I.Clare, che per diciassette mesi era stata la moglie di sir Gerald Corven, funzionario nelle Colonie, era in piedi sul ponte di un piroscafo che, arrivato dall’Oriente nelle acque del Tamigi, aspettava di entrare in porto. Erano le dieci di una tiepida giornata d’ottobre; essa indossava tuttavia un mantello di panno pesante, disabituata al clima dopo una traversata che era stata calda. Era pallida da sembrar quasi malata, ma i suoi occhi castano-chiari fissavano ardenti la riva e teneva le labbra, appena truccate, socchiuse, così che la sua fisionomia conservava la consueta vivacità. Rimase sola fino a che una voce esclamò:
«Oh! eccovi finalmente!», e un giovanotto, sbucato da dietro una scialuppa, le si mise accanto. Senza voltarsi lei disse:
«Una giornata splendida! A casa sarà pure deliziosa».
«Credevo che sareste rimasta in città almeno per una notte e che avremmo potuto cenare insieme e andare a teatro».
«Ma, ragazzo caro, verranno a incontrarmi».
«Che maledizione che certe cose debbano finire!»
«Spesso è anche peggio che certe altre comincino».
Il giovane la guardò a lungo e, improvvisamente: «Clare, avete capito, è vero, che vi amo?»
Lei fece un cenno con la testa. «Sì».
«Ma voi non mi amate?»
«Senza pregiudizi…!»
«Vorrei… vorrei che per un momento ci metteste più ardore».
«Sono sposata e sono per bene, Tony».
«E se tornate in Inghilterra perché…».
«Per via del clima di Ceylon».
Egli diede un calcio alla murata. «Già, è così buono qui il clima! Io non ho detto nulla, ma so che vostro… che Corven…».
Lei inarcò le sopracciglia ed egli tacque: quindi tutti e due volsero gli occhi alla costa che, avvicinandosi, si faceva rapidamente sempre più nitida.
Quando due giovani sono stati insieme per quasi tre settimane a bordo di una nave, non si conoscono affatto bene come credono. Nella ininterrotta vacuità di una vita in cui non c’è nulla tranne il pulsare delle macchine, il fluire delle acque lungo i fianchi della nave e il percorso del sole nel cielo, l’intimità data dalla vicinanza quotidiana porta a un sentimento che è impetuoso e allo stesso tempo indolente. Sanno che la gente parlerà di loro, ma non ci fanno caso. Dopo tutto dalla nave non possono andarsene via e altro da fare non c’è. Ballano insieme e il debole dondolio della nave favorisce un più stretto contatto. Dopo una decina di giorni si sistemano in una vita in comune, più continua di quella coniugale, con la sola differenza che la notte stanno ancora separati. Poi, tutt’a un tratto, la nave si ferma e anch’essi si fermano; allora, almeno da una parte, c’è la sensazione che hanno aspettato troppo a precisare la situazione. Un affanno, un’irritazione, non del tutto spiacevole perché l’incertezza che li teneva sta per finire, pervade i loro animi; si trovano davanti al dilemma di animali terrestri che sono stati in mare.
Clare ruppe il silenzio.
«Non mi avete mai detto perché vi fate chiamare Tony mentre il vostro nome è James».
«Appunto per questo. Vi prego di essere seria, Clare; non ci rimane molto tempo prima che questa malaugurata nave entri in porto. Non posso proprio pensare a non vedervi più ogni giorno».
Clare gli diede un rapido sguardo e si volse nuovamente verso terra. Pensava: “Come è schietto!”. Il giovane aveva, infatti, un viso schietto, ovale, di carnagione scura; un’espressione risoluta ma tendente al lieto; occhi grigi, che aveva l’abitudine di socchiudere quando rifletteva, e capelli piuttosto scuri; era sottile e agile.
Egli la prese per un bottone del mantello.
«Non mi avete mai detto nulla della sua vita laggiù, ma so che non eravate felice».
«Non mi piace la gente che parla delle proprie faccende private».
«Ecco!» Le mise in mano un biglietto mormorando: «Mi si può sempre trovare a questo club».
Clare lesse:
James Bernard Croom
“The Coffee House”
St. James’s Street.
«Non è piuttosto antiquato il Coffee House?»
«Si, ma è ancora piuttosto distinto. Mio padre mi fece socio quando nacqui».
«Ho uno zio acquisito che ne è socio, sir Lawrence Mont, alto, magro, leggermente curvo; lo riconoscerà dal monocolo cerchiato di tartaruga».
«Lo cercherò».
«Che cosa avete intenzione di fare in Inghilterra?»
«La caccia a un impiego. Adesso è una delle cose più faticose».
«Che specie d’impiego?»
«Qualunque cosa, tranne il maestro di scuola o il piazzista».
«Ma c’è qualcuno che riesca a fare qualche cos’altro oggigiorno?»
«No. Sono tempi cattivi. Quello che mi piacerebbe sarebbe un’amministrazione di beni stabili o qualche cosa che abbia a che fare con i cavalli».
«I latifondi e i cavalli sono due cose che stanno scomparendo».
«Conosco abbastanza bene uno o due proprietari di scuderia. Ma mi immagino che finirò col fare il conducente di automobile. Voi dove andrete a stare?»
«Con i miei, almeno da principio. Se, dopo aver passato una settimana in patria, avrete ancora voglia di vedermi mi troverete a Condaford Grange, nell’Oxfordshire».
«Perché mai vi ho incontrata?», esclamò il giovanotto con improvvisa tristezza.
«Grazie».
«Oh! sapete benissimo quello che voglio dire. Dio mio! Si sta già buttando l’ancora. Ecco il motoscafo!… Oh! Clare!»
«Ebbene?»
«Non è stato nulla per voi?»
Clare lo guardò negli occhi prima di rispondere.
«Sì. Ma non so se potrà mai più essere qualche cosa. Se non lo sarà, grazie di avermi aiutata a passare queste tre brutte settimane».
Il giovane tacque come possono tacere soltanto quelli i cui sentimenti cercano disperatamente un modo di esprimersi…
Il principio e la fine di qualsiasi impresa umana sono disordinati: la costruzione di una casa, la stesura di un romanzo, la demolizione di un ponte e, più di tutto, la fine di un viaggio per mare. Clare sbarcò dal motoscafo nella solita confusione e, sempre accompagnata dal giovane Croom, andò a cadere fra le braccia di sua sorella.
«Dinny! Come sei cara di aver affrontato questa sudicia baraonda! Mia sorella, Dinny Cherrell, Tony Croom. Sono in buone mani adesso, Tony. Andate pure a occuparvi del vostro bagaglio».
«Ho l’automobile di Fleur» disse Dinny. «Cosa c’è da fare per i tuoi bauli?»
«Li ho spediti direttamente a Condaford».
«Allora possiamo andarcene subito».
Il giovane, accompagnatele alla macchina, le salutò con un’allegria così sforzata che non la diede a intendere a nessuno. L’automobile si allontanò dal porto.
Sedute l’una accanto all’altra, le due sorelle si guardarono, fissandosi a lungo e con affetto; le loro mani, appoggiate sulla coperta, si strinsero.
«E così, tesoro!» esclamò finalmente Dinny. «È bello rivederti. Ho sbagliato ad aver letto fra le righe?»
«No. Da lui non ci ritorno più, Dinny».
«Proprio più?»
«No, proprio più».
«Oh! Dio mio! Povera cara!»
«Non voglio entrare in particolari, ma era diventato impossibile». Clare tacque, poi improvvisamente, gettando indietro la testa, soggiunse: «Proprio impossibile!».
«Ha acconsentito a lasciarti andare?»
Clare scosse la testa. «Sono scappata. Lui era via. Io ho mandato un radiogramma e poi da Suez gli ho scritto».
Ci fu un altro momento di silenzio. Quindi Dinny, stringendole la mano:
«Avevo sempre temuto che succedesse».
«Il peggio è che non ho un soldo. C’è modo di guadagnare qualche cosa, per esempio facendo cappelli, Dinny?»
«Cappelli di fabbricazione “tutta inglese”… Chi sa!»
«O, forse, potrei allevare dei cani bull-terrier, che ne pensi?»
«Per ora nulla. Ci informeremo».
«Come state a Condaford?»
«Si tira avanti. Joan è ritornata da Hubert, ma il suo bambino è qui; ha un anno giusto adesso. Cuthbert Conway Cherrell. Credo che lo chiameremo “Cuffs”. È proprio un amore».
«Per fortuna che io non ho complicazioni di questo genere! Alcune cose hanno il loro lato buono». La sua faccia prese un’espressione dura da medaglia.
«Hai ricevuto nulla da lui?»
«No, ma mi scriverà appena si renderà conto che faccio sul serio».
«C’era qualche altra donna di mezzo?»
Clare scrollò le spalle.
Di nuovo Dinny le strinse le mani.
«Non ho intenzione di mettermi a raccontare tutti i miei casi, Dinny».
«Può darsi che anche lui venga in Inghilterra per questo?»
«Non so. Anche se viene, non voglio vederlo».
«Ma, cara, ti troverai in una posizione difficilissima».
«Oh! Non stiamo a preoccuparci per me. Piuttosto tu come stai?» E guardò la sorella con occhio critico: «Hai un’aria più botticelliana che mai».
«Sono diventata maestra nel fare economie. Inoltre mi occupo di apicoltura».
«Rende?»
«Per ora no. Ma su una tonnellata di miele potremmo guadagnarci settanta sterline».
«Quanto miele avete avuto quest’anno?»
«Circa due quintali».
«Avete ancora qualche cavallo?»
«Sì, fino a ora siamo riusciti a salvare i cavalli. Ho un progetto per mettere su un forno a Condaford Grange. I contadini vendono il grano a metà prezzo. Io avrei pensato di macinare e fare il pane per noi e per il vicinato. Con poche sterline si potrebbe rimettere in sesto il vecchio mulino e c’è già il posto per il forno. Ci vogliono circa trecento sterline per incominciare. Abbiamo quasi deciso di tagliare degli alberi per procurarcele».
«I bottegai del paese saranno furibondi».
«È probabile».
«Potrà rendere veramente?»
«Se un ettaro ci dà una tonnellata di grano - vedi Whitaker - calcoliamo di raccogliere trenta tonnellate del nostro grano, più altrettanto grano canadese perché il pane sia buono e leggero; ciò produrrebbe più di ottocentocinquanta sterline, meno, diciamo, cinquecento per le spese di macinatura e cottura. Vorrebbe dire cuocere centosessantadue pani da una libbra al giorno e venderne circa cinquantaseimila all’anno. Dovremmo fornire ottanta famiglie, cioè il villaggio all’incirca. E faremmo il pane più buono e più bello».
«Un guadagno di trecentocinquanta sterline all’anno», calcolò Clare. «Chi sa!»
«Chi sa!» replicò Dinny. «Non è per esperienza che dico che ogni preventivo di guadagno deve essere ridotto della metà, perché di esperienza non ne ho; ma ho paura che sia così. Però potremmo contentarci anche della metà. A poco per volta si potrebbe ingrandire l’impresa e col tempo potremmo dissodare parecchi altri campi».
«Il progetto è buono» disse Clare; «ma il villaggio vi appoggerà?»
«Per quel che ho potuto sentire, sì».
«Ci vorrebbe qualcuno per dirigere».
«Certo. Ci vorrebbe qualcuno disposto a fare qualunque cosa. Potrebbe avere un avvenire, se la cosa attaccasse».
«Chi sa…». disse Clare di nuovo corrugando la fronte.
«Chi era» chiese improvvisamente Dinny «quel giovane?»
«Tony Croom? Oh! Lavorava in una piantagione di tè, ma è stata chiusa». E guardò la sorella bene in faccia.
«Simpatico?»
«Sì, un caro figliolo. A proposito, cerca lavoro».
«Come circa altri tre milioni di persone».
«Me compresa».
«Non sei tornata in Inghilterra molto allegra, cara».
«Ho sentito dire, mentre ero nel Mar Rosso, che è stata abbandonata la parità aurea o che so io. Ma che cos’è questa parità aurea?»
«È quella cosa che si vorrebbe avere quando non la si ha, e che non si vorrebbe quando invece la si ha».
«Capisco».
«Il guaio è, pare, che le nostre esportazioni, i redditi dei noli e gli interessi degli investimenti all’estero non compensano più le importazioni; si spende più di quanto si incassa. Michael dice che chiunque avrebbe potuto prevedere che si stava per arrivare a questo; ma pensavano che al momento buono tutto si sarebbe accomodato. Invece no. Per questo abbiamo il Governo nazionale e le elezioni».
«Potranno fare qualche cosa se restano al potere?»
«Michael dice di sì, ma lui è sempre ottimista. Lo zio Lawrence dice che possono fermare il panico, impedire che il denaro vada fuori del paese, mantenere la sterlina abbastanza stabile e metter fine ai profittatori; ma che per questo ci vuole un lavoro di ricostruzione ampio e definitivo che durerà venti anni, e durante questo tempo saremo tutti più poveri. Sfortunatamente, dice, non c’è Governo che possa impedirci di preferire il gioco al lavoro, costringerci a serbare il denaro per pagare delle tasse spaventose o preferire il presente al futuro. Dice anche che se crediamo che per salvare il Paese la gente lavorerà, come ha fatto durante la guerra, ci sbagliamo; poiché, invece di essere un popolo solo contro un nemico esterno, siamo in due contro un nemico interno, cioè noi stessi divisi in due dalle idee opposte sul modo di salvarci».
«Lo zio crede che il socialismo possa servire a qualche cosa?»
«No; dice che i socialisti si sono dimenticati che se non possono produrre per pagare i viveri nessuno darà loro da mangiare. Dice che il comunismo e il socialismo libero-scambista hanno qualche possibilità soltanto nei paesi produttori dei propri viveri. Vedi che ho imparato un bel po’. Tutti quanti adoperano molto la parola “Nemesi”».
«Pfuh! Dove siamo dirette adesso, Dinny?»
«Ho pensato che potevamo pranzare da Fleur, per poi prendere il treno delle tre e cinquanta per Condaford».
Seguì un silenzio durante il quale ognuna delle due sorelle pensò intensamente all’altra, senza averne gioia. Clare sentiva nella sorella maggiore quell’impalpabile cambiamento che avviene nelle persone in cui la gioventù è stata spezzata e poi rabberciata per tirare avanti. E Dinny pensava: “Povera bambina! Adesso abbiamo fatto tutte e due la nostra prova. Che cosa farà? Come potrò aiutarla?”.