CAPITOLO TRE

2226 Words
CAPITOLO TRE La mattina sfumò trasformandosi nel pomeriggio prima che Sofia e Kate osassero uscire di soppiatto dal loro nascondiglio. Come Sofia aveva pensato, nessuno aveva osato arrampicarsi sui tetti per cercarle, e anche se i rumori degli inseguitori si erano avvicinati, non l’avevano mai fatto così tanto. Ora sembravano essere svaniti del tutto. Kate scrutò all’esterno e diede un’occhiata alla città sotto di loro. Il caos della mattina era sparito, sostituito da un andamento e da una folla più rilassati. “Dobbiamo scendere da qui,” sussurrò Sofia alla sorella. Kate annuì. “Sto morendo di fame.” Sofia la capiva. La loro mela rubata era sparita da tempo e la fame stava iniziando a farsi sentire anche nel suo stomaco. Scesero portandosi a livello della strada e Sofia si trovò a guardarsi in giro. Anche se i rumori della gente che dava loro la caccia erano spariti, una parte di lei era convinta che qualcuno potesse saltare fuori in qualsiasi momento non appena avessero toccato terra. Imboccarono una strada, cercando di tenersi in disparte più che potevano. Era impossibile evitare la gente ad Ashton, perché c’erano semplicemente troppe persone. Le suore non si erano preoccupate di insegnare loro molto sulla forma del mondo, ma Sofia aveva sentito che c’erano città più grandi oltre gli Stati dei Mercanti. In quel momento era difficile da credere. C’erano persone ovunque lei guardasse, anche se la maggior parte della popolazione della città doveva essere dentro, al lavoro, in quel momento. C’erano bambini che giocavano nelle strade, donne che camminavano verso e dai mercati e negozi, lavoratori che portavano attrezzi e scale. C’erano taverne e sale da gioco, negozi che vendevano caffè proveniente dalle terre appena scoperte oltre l’Oceano Specchio, locali dove la gente sembrava essere ugualmente interessata a parlare e a mangiare. Stentava a credere di vedere gente che rideva, felice e spensierata senza fare null’altro che oziare e divertirsi. Faceva fatica a credere che un mondo del genere potesse addirittura esistere. Era un contrasto scioccante al silenzio forzato e all’obbedienza dell’orfanotrofio. C’è così tanto, disse Sofia a sua sorella usando la mente, guardando le bancarelle di cibo ovunque e sentendo il dolore allo stomaco crescere a ogni odore che le passava sotto al naso. Kate si guardava attorno con occhio pratico. Scelse uno dei locali e si portò con cautela verso di esso mentre la gente seduta fuori rideva di un potenziale filosofo che tentava di discutere su quanto si potesse veramente conoscere del mondo. “Sarebbe più facile se non fossi ubriaco,” lo canzonò uno di loro. Un altro si girò verso Sofia e Kate mentre si avvicinavano. L’ostilità era palpabile. “Non vogliamo quelle come voi qui,” disse sogghignando. “Uscite!” La rabbia pura di quell’affronto era più di quanto Sofia si sarebbe aspettata. Lo stesso tornò verso la strada, tirando Kate con sé in modo che la sorella non facesse niente di cui si sarebbero potute pentire. Aveva anche lasciato cadere il suo attizzatoio da qualche parte mentre scappava dalla folla, ma di certo aveva lo sguardo di chi aveva voglia di colpire. Non avevano scelta: avrebbero dovuto rubare il loro cibo. Sofia aveva sperato che qualcuno mostrasse carità per loro. Ma sapeva che non era così che il mondo funzionava. Si resero conto entrambe che era ora di usare i loro talenti, annuendo tutte e due silenziosamente e contemporaneamente. Si misero in piedi dai lati opposti di un vicolo e aspettarono guardando insieme una fornaia al lavoro. Sofia aspettò mentre la fornaia lavorava, fino a che poté leggerle nel pensiero quello che voleva sentire da lei. Oh no, pensò. I filoncini. Come ho potuto dimenticarli dentro? La donna aveva appena formulato il pensiero che Sofia e Kate scattarono in azione, correndo in avanti nel momento in cui lei girava loro le spalle per entrare a prendere i filoncini. Si mossero rapidamente e afferrarono ciascuna una manciata di dolcetti, tanti da riempirsi la pancia fino a scoppiare. Si abbassarono entrambe dietro un vicolo e masticarono voracemente. Presto Sofia si sentì la pancia piena: una sensazione strana e piacevole, una sensazione mai provata. La Casa degli Indesiderati non credeva nel nutrire i propri ospiti più del puro minimo necessario. A questo punti rise mentre Kate tentava di spingersi in bocca un pasticcino intero. Cosa? chiese sua sorella. Semplicemente è bello vederti felice, le rispose Sofia. Non era certa di quanto sarebbe durata quella felicità. Teneva un occhio sempre allerta, in guardia per sentire ogni passo dei cacciatori che probabilmente erano sulle loro tracce. L’orfanotrofio non avrebbe impegnato nel cercarle più sforzo di quanto valessero i loro vincoli, ma cosa si poteva mai prevedere riguardo allo spirito di vendetta delle suore? Alla fine avrebbero dovuto stare alla larga dai guardiani, e non solo perché erano scappate. I ladri del resto venivano impiccati ad Ashton. Dobbiamo smettere di sembrare delle orfane fuggitive, altrimenti non saremo mai capaci di camminare per la città senza che la gente ci fissi o cerchi di catturarci. Sofia guardò la sorella, sorpresa dal suo pensiero. Vuoi rubare dei vestiti? le chiese con il pensiero. Kate annuì. Quel pensiero portò un’ulteriore nota di paura, eppure Sofia sapeva che sua sorella, sempre pratica, aveva ragione. Si alzarono entrambe nello stesso istante, mettendo i dolcetti avanzati in tasca. Sofia si stava guardando in giro alla ricerca di vestiti, quando sentì Kate toccarle il braccio. Seguì il suo sguardo e lo vide: un filo stendibiancheria, in alto in cima a un tetto. Non era sorvegliato. Per forza, si rese conto con sollievo. Chi dopotutto avrebbe mai sorvegliato in filo stendibiancheria? Lo stesso Sofia poteva sentire il cuore che le batteva forte mentre si arrampicava su questo altro tetto. Si fermarono entrambe, si guardarono in giro, poi tirarono il filo nello stesso modo in cui un pescatore tira la lenza cui ha abboccato un pesce. Sofia rubò un abito da esterno di lana verde, insieme a una sottoveste color crema che era probabilmente della moglie di un contadino, ma costosa all’inverosimile per lei. Con sua sorpresa sua sorella prese una canotta, dei pantaloni e un gilet, che la fecero sembrare più un ragazzino dai capelli a spazzola che una ragazza. “Kate,” si lamentò Sofia. “Non te ne puoi andare in giro in quelle condizioni!” Kate scrollò le spalle. “Nessuna di noi dovrebbe avere l’aspetto che ha. E poi io così sto a mio agio.” C’era una sorta di verità in questo. Le leggi suntuarie erano chiare su cosa potesse e non potesse indossare ogni ceto della società, gli indesiderati e i vincolati. Ed eccole qui a infrangere più leggi, a spingere da parte i loro stracci – le uniche cose che era loro permesso indossare – e vestirsi meglio di quello che erano. “Va bene,” disse Sofia. “Non discuto. E a parte tutto magari depisterà chiunque stia cercando due ragazze,” disse ridendo. “Io non sembro un maschio,” rispose seccamente Kate, ovviamente indignata. Sofia sorrise. Recuperarono i loro dolci, se li misero nelle nuove tasche e insieme partirono. La parte successiva era più difficile: restavano così tante cose che avevano bisogno di fare se volevano veramente sopravvivere. Dovevano trovare riparo, per prima cosa, e poi escogitare cosa fare e dove andare. Un passo alla volta, ricordò a se stessa. Ridiscesero tra le strade, e questa volta fu Sofia a fare da guida, cercando di trovare una via in mezzo ai quartieri più poveri della città, sempre troppo vicino all’orfanotrofio per i suoi gusti. Vide una fascia di case bruciate, ovviamente non ricostruite dopo uno degli incendi che a volte divampavano nella città quando il fiume era basso. Sarebbe stato un posto pericoloso dove restare. Lo stesso Sofia si diresse da quella parte. Kate la guardò pensierosa e scettica. Sofia scrollò le spalle. Pericoloso è sempre meglio che niente, le disse. Si avvicinarono caute, e non appena Sofia sporse la testa dietro l’angolo, fu sorpresa nel vedere un paio di figure alzarsi dalle rovine. Sembravano così ricoperti di fuliggine pe essere rimasti tra quelle macerie bruciacchiate, che per un momento Sofia pensò che fossero stati in mezzo all’incendio. “Pussa via! Lasciate stare il nostro spazio!” Uno di loro corse verso Sofia e lei gridò facendo un involontario passo indietro. Kate parve sul punto di poter combattere, ma poi l’altra figura tirò fuori un pugnale che brillò molto più di qualsiasi altro oggetto lì presente. “È un ordine. Prendetevi il vostro rudere o vi sgozzo.” Le sorelle allora si misero a correre, mettendo quanta più distanza possibile tra loro e la casa. A ogni falcata Sofia era certa di poter sentire i passi dei malviventi armati di coltello, o dei guardiani, o delle suore, da qualche parte alle loro spalle. Camminarono fino ad avere male alle gambe e fino a che il pomeriggio divenne troppo tetro. Almeno ne trassero una certa gioia, dato che ogni passo significava una distanza in più tra loro e l’orfanotrofio. Alla fine si avvicinarono a una parte della città che sembrava un po’ meglio del resto. Per un qualche motivo, il volto di Kate si illuminò vedendola. “Cosa c’è?” chiese Sofia. “La biblioteca a centesimo,” rispose sua sorella. “Possiamo infilarci là dentro. A volte sgattaiolo via, quando le sorelle ci mandano a fare delle commissioni, e il bibliotecario mi lascia entrare anche se non ho il centesimo da pagare.” Sofia non nutriva molte speranza di trovare aiuto lì, ma la verità era che non aveva alcuna migliore idea. Lasciò che Kate facesse strada, e si diressero verso un punto trafficato dove usurai si mescolavano ad avvocati, e c’erano addirittura alcune carrozze mescolate ai normali cavalli e pedoni. La biblioteca era uno degli edifici più grandi lì presenti. Sofia conosceva la storia: quella che i nobili della città avevano deciso di educare i poveri e avevano lasciato una parte della loro fortuna per costruire il genere di biblioteca che la maggior parte teneva chiusa a chiave nelle loro case di campagna. Ovviamente mettere come tariffa un centesimo a visita significava sempre che i poveri non potevano permetterselo. Sofia non aveva mai avuto un centesimo. Le suore non vedevano per quale ragione dovessero dare del denaro alle loro orfane. Lei e Kate si avvicinarono all’ingresso e lei vide un uomo di una certa età lì seduto, dall’aspetto bonario e con gli abiti mezzo consumati, ovviamente tanto guardiano quanto bibliotecario. Con sorpresa di Sofia, l’uomo sorrise vedendole avvicinarsi. Sofia non aveva mai visto nessuno felice di vedere sua sorella. “Giovane Kate,” disse. “È passato un po’ di tempo da quando sei venuta qui l’ultima volta. E hai portato un’amica. Entrate, entrate. Non mi metto tra i piedi della conoscenza. Il figlio del conte Varrish avrà anche messo una tassa di un centesimo sulla conoscenza, ma il vecchio conte non ci ha mai creduto.” Sembrava sincero al riguardo, ma Kate stava già scuotendo la testa. “Non è quello che ci serve, Geoffrey,” disse Kate. “Mi sorella e io… siamo scappate dall’orfanotrofio.” Sofia colse lo shock sul volto dell’anziano uomo. “No,” disse. “Non dovete fare una cosa così sciocca.” “È fatta,” disse Sofia. “Allora non potete stare qui,” insistette Geoffrey. “Se vengono i guardiani e vi trovano qui con me, potrebbero pensare che sono in qualche modo un complice.” Sofia allora se ne sarebbe andata, ma pareva che Kate volesse lo stesso provare. “Ti prego, Geoffrey,” disse. “Devo…” “Devi tornare indietro,” disse Geoffrey. “Chiedete perdono. Ho pietà per la vostra situazione, ma è la situazione che il destino vi ha dato. Tornate indietro prima che i guardiani vi prendano. Non posso aiutarvi. Potrei essere frustato solo per non aver allertato le guardie di avervi viste. Questa è tutta la cortesia che posso offrirvi.” Aveva un tono di voce duro, ma lo stesso Sofia poteva vedere la gentilezza nei suoi occhi, e anche il dolore per dover dire quelle parole. Come se fosse combattuto lui stesso, come se stesse facendo finta di essere duro solo per far capire quello che intendeva. Lo stesso Kate parve abbattuta. Sofia odiava vedere sua sorella così. La tirò indietro, lontano dalla biblioteca. Mentre camminavano, Kate, a testa bassa, finalmente parlò. “E adesso?” chiese. La verità era che Sofia non aveva una risposta. Continuarono a camminare, ma ormai era esausta per tutta quella strada percorsa. Stava anche iniziando a piovere, in quel modo regolare che suggeriva che non avrebbe smesso presto. In pochi posti pioveva come ad Ashton. Sofia si trovò a scendere lungo le strade acciottolate in pendenza che conducevano verso il fiume che attraversava la città. Non era certa di cosa sperasse trovare lì, tra le chiatte e barchini arenati. Dubitava che la gente del pontile o le prostitute potessero essere di qualche aiuto per loro, e quelle parevano essere le cose principali da potersi trovare in quella parte della città. Ma almeno era una destinazione. Se non altro avrebbero potuto trovare un posto dove nascondersi presso la riva e guardare il pacifico navigare delle navi, sognando altri luoghi. Alla fine Sofia scorse uno spazio in secca vicino a uno dei tanti ponti della città. Si avvicinò. Barcollò per la puzza, come anche Kate, e per l’infestazione di ratti. Ma la loro stanchezza rendeva anche il più misero stralcio di riparo simile a un palazzo. Dovevano sfuggire alla pioggia. Dovevano nascondersi. E in quel momento dove altro potevano farlo se non lì? dovevano trovare un punto dove nessun altro osasse andare, neanche i vagabondi. E questo era perfetto. “Qui?” chiese Kate con disgusto. “Non potremmo tornare al camino?” Sofia scosse la testa. Dubitava che sarebbe stata capace di ritrovarlo, e anche se l’avessero fatto, sarebbe stato da lì che i cacciatori avrebbero iniziato a cercare. Quello era il posto migliore che potessero trovare prima che la pioggia peggiorasse e prima che calasse la notte. Si sistemò e cercò di nascondere le lacrime per il bene di sua sorella. Lentamente e con riluttanza Kate si sedette accanto a lei, stringendo le braccia attorno alle ginocchia e dondolandosi, come a voler isolare la crudeltà, la barbarie e la spietatezza del mondo.
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