1
Rachel Pierce, Centro Elaborazione Programma Spose Interstellari
“Non puoi sfuggirci.” A sussurrarmi nell’orecchio era una rauca voce maschile. La stanza era buia, quasi nera come la notte, e io non riuscivo a vederlo in faccia, ma il tono della sua voce mi eccitò. Avrei dovuto essere spaventata, terrorizzata, eppure il mio corpo si inarcò sul letto. Lo desideravo. E mi ero bagnata. Tremavo per il desiderio.
Strattonai le cinghie che mi bloccavano i polsi, delle manette indistruttibili che mi tenevano le braccia legate al di sopra della testa. Mi stringevano, ma senza farmi male. Si assicuravano che restassi lì, prigioniera, ma illesa. Le cinghie non avevano il minimo giogo, ma il soffice sostegno del materasso sotto la mia schiena era confortante. E confortanti erano le mani callose che mi massaggiavano la pelle accalorata, che mi stringevano i miei seni esposti, l’interno delle mie cosce spalancate, il nudo monte che vi era in mezzo.
“La nostra piccola prigioniera.”
Quella voce mi fece bloccare. La seconda voce. Non c’era un unico uomo nel letto con me, ma due. Due paia di mani.
“Ah!” gridai sentendo dei piccoli morsi erotici che mi provocarono un feroce accesso di dolore sulla punta dei capezzoli. Due bocche.
Non potevo vedere le loro facce, ma potevo sentire le loro mani, i loro respiri affannosi, il loro calore, il loro odore speziato.
“Voglio toccarvi,” dissi io leccandomi le labbra secche. Strattonai un’altra volta le cinghie, ma non c’era niente da fare. Non avevo bisogno di vederli per sapere che erano grossi, molto più grossi di me. Avevano grandi mani che mi avvolgevano il ventre, che facevano sembrare i miei seni minuscoli, che mi afferravano le ginocchia e me le tenevano spalancate così che il mio corpo fosse aperto e pronto per i loro desideri.
Avrei dovuto andare nel panico, perché anche se non conoscevo questi uomini, eppure li conoscevo, mi facevano sentire al sicuro. Abbastanza al sicuro da lasciarmi legare al letto e abbandonarmi alla loro mercé.
Prima d’ora, il bondage non mi era mai piaciuto. Nemmeno un giochetto perverso gettato lì casualmente durante una notte di sesso selvaggio. Le mie esperienze sessuali spaziavano tra le palpatine alle superiori alle una botta-e-via-grazie-e-arrivederci.
Ma questo era qualcosa di completamente diverso… e mi piaceva.
Mi piaceva il peso delle manette attorno ai miei polsi. Mi piaceva il modo in cui la corda non avesse giogo. Mi piaceva il modo in cui questi due uomini mi stavano toccando, eccitandomi in modi che non avevo mai conosciuto prima d’ora. E mi stavano soltanto toccando.
Quando una mano si affondò in mezzo alle mie cosce, inarcai una schiena e spinsi i fianchi verso il suo tocco. “È grondante. Ti piace cedere il controllo.”
Prima non lo sapevo nemmeno io: erano stati questi due a farmelo sapere. Diamine, sì.
Gemetti sentendo le dita che mi massaggiavano le pieghe della mia carne, che mi massaggiavano il clitoride, ritraendo il cappuccio protettivo per… oh, cazzo. Il suo fiato caldo.
La sua bocca si chiuse sul mio clitoride e io gridai scalciando senza volerlo. Mi mise le mani sulle cosce per tenermi spalancata, esposta, disponibile.
Non potevo fare niente, potevo solo fare quello che volevano loro. E accettare quello che mi davano.
“Prima verrai, e poi ti scoperemo.”
Ah, a me andava benissimo. “Sì,” dissi emettendo un gemito ansimante all’uomo che mi stava leccando la fica.
L’altro mi stava leccando e succhiando i capezzoli, prima uno e poi l’altro. Sentii la sua barba che mi raschiava la pelle, i peli morbidi che mi facevano il solletico risvegliando tutte le mie terminazioni nervose. “Lo senti, non è vero? Il nostro bisogno, il tuo bisogno, che cresce sempre di più. I collari ci uniscono, ci fanno condividere tutto il piacere che proviamo.”
Sentii il peso di qualcosa che mi avvolgeva il collo, sentii l’intenso desiderio dei due uomini, la loro voglia di dominare, la mia sottomissione – il tutto turbinava attorno a noi come una vibrante aura rossa. Non ero mai stata così bagnata ed eccitata in tutta la mia vita.
Stavo per venire. Non c’era modo di impedirlo. Avevo delle manette attorno ai polsi, ma erano le loro attenzioni ad intrappolarmi. La mia fica si gonfiò e cominciò a pulsare, e così il mio clitoride. Mi si inturgidirono i capezzoli.
“Sì, sto per… devo, proprio lì… un altro po’ – no!”
Gli uomini sapevano che stavo per venire e non solamente grazie al mio farfugliamento o dal modo in cui il mio corpo tremava. Erano quei dannati collari. Sapevano che sarebbe bastata un’altra leccata sul mio clitoride, un altro morso sui miei capezzoli, e mi sarei arresa al più intenso degli orgasmi.
Invece, mi ritrovai sudata e bisognosa, gli occhi pieni di lacrime. Il mio corpo era come elettrizzato dal bisogno. Sarebbe bastato un tocco leggero nel posto giusto e sarei venuta.
L’uomo vicino alla mia testa si mosse per distendersi al mio fianco, e io sentii la sua asta dura che mi premeva contro la carne. Delle mani mi afferrarono per la vita e mi fecero rovesciare posizionandomi in cima a lui. Avevo le braccia sempre legate al di sopra della testa, al di sopra di lui. Se mi fossi piegata in avanti anche solo di un paio di centimetri, di certo avrei potuto baciarlo. Mossi le gambe per mettermi comoda e lo cavalcai. I miei seni si strusciarono contro i peli morbidi del suo petto. La mia pelle umida scivolò facilmente su di lui. Ero poggiata sul suo cazzo, e la mia fica, sentendosi spalancare, lo rivestì con i suoi umori. I nostri respiri si intrecciarono, eppure ancora non riuscivo a vederlo.
“Ti prego,” lo implorai, agitando i fianchi per farmi penetrare fino in fondo. Avevo bisogno di essere penetrata. Non ci avevo mai pensato prima d’ora, e se questo faceva di me una troia bella e buona, non me ne importava. Avevo bisogno del suo cazzo.
Una mano mi colpì il sedere, e il dolore mi sorprese. Faceva male, ma il dolore si trasformò in altro piacere, e io sussultai, e quindi gemetti.
“Decidiamo noi come,” disse l’uomo dietro di me.
“Decidiamo noi quando,” proseguì l’uomo sotto di me.
Una mano mi afferrò il sedere dolorane e mi spalancò le natiche. Un dito duro e unto, cosparso con qualcosa di freddo, si infilò dentro di me, trovando la mia entrata posteriore, disegnando un cerchietto, spingendosi dentro.
Quel dito mi fece ansimare e bloccare. Mi cosparse di lubrificante, ungendomi per bene.
“Sei pronta per i nostri cazzi, compagna? Sei pronta a diventare nostra per sempre?” L’uomo dietro di me mi parlava in modo gentile, senza però smettere di prepararmi il culo per… oh, Dio. I nostri cazzi. Per sempre.
Sì. Ero pronta. Ero più che pronta. Il tempo non esisteva, esisteva solo la sensazione del suo dito che mi penetrava, mi allargava, la sensazione del corpo tonico e muscoloso sotto di me. Delle mani mi accarezzarono la schiena, i fianchi, i capelli.
“È pronta.”
Ero pronta già da un pezzo, ma non l’avevo detto. Temevo che mi sculacciassero di nuovo. Erano loro quelli in controllo, e quindi mi ero morsa la lingua.
Li sentii muoversi, sentii il fruscio dei loro gesti, mentre mi sollevavano così da sistemarmi il cazzo che avevo sotto di me contro la fica. Sì! Mossi i fianchi provando ad abbassarmi, ma lui non me lo avrebbe permesso. Lo capii quando sentii il cazzo dell’altro uomo che spingeva contro la mia entrata posteriore. Volevano prendermi insieme.
Insieme. Non uno dopo l’altro. Non mi avrebbero messo un cazzo nella fica e uno un bocca. Insieme. Doppia penetrazione.
Cominciai ad andare nel panico, ma allo stesso tempo mi sentii investita da una sensazione di estrema eccitazione. Sentii i desideri dei due uomini mescolarsi al mio attraverso il collare, e il panico si affievolì, soffocato da un bisogno quasi meccanico.
“Vi prego,” li implorai sentendo i loro cazzi contro il mio corpo. Quello vicino alla mia fica mi penetrò facilmente, il suono bagnato della mia eccitazione era tanto forte quanto i nostri respiri. Con un unico movimento, mi penetrò fino in fondo. Gemette. Io gemetti. Dio, ce l’aveva grosso. Tozzo. Duro. Così a fondo, cazzo.
“Sto per venire.”
Era così. Mi avevano preparata così bene che stavo cominciando a tremare.
“Non ancora. Quando sarai nostra, quando avrai preso entrambi i nostri cazzi: solo allora saremo veramente uniti. Solo allora verrai reclamata.” L’uomo dietro di me mi parlò all’orecchio, mentre si spingeva in avanti, la grossa punta del suo cazzo mi aprì lentamente. Il mio corpo resistette a malapena. Forse era il lubrificante, oppure la sua persistenza, ma io ero convinta che fossero i collari che ci collegavano che riuscirono a farmi rilassare, espirare, arrendermi. Volevano che mi sottomettessi, e quest’atto rappresentava la sottomissione ultima.
Non potevo fare altro che prendere tutto quello che avevano da farmi.
Più che il secondo cazzo che mi penetrò fu la consapevolezza a farmi venire con un grido. Mi sentivo così piena, così aperta. Esposta. Vulnerabile eppure potente.
Quel piacere era troppo. Ero veramente imprigionata, imprigionata non solo dai legacci, ma dai cazzi che ci univano tutti e tre. Eravamo un’unica entità.
Quando sentii il fiotto caldo del loro seme, gridai di nuovo, e poi di nuovo ancora.
“Signorina Pierce!” La voce si ripeté e una mano mi scosse per la spalla. “La smetta di gridare, la prego.
Ero un relitto, sentivo le mie mani legate, sapevo che era reale.
“Rachel!”
No, non era reale. La voce che urlava era quella di una donna, non era il profondo ruglio di nessuno dei miei due uomini.
Sbattei le palpebre una volta, due. Una forte luce filtrò attraversò le mie palpebre chiuse, riempiendomi gli occhi di un rosso scuro e profondo, incapace di rinnegare la fastidiosa voce della donna, o la mano troppo piccola che ora mi stringeva la spalla.
Cazzo. Non c’erano uomini. Niente mani, niente bocche, niente cazzi. Ma di certo c’era stato un orgasmo. Ero sudata e riuscivo ancora a sentirne il calore, il piacere che mi attraversava il corpo. La mia fica si contrasse e pulsò attorno al… nulla. E così il mio sedere. Vuoto. Il risultato bagnato della mia eccitazione mi faceva scivolare sulla strana sedia sulla quale ero seduta. Era come se mi avessero legata, nuda, nello studio del dentista.
Avevo le mani legate, ma non erano i legacci degli uomini, e non ero distesa su un letto morbido. No. Ero legata a una sedia per i test all’interno del Centro Elaborazione Spose Interstellari. Gli uomini non erano nient’altro che un sono, il frutto della mia immaginazione a secco di sesso. Non ero stata con un uomo da un mucchio di tempo. Da più di un anno.
Apparentemente, il mio corpo era andato da zero a orgasmo nel giro di cinque secondi. Ma era stato così bello, così eccitante, intenso….
“Signorina Pierce. Ho bisogno che mi guardi.” Quella fastidiosa voce femminile mi stava praticamente abbaiando degli ordini. Ma non m’importava niente del suo tono. Per niente proprio.
Mi concentrai sulla faccia che ondeggiava di fronte a me e aspettai che la mia vista si schiarisse. Quando lo fece, trovai quello che era uno sgradevole viso femminile che gravitava sopra di me. Adesso me la ricordai. Purtroppo, mi ricordai di tutto. “Custode Egara.”
“Bene. È sveglia.”
“Prima mi fate fare i test e poi mi svegliate nel bel mezzo del sogno?” Era stato un sogno. Da quando in qua la realtà includeva due amanti sexy e virili che mi scopavano allo stesso tempo? Quando mai ero venuta così intensamente? Quando mai il bisogno di venire toccata era stato tanto pressante che il solo pensarci mi faceva venire voglia di gridare?
Mai. Gli amanti sexy da morire non facevano parte della mia realtà.