli scuri scese i gradini per unirsi a lui. Chiaramente si trattava di sua moglie e stava rendendo nota la cosa. Lui le passò un braccio attorno alla vita e le diede un bacio sulla fronte, ma mi fece l’occhiolino.
«E con ciò resto io, ragazza.» Mi voltai per guardare l’uomo che mi aveva fatto battere forte il cuore. «Io sono Dashiell McPherson.» Per quanto il McPherson sposato fosse piuttosto attraente, era quello che avevo di fronte a farmi accelerare il respiro, a farmi sudare i palmi delle mani dentro i guanti e a farmi sentire le farfalle nello stomaco. Aveva i capelli biondo scuro, tagliati corti ai lati e più lunghi in cima dove gli ricadevano sulla fronte. I suoi occhi azzurro ghiaccio trafiggevano i miei ed io mi sentivo come un insetto schiacciato a terra. «Magari potresti spiegarti, dal momento che io di certo me ne ricorderei, se avessi trascorso una notte di nozze assieme a te.»
DASH
Non mi ero aspettato di ritrovarmi sposato per pranzo. Quella donna non era una ragazzina qualunque. Se ne stava seduta come se avesse avuto un manico di scopa al posto della spina dorsale. Il suo abito era di un verde scuro che faceva risaltare i suoi capelli neri e, con la pelle chiara e le curve abbondanti, era molto attraente. Bah, era bellissima. Erano i suoi occhi, però, perfino sotto l’ampia tesa del suo capello, che dicevano ciò che non esprimeva a parole. Aveva paura; tuttavia, il modo in cui teneva sollevato il mento celava il suo coraggio nell’arrivare fin lì a cavallo e rivendicare uno sposo. Il suo accento era quello di una donna inglese ben educata e di buona famiglia.
Di fronte alla mia palese mancanza di raffinatezza, la sua unica reazione visibile fu un leggero assottigliamento dello sguardo.
«Dov’è tuo fratello?» Quell’uomo piaceva abbastanza a tutti che gli avevamo scritto e lo avevamo invitato ad unirsi a noi lì a Bridgewater. Non aveva preso parte alle azioni disoneste e letali del nostro ufficiale comandante ed era riuscito a tornare in Inghilterra e alla sua vita senza venire privato del proprio rango o della propria reputazione. Avevamo sperato che si sarebbe unito a noi e sembrava sul punto di farlo, ma non sapevamo che avrebbe portato con sé una sorella.
Lei sollevò ancora di più il mento. «È morto.» Le sue parole furono chiare e non mostrarono nemmeno una traccia di lutto.
Montgomery era morto? Lei era molto più giovane di suo fratello, forse di quindici anni o più, e lui vi aveva accennato durante il nostro periodo nel Mohamir. Doveva essere stata una bambina, all’epoca. Magari era stata figlia di un secondo matrimonio di uno dei suoi genitori ed era stata relegata al sicuro in camera sua? «Ah, ragazza, sei venuta fin qui tutta sola?»
La sola idea mi fece digrignare i denti.
«Non per tutto il viaggio.» Scosse la testa. «È morto a Chicago.»
«Come?»
«È caduto da cavallo. Inizialmente non è stato nulla,» spiegò. «Ne ha riso come se non fosse stato tipo da farsi male a cavallo. Il giorno dopo, gli è venuta la febbre e ha cominciato a sentirsi male. Era evidente che ci fossero dei danni interni e sapeva che sarebbe mancato.»
Abbassò lo sguardo sulle mani guantate che tenevano le redini, poi lo risollevò su di me.
«Non eravamo uniti, ma lui provava un senso di protezione nei miei confronti, dal momento che mi aveva portata via dall’Inghilterra con sè. Una volta compreso di stare morendo, non voleva lasciarmi sola senza alcun tipo di sicurezza, ecco perchè, nel poco tempo che gli è rimasto, mi ha data in sposa a voi. Un matrimonio su delega.»
«E tu hai acconsentito?»
«Le mie... scelte erano limitate,» rispose.
Limitate, o inesistenti?
«Hai avuto un accompagnatore per il resto del viaggio?»
Sembrava che le avessi chiesto se il sole tramontasse ad ovest. «Ma certo che ho avuto un accompagnatore. La signora Tisdale – una donna di Chicago – mi ha scortata fino a quando non siamo scese dalla diligenza in città. Si sarebbe unita a me per l’ultima parte del viaggio fino al Ranch di Bridgewater, ma non voleva restare in un ambiente tanto desolato ed è risalita sulla diligenza diretta ad est all’alba di questa mattina.»
Osservando la distesa di terra facente parte di Bridgewater fino a perdita d’occhio, il ragionamento della donna era valido. Era desolata. Era uno dei motivi per cui quel luogo era stato scelto dai miei amici di reggimento che avevano fondato per primi quel posto – il suo isolamento. Andava bene per un gruppo di persone che volevano restare nascoste, ma non faceva al caso di tutti. «Le era stato detto che non ci sarebbe stata un’altra diligenza per quasi una settimana e non aveva intenzione di perdersela.»
Riucivo ad immaginarmi quella donna che praticamente correva dietro alla carrozza per farsi portare via da lì. La gente di città non durava a lungo nel Territorio del Montana. Per quanto riguardava la signorina Montgomery – no, sembrava che fosse la signora McPherson, adesso – solo il tempo avrebbe saputo dire se fosse in grado di vivere in una terra tanto straniera. La sua voce aveva l’accento compassato di una signorina inglese ben educata. Il modo in cui manteneva un tono di voce piatto e quasi riservato convalidava quel pensiero. La vita di società a Londra era tanto diversa dal Montana come lo erano il giorno e la notte.
«Non volevi tornare indietro con lei?»
Tirò su col naso. «Non mi faccio intimidire come la signora Tisdale.»
Sì, sembrava molto coraggiosa.
Infilando una mano tra le pieghe della gonna, estrasse un foglio di carta piegato e me lo porse. «Ecco.»
Mi avvicinai e glielo presi dalla mano esile. Era così puritana e formale che fece ben attenzione a non sfiorare le mie dita con le sue nonostante fossero coperte da guanti di capretto.
Aprii il foglio e lo lessi. Era effettivamente una licenza di matrimonio e sembrava ufficiale. Assieme ad essa, c’era un pezzo di carta più piccolo.
Non era mia intenzione morire per una caduta da cavallo! Trovandomi in terra straniera e lasciando Rebecca da sola, non riesco a pensare ad un altro modo per proteggerla che non sia unirla a voi. Tornare in Inghilterra non è nemmeno da prendere in considerazione, e sono certo che voi la tratterete bene e con onore. Per quanto desideri vedere il vasto Territorio del Montana di cui mi avete scritto, mi dà pace nei miei ultimi istanti sapere che la proteggerete a costo della vostra vita. Mia sorella, testarda e sempre protetta, necessita di un matrimonio basato sulla tradizione del Mohamir e sui valori che si trovano a Bridgewater. Confido nel fatto che ve ne occuperete.
Il vostro amico,
C. Montgomery
Ero sposato.
Quando ripiegai la lettera, le lanciai un’occhiata. La sua espressione era controllata e molto riservata, nonchè molto inglese. Avrei pensato che sarebbe stata indolenzita per via della lunga cavalcata dalla città. Avrei perfino pensato che sarebbe stata diffidente di tutti quei volti nuovi, ma lei non mostrava alcuna di quelle emozioni. Era un tratto decisamente britannico, specialmente di donne il cui destino era quello di fare da ornamento ad uno sposo e nulla più. Se le avessi chiesto come stava, molto probabilmente lei mi avrebbe risposto con un semplice commento sfuggevole che distogliesse l’attenzione da sè. Era segno del tipo di educazione che aveva ricevuto e decisamente non del genere di donna che avrei cercato come moglie.
Avrebbe imparato che nascondere le proprie emozioni non sarebbe stato necessario, né desiderato. «A meno che tu non abbia intenzione di fuggire ora che mi hai visto, lascia che ti aiuti a smontare da cavallo.»
Dal momento che aveva cavalcato all’amazzone, tenne la mia mano abbastanza a lungo da far passare una gamba sopra al pomello della sella mentre io facevo un passo avanti e la afferravo in vita per posarla a terra. Sentii le sue curve sotto le mani, la vita stretta per via di un corsetto molto rigido, ma riuscivo a sentire i suoi fianchi pieni contro le dita. Per quanto non fosse pesante, non era nemmeno un fuscello. In effetti, era perfetta per un uomo della mia stazza – e di quella di Connor.
Io ero molto alto, più alto della media, ma una volta in piedi, lei mi arrivava solamente al mento. Piegò indietro la testa per guardarmi da oltre la tesa del suo cappello. La percepii che provava a indietreggiare per divincolarsi dalla mia presa, ma io la trattenni un attimo più del necessario. In quel lasso di tempo, mi chiesi che sensazione mi avrebbe dato senza le stecche del corsetto a contenerla – se sarebbe stata meravigliosamente piena e florida come me la immaginavo.
Kane condusse il suo cavallo accanto agli altri ad una delle ringhiere di sosta. Eravamo giunti da diverse parti del ranch per il pasto di mezzogiorno e ci saremmo dispersi nuovamente dopo mangiato.
«C’è stato un errore sul documento,» dissi.
Lei spalancò gli occhi e si leccò le labbra. «No, nessun errore.» La sua voce era leggermente meno sicura di prima.
Sollevai una mano. «Non metto in dubbio la validità di questo documento, né le intenzioni di tuo fratello nella lettera che mi ha scritto. Onorerò entrambe. Onorerò te.»
Per quanto le sue spalle non si afflosciarono, riuscii a percepire il suo sollievo. Sollievo non per il fatto che saremmo rimasti sposati, ma forse più per il fatto di non essere stata rifiutata. Migliaia di miglia erano un lungo viaggio per venire respinta.
«L’errore sta nel fatto che viene indicato solamente il mio nome come tuo sposo. Connor,» chiamai.
Mentre mantenevo lo sguardo fisso su Rebecca, sentii dei passi sui gradini di legno, poi sul terreno duro. Gli occhi di Rebecca si spostarono da me a Connor, che ora stava in piedi al mio fianco.
«Posso presentarti quella che era la signorina Rebecca Montgomery, la nostra sposa?»
«La nostra... nostra?» Lei si accigliò, la prima traccia di emozione che dimostrava. «Non capisco.»
«Non sei sposata solamente con me.» Piegai la testa in direzione di Connor. «Sei sposata anche con Connor.»
Lei spalancò la bocca così che riuscii a vedere una linea dritta di denti bianchi, mentre faceva scorrere lo sguardo tra noi due. Quando Connor annuì, la vidi impallidire e svenne subito, dritta tra le sue braccia.