1.
Un’alba grigia illuminava il Grime, cancellandone le ombre e rendendolo un puzzle di tessere tutte simili, tutte dai colori ugualmente smorti.
“Grime” non era il vero nome del quartiere, che sulle mappe era indicato come “Green Mews”, ma in qualche modo era diventato il suo nome non-ufficiale. D’altronde “Il Lercio” lo descriveva molto meglio di “Le Stalle Verdi”. In quanto alle stalle, le antiche stalle di una tenuta ormai distrutta formavano una fila di casupole di mattoni su un lato del Grime, ognuna con il suo giardino invaso di erbacce o pieno di vecchi elettrodomestici lasciati ad arrugginire. Davanti a quelle otto case cadenti, una strada a veloce scorrimento tagliava la campagna, separando il Grime dai campi incolti e dalle rotonde che punteggiavano la vasta fascia in cui la periferia sfumava del nulla.
Dietro alle Stalle, procedendo in direzione della città, i quattro grossi blocchi abitativi che formavano il cuore marcio del quartiere, denominati dalla A alla D. Ancora oltre, file di villette a schiera tutte appiccicate insieme, che pian piano si trasformavano in una zona industriale morta e sepolta.
Questo era il Grime. Cemento grigio e aiuole spelacchiate, piene di siringhe e cacche di cane.
Ad Allison Regotzy le cacche di cane non interessavano, ma, mentre camminava sulla striscia di erba ingiallita tra le Stalle e il Blocco D, cercava di non calpestarle.
La luce dell’alba appiattiva tutto e rendeva più difficile la sua ricerca. La sera precedente, non ricordava quando con precisione, si era seduta sul cordolo di cemento di quell’aiuola per farsi. Poi si era lasciata cadere indietro, la schiena sui ciuffi radi, mentre la invadeva il sollievo dell’astinenza che svaniva. A quel punto aveva ancora all’indice l’anello d’argento di sua nonna, ne era sicura. L’anello che non aveva mai venduto, non importava quanto disperatamente avesse bisogno di eroina.
Non ricordava con chiarezza che cosa le fosse successo dopo. Si era svegliata all’alba, il corpo intirizzito, i vestiti umidissimi e l’astinenza che iniziava a tornare, senza più i collant e a una ventina di metri dal posto dove si era seduta per bucarsi.
Si era toccata tra le gambe per capire se qualcuno l’avesse scopata mentre era incosciente (le era già successo), ma tutto sembrava normale. Solo... il suo anello non c’era più.
Allison non riusciva a rassegnarsi all’idea di essere stata derubata. Cercò lungo tutto il bordo, poi iniziò ad aggirarsi per l’aiuola.
Non lo faceva in modo sistematico, percorrendo la striscia d’erba divisa in quattro da file di cespugli polverosi secondo un criterio. I suoi piedi la portavano qua e là, i suoi occhi faticavano a obbedire a una doppia necessità: scovare l’anello ed evitare le cacche di cane.
Superò un filare di cespugli. Tra le foglie, cartacce stinte dal sole e preservativi semi-sciolti. Che fine aveva fatto il suo anello?
Qualche passo più avanti, oltre una siepe, un grosso sacchetto dell’immondizia nero le sembrò in qualche misura incongruo. Troppo nuovo. Troppo grande. Dalla forma strana. Sembrava che non contenesse spazzatura assortita, ma un unico oggetto oblungo.
Allison si dimenticò dell’anello – che comunque aveva scambiato la sera prima con una dose – e si chinò per esaminarlo. Forse c’era dentro qualcosa di interessante.
Certo, l’odore era proprio disgustoso.
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Delyse Gordon uscì dall’atrio della Scala A del Blocco D verso le sette del mattino. Al Grime non arrivava la metro, quindi per andare al lavoro doveva prendere un autobus e poi cambiare a Cranter.
Non ne aveva un granché voglia, anche perché era un lavoro pulcioso.
Mentre andava a passo indolente verso la piazzola dei bus, avvolta nel suo piumino leggero color ciliegia, notò del movimento attorno all’aiuola tra il suo blocco e le Stalle. C’era un’ambulanza con le sirene spente, una volante degli sbirri e pure un paio di piedipiatti in borghese. Uno era il DI Thompson, lo stronzo che aveva convinto Delyse a non denunciare il suo ex-capo, quando quello l’aveva stretta in un angolo e l’aveva palpeggiata a più non posso.
Delyse prese uno spinello già rollato dalla tasca della giacca e se lo accese, attardandosi per guardare che cacchio stava succedendo su quell’aiuola.
Non sembrava il classico tossico morto.
Per quelli si scomodava a stento una pattuglia. Arrivava un’ambulanza, li caricava e adios. Al Grime non era uno spettacolo insolito.
No, questa volta era diverso. Quel porco di Thompson si grattava la zucca, parlando con uno dei pinguini in uniforme.
Delyse accese il suo spinello e diede un tiro. Le piaceva iniziare la giornata con una cannetta poco carica. La rilassava e le faceva affrontare le cose con più pazienza.
Gli sbirri si affaccendavano attorno a quello che sembrava un sacco della spazzatura formato famiglia. Ogni tanto pestavano una merda e Delyse li sentiva imprecare. Era piuttosto divertente.
Al Grime non c’era molto intrattenimento, così la gente accoglieva sempre con interesse le azioni delle forze dell’ordine, per così dire. Per lo più le loro azioni consistevano nell’accorrere troppo tardi dopo una rissa, un accoltellamento o uno stupro, ma a volte, se le risse duravano un po’, riuscivano persino a intervenire prima che ci fosse un morto.
E a proposito di morti, pensò Delyse, dando un altro tiro lungo e soddisfacente al suo spinello, lì sembrava proprio che ce ne fosse uno.
Si avvicinò un po’, intenzionata a guardare meglio, ma senza dare nell’occhio. Se il suo vecchio Chap fosse stato ancora vivo, avrebbe potuto far finta di portare a spasso il cane, ma così non aveva scuse e presto avrebbe dovuto sloggiare.
Prese il cellulare e scattò una foto ricordo. Succedeva così poco, al Grime.
Vide che Allison, una delle tossiche storiche del quartiere, veniva fatta uscire dal sedile posteriore della pattuglia. Sembrava messa peggio del solito – e di solito era già messa da schifo.
Si ripromise di andarle a chiedere che cosa volessero da lei gli sbirri, più tardi.
In quel momento le arrivò alle narici una zaffata di marcio, portata da uno spostamento dell’aria. Sì, c’era proprio un tizio stecchito, dentro quel sacco.
L’aiuola sembrava la stessa di sempre: nessun indizio lì.
Non che a Delyse dovesse fregare qualcosa, in effetti, ma era una scena interessante.
Diventò ancora più interessante quando uno degli uomini dell’ambulanza si avvicinò con la lettiga per caricare il corpo. Il corpo non era tutto d’un pezzo.
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Grant Porter arrivò al Grime verso le tre del pomeriggio. Glielo avevano descritto come il posto più schifoso dell’universo, ma ora che lo vedeva con i suoi occhi iniziava a pensare che fossero stati fin troppo gentili.
Quel quartiere faceva quasi ridere, da quanto rappresentava lo stereotipo della periferia degradata. Non c’era niente, nemmeno un pub. Solo quattro grossi parallelepipedi di cemento armato, una fila di otto casupole decrepite e, sull’altro lato, una scacchiera di villette a schiera tutte incastrate tra loro.
A separare quelle isole di desolazione le une dalle altre, una palude di asfalto crepato, poche aiuole moribonde e degli alberi che erano ancora spogli nonostante fosse l’inizio di maggio, e nel resto della città ogni forma di vita vegetale stesse fiorendo. Quel posto era come un autunno perpetuo: sporco, grigio, squallido e senza speranza.
Per prima cosa Grant andò a interrogare la tizia che aveva scoperto il cadavere. Allison Regotzy viveva in una delle otto casupole cadenti. Ad aprirgli ci mise una vita e non sembrò felice di farlo entrare. Neppure Grant, dal canto suo, era entusiasta all’idea. La casa di Allison puzzava di morte. Le stanze erano vuote come se dei ladri avessero svaligiato l’appartamento, lasciando solo pochi mobili sfondati e scatoloni dal contenuto nauseabondo. In quanto a Allison, era una tossica, il genere di tossica che resta in vita come fosse un dispetto, chissà come. La cosa cui somigliava di più era uno zombie di The Walking Dead, con i capelli biondicci attaccati alla testa e i vestiti che cadevano sul corpo scheletrico.
Parlava lentamente, grattandosi croste che lei stessa si era provocata grattandosi.
La sua versione era che quella mattina presto era uscita a fare una passeggiata e aveva notato il sacco della spazzatura. Perché l’avesse aperto non era chiaro. Aveva visto che dentro c’era un cadavere e aveva chiamato la polizia, nient’altro. Non sapeva chi fosse la morta, ma non era del quartiere.
Grant le chiese perché non fosse rimasta lì ad aspettare la polizia. Allison balbettò qualcosa. Altre palle, probabilmente.
Grant era abituato ai testimoni che mentivano in modo stupido e senza un reale motivo. La gente sembrava spesso più interessata a fare una bella figura che ad aiutare le indagini. In quel quartiere, poi, la polizia non godeva di grande popolarità, per usare un eufemismo.
Mentre tornava verso il luogo del delitto Grant annusò l’aria. Avrebbe scommesso che nei dintorni qualcuno avesse cotto delle anfetamine, nelle ore precedenti.
Ignorò la cosa.
Girò attorno alla fila di casupole e si diresse con passo calmo verso l’aiuola dove era stato trovato il cadavere. Anche se definirla aiuola era un po’ esagerato. Era più che altro un rettangolo di terra diviso in quattro da tre filari di cespugli. I cespugli stessi non avevano senso. Di solito venivano piantati attorno alle aiuole, o al centro se erano particolarmente decorativi. Quelli erano tre volgari cespugli di bosso, pieni di spazzatura, e la loro disposizione sfidava qualsiasi logica.
Il corpo era stato mollato dietro a uno dei filari, in uno dei due segmenti centrali dell’aiuola. Non era nascosto. C’era solo una direzione da cui il sacco non fosse visibile, quella mattina.
Ora il sacco non c’era più, l’aiuola era stata recintata dal nastro della polizia e vicino al punto del ritrovamento c’era una tizia che ficcanasava.
Bella ragazza di origini giamaicane, con un piumino tra il rosso e il rosa piuttosto vivace, una nube di capelli ricci e dai riflessi rossicci, forse venticinque anni e una canna in mano. Questo Grant poteva dirlo con sicurezza, dato che fu investito da una zaffata di m*******a mentre si avvicinava.
«È qua che l’hanno trovata, eh?» disse, in tono casuale. Tirò fuori una sigaretta e la accese a sua volta.
Grant non fumava, ma a volte, nel suo lavoro, doveva fare un’eccezione.
La tizia gli lanciò un’occhiata sospettosa. «Seh».
«Ho sentito dire che era senza testa» continuò Grant, neanche stessero facendo due chiacchiere sul tempo.
«Non senza, sai. Ce l’aveva, ma non era attaccata al collo».
«Ah. Pensavo che fosse proprio senza. Che per questo non l’avessero identificata».
La tizia si voltò del tutto dalla sua parte.
«Guarda che ce l’hai scritto in fronte che sei uno sbirro» gli comunicò, dando un altro tiro alla sua canna.
Grant la indicò con un gesto vago della mano. «Quindi quella è okay, mh? Visto che ho scritto in fronte che sono uno sbirro e tutto».
La tizia si strinse nelle spalle e diede un altro tiro. «Uso terapeutico. E quindi? Il vecchio Thompson non è abbastanza per questo caso?».
Grant aveva conosciuto il DI Thompson qualche ora prima. Era una conoscenza che avrebbe volentieri evitato di fare.
«Non che siano cavoli tuoi, vero. Che cosa stavi facendo dentro la scena del crimine, a parte farti incriminare per intralcio alle indagini?».
Lei sbuffò. Non sembrava preoccupata.
«Credi che non ci siano entrati già tutti? Stamattina, quando la polizia se n’è andata, ho visto con i miei occhi quei ragazzini del Blocco C entrare per farsi un selfie. Poi sono andata al lavoro, ma scommetto che non sono stati gli unici».
«È probabile» ammise Grant. «Esci ugualmente di lì, okay?».
La tizia si piegò agilmente per passare sotto il nastro della polizia e scese dall’aiuola. La punta dei suoi capelli arrivava più o meno all’altezza del mento di Grant, ora.
Lui finì di fumare la sigaretta e la buttò via. Prese la macchina fotografica.
«Anche se non credo sia rimasto molto da fotografare, eh?» commentò, con un sospiro rassegnato. «Tu hai visto quando sono arrivati i miei colleghi? O magari quando è stato ritrovato il corpo?».
La tizia si fece di nuovo sospettosa. «No, niente».
«Certo, nessuno ha visto niente. Quindi avrà ragione Thompson e sarà un regolamento di conti tra bande».
Lei si mise a ridere. «Un regolamento di conti? Davvero quella vescica di grasso pensa che sia un regolamento di conti?».
«Sembra che tu sia di un’altra opinione».
Lei buttò via il mozzicone dello spinello e si strinse nelle spalle. «Dico solo che non sembra un regolamento di conti. Quando quelli si ammazzano tra loro lo fanno a colpi di pistola e il morto lo lasciano lì dove l’hanno seccato. E... una donna? Non dico che sia impossibile, ma sembra un po’ strano, tutto qua».
«Perché sono dei gentlemen, è chiaro».
Lei gli lanciò uno sguardo disgustato. «Perché non ha senso. Quando ci sono le faide di cui parli tu, di solito uno di un gruppo fa fuori uno di un altro, no? Poi quelli rispondono e ne fanno fuori uno dei loro per pareggiare. E così via. Di donne ai piani alti di quelle g**g lì ce ne sono poche, per lo più sono mogli, o fidanzate, o amanti. Man mano che le cose si incattiviscono può darsi che una ci resti in mezzo, non dico che sia impossibile. Prendi la donna di uno degli altri, la stupri, la ammazzi e la lasci da qualche parte...»