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Una Nuova Chance (Un Mistero di Mackenzie White —Libro 2)

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In UNA NUOVA CHANCE (Un Mistero di Mackenzie White —Libro 2), l’agente dell’FBI in addestramento Mackenzie White lotta per lasciare il segno all’Accademia FBI di Quantico, dopo il suo trasferimento dal Nebraska, cercando di affermarsi come donna. Con la speranza di avere la stoffa per diventare un’agente dell’FBI e di lasciarsi definitivamente alle spalle la vita nel Midwest, Mackenzie desidera soltanto fare una buona impressione ai suoi superiori tenendo un profilo basso.

Ma tutto cambia quando il cadavere di una donna è rinvenuto in una discarica. L’omicidio presenta sconvolgenti analogie con il caso del Killer dello Spaventapasseri — il caso che ha reso Mackenzie famosa in Nebraska — e nella corsa frenetica per fermare il nuovo serial killer, l’FBI decide di infrangere il protocollo e dare a Mackenzie l’opportunità di lavorare al caso.

È una grande occasione per Mackenzie di fare bella figura con l’FBI—ma la posta in gioco non è mai stata così alta. Non tutti vogliono che si occupi del caso, e tutto quello che tocca sembra finire male. Mentre la pressione sale e il killer colpisce ancora, Mackenzie si ritrova una voce solitaria circondata da agenti esperti, e presto capisce di essere nei guai. Il suo futuro nell’FBI è a repentaglio.

Mackenzie è tenace e determinata, un genio nella caccia agli assassini. Eppure, stavolta il nuovo caso sembra un enigma senza soluzione, qualcosa fuori dalla sua portata. E forse non ha nemmeno il tempo per svelare il mistero, mentre tutto nella sua vita inizia ad andare a rotoli.

Thriller-noir psicologico dalla suspence mozzafiato, UNA NUOVA CHANCE è il libro #2 in una nuova, avvincente serie—con un nuovo, irresistibile personaggio— che vi terrà incollati alle pagine fino a tarda notte.

Il libro#3 della serie Mistero di Mackenzie White White sarà presto disponibile.

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PROLOGO
PROLOGO Susan Kellerman capiva la necessità di vestirsi bene. Rappresentava la compagnia e doveva cercare di conquistare nuovi acquirenti, quindi il suo aspetto contava. Quello che invece non capiva era perché, in nome di Dio, dovesse portare i tacchi. Indossava un grazioso abitino estivo e aveva un paio di ballerine perfette da abbinarci. Invece no... l’azienda insisteva con in tacchi. Era una questione di eleganza. Dubito che i tacchi abbiano qualcosa a che fare col successo di una vendita, pensò. Soprattutto se il potenziale cliente era un uomo. E, stando al suo elenco, la persona che abitava nella casa in cui si stava dirigendo era un uomo. Susan quindi controllò la scollatura del proprio abito. Era leggermente profonda, ma nulla di scandaloso. Questo, pensò, dimostra eleganza. Con in mano un espositore piuttosto grosso e pesante, salì i gradini nelle sue scarpe coi tacchi e suonò il campanello. Mentre aspettava, diede una rapida occhiata alla casa. Era un’abitazione piccola e semplice, ai margini di un quartiere borghese. L’erba era stata tagliata di recente, ma le aiuole che fiancheggiavano gli scalini del portico d’ingresso erano invase dalle erbacce. Era un quartiere tranquillo, ma non il tipo in cui Susan avrebbe abitato volentieri. Le case disseminate per la strada erano tutte a un piano e con il tetto asimmetrico. Immaginò che nella maggior parte di esse vivessero coppie di anziani o persone che riuscivano a fatica a pagare le bollette. Quella casa in particolare pareva a un passo dal diventare proprietà della banca; sarebbe bastato un violento temporale o una crisi finanziaria. Allungò la mano per suonare di nuovo il campanello, ma la porta si aprì prima che ci riuscisse. L’uomo che aveva aperto era di corporatura media. Immaginò avesse sui quarant’anni. C’era in lui qualcosa di effeminato, qualcosa che traspariva anche semplicemente dal modo in cui aveva aperto la porta e le aveva rivolto un ampio e luminoso sorriso. “Buongiorno” disse l’uomo. “Buongiorno” rispose lei. Conosceva il suo nome, ma le era stato insegnato di usarlo solo una volta che le linee di comunicazione fossero state ben aperte. Quando chiamavi le persone subito per nome, le facevi sentire come obiettivi, non clienti, anche se avevano prenotato l’appuntamento. Non volendo lasciargli l’occasione per fare domande e prendere così il controllo della conversazione, aggiunse: “Mi chiedevo se avesse un momento per parlare della sua dieta attuale.” “Dieta?” domandò l’uomo con un sorrisetto. “Non sono esattamente a dieta. Mangio quello che mi va.” “Ah, dev’essere bello” commentò Susan in tono allegro e sfoderando il suo sorriso più affascinante. “Come sono certa saprà, non molte persone al di sopra dei trent’anni possono dire una cosa del genere e mantenere un fisico sano.” Per la prima volta, l’uomo guardò la valigetta che Susan aveva nella mano sinistra. Fece un altro sorriso, stavolta uno pigro, di quelli che fanno le persone quando capiscono di aver abboccato. “Allora, cosa vende?” Era un commento sarcastico, ma almeno non le aveva sbattuto la porta in faccia. Lei la considerò una piccola vittoria che le avrebbe permesso di entrare in casa. “Be’, sono qui per conto dell’Università del Miglioramento” spiegò. “Offriamo agli adulti con più di trent’anni un metodo facilissimo di restare in forma senza dover andare in palestra o modificare troppo il proprio stile di vita.” L’uomo sospirò e poggiò la mano alla porta. Sembrava annoiato e pronto a cacciarla via. “E quale sarebbe questo metodo?” “Si tratta di una combinazione di frullati proteici fatti con preparati di nostra produzione e più di cinquanta ricette salutari per migliorare la sua alimentazione giornaliera.” “Tutto qui?” “Tutto qui” confermò lei. L’uomo ci pensò su un momento, spostando lo sguardo da Susan alla valigetta che aveva in mano. Quindi guardò l’orologio e diede un’alzata di spalle. “Le dirò una cosa” disse. “Devo andarmene tra dieci minuti. Se nel frattempo riesce a convincermi, avrà guadagnato un cliente. Farei di tutto per evitare di tornare in palestra.” “Splendido” disse Susan, con un tono allegro di voce talmente finto che la fece rabbrividire. L’uomo si spostò e le fece cenno di entrare in casa. “Si accomodi” le disse. Lei entrò, trovandosi in un piccolo salotto. Un televisore dall’aspetto antiquato poggiava su un mobile segnato; negli angoli della stanza c’erano vecchie sedie polverose e un divano sgualcito. Ovunque c’erano statuette di ceramica e centrini. Sembrava più la casa di un’anziana che quella di un quarantenne single. Senza capirne il motivo, nella sua testa si accesero dei campanelli d’allarme. Tuttavia, tentò di sconfiggere la propria paura con la logica. O è davvero fuori di testa, oppure questa non è casa sua. Magari vive con la madre. “Va bene se ci mettiamo lì?” disse lei indicando il tavolino davanti al divano. “Sì, va bene lì” disse l’uomo. Le sorrise mentre chiudeva la porta. Nell’istante in cui la porta si chiuse, Susan avvertì qualcosa agitarsi dentro di sé. Era come se la stanza si fosse fatta gelida e i suoi sensi si fossero messi in allerta. C’era qualcosa di sbagliato. Era una sensazione bizzarra. Guardò la statuetta di ceramica più vicina a lei – un ragazzo che tirava un carretto – come in cerca di una risposta. Cercò di distrarsi aprendo la valigetta-espositore. Tirò fuori alcune bustine di Proteine in Polvere dell’Università del Miglioramento e il mini frullatore in omaggio (del valore di 35$, ma completamente gratis per te al primo acquisto!). “Allora” disse, cercando di restare calma e ignorare i brividi che avvertiva. “Le interessa di più perdere peso, aumentare di peso oppure mantenere il suo peso attuale?” “Non saprei” disse l’uomo osservando gli oggetti restando in piedi davanti al tavolino. “Lei cosa dice?” Susan faticava a parlare. Adesso aveva paura e senza un motivo preciso. Guardò la porta, col cuore che le martellava in petto. L’aveva forse chiusa a chiave? Da dove si trovava non riusciva a capirlo. Poi realizzò che l’uomo aspettava ancora una risposta. Cercò di riprendersi e tornare in modalità di venditrice. “Be’, non saprei” gli disse. Voleva guardare di nuovo la porta. Improvvisamente, le sembrò che tutte le statuine nella stanza la fissassero con in loro occhi di porcellana, come se fosse una preda. “Non mangio poi così male” disse l’uomo. “Però ho un debole per la torta al limone. Se seguo il vostro programma potrei continuare a mangiare torta al limone?” “Forse sì” rispose lei. Si mise a spulciare tra i documenti nella valigetta, stringendola a sé. Dieci minuti, pensò, sentendosi sempre più a disagio man mano che i secondi passavano. Ha detto di avere dieci minuti. Posso farcela. Trovò l’opuscolo che spiegava cosa l’uomo avrebbe potuto mangiare se avesse seguito il programma e glielo porse guardandolo in faccia. Quando lui lo prese, le sfiorò la mano per un istante. Ancora una volta, nella sua mente scattarono gli allarmi. Doveva andarsene da lì. Non le era mai capitato di avere una simile reazione entrando nella casa di un potenziale cliente, ma adesso si sentiva così sopraffatta da non riuscire a pensare ad altro. “Mi dispiace” disse raccogliendo tutto il materiale e rimettendolo nella valigetta. “Mi sono appena ricordata di avere una riunione tra meno di un’ora, dall’altra parte della città.” “Ah” disse lui, osservando l’opuscolo che aveva in mano. “Certo, capisco. Spero che non faccia tardi.” “Grazie” disse lei frettolosamente. Le porse l’opuscolo, che lei prese con mano tremante. Lo sistemò nella valigetta e andò alla porta d’ingresso. Era davvero chiusa a chiave. “Mi scusi” disse l’uomo. Susan si voltò, la mano ancora sulla maniglia. Notò a malapena il pugno arrivare verso di lei. Tutto ciò che vide quando la colpì alla bocca fu un lampo bianco. Sentì subito il sangue scorrere, avvertendone anche il sapore sulla lingua. Cadde all’indietro sul divano. Aprì la bocca per gridare, ma la parte destra della mascella era come bloccata. Mentre cercava di rimettersi in piedi, l’uomo le si parò davanti e stavolta le sferrò una ginocchiata allo stomaco. Tutta l’aria le uscì dai polmoni e riuscì solo a rannicchiarsi, annaspando in cerca d’aria. Si rese debolmente conto dell’uomo che la sollevò e se la mise in spalla, come se fosse un primitivo che riportava la sua donna nella caverna. Provò a divincolarsi, ma non riusciva ancora a respirare bene. Si sentiva come paralizzata, come se stesse annegando. Tutto il suo corpo era molle, anche la testa. Il sangue le colava dalla bocca finendo sulla camicia dell’uomo, e fu tutto ciò che vide mentre lui la trascinava per casa. Ad un certo punto si accorse che l’aveva portata in un’altra casa, che era in qualche modo collegata a quella dove si era trovata fino a poco prima. La lasciò cadere come un sacco di patate, facendole sbattere la testa sul pavimento di linoleum consunto. Quando infine riuscì ad inspirare, il dolore le fece comparire tanti puntini luminosi davanti agli occhi. Si rigirò sul pavimento, ma quando riuscì a rimettersi in piedi, l’uomo era di nuovo lì. Le si stava annebbiando la vista, ma riuscì comunque a vedere che l’uomo aveva aperto una specie di porticina nel muro, nascosta da un falso pannello di legno. Dietro la porta c’era uno spazio buio e polveroso, con uno strato di materiale isolante rigonfio che cadeva a pezzi. Il cuore prese a batterle in petto furiosamente, come a cercare di sfondarle le cassa toracica, quando capì che era lì che l’avrebbe portata. “Qui sarai al sicuro” le disse l’uomo, chinandosi e trascinandola nel nascondiglio. Si ritrovò al buio, sdraiata sulle rigide assi di legno del pavimento. L’uomo... sapeva il suo nome, ma non riusciva a ricordarlo. Il suo mondo si era ridotto a dolore e sangue, mentre continuava a respirare a fatica. Infine riuscì a trarre un respiro profondo, e pensò di usarlo per gridare aiuto. Invece, lasciò che le riempisse i polmoni, portando un po’ di sollievo al suo corpo. In quel breve istante di tregua, udì la porta del nascondiglio chiudersi da qualche parte dietro di sé, poi si ritrovò nella completa oscurità. L’ultima cosa che aveva sentito prima che il mondo si tingesse di nero era la risata dell’uomo, appena fuori dalla porta. “Non preoccuparti” disse. “Presto sarà tutto finito.”

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