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Tramutata (Primo libro di Appunti di un Vampiro)

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TRAMUTATA è il primo libro della prima serie campione di incassi APPUTNI DI UN VAMPIRO, che comprende – al momento - dieci libri.

In TRAMUTATA (Primo libro di Appunti di un Vampiro), la diciottenneCaitlinPainesi trova sradicata dalla confortevole cittadina dove viva e costretta a frequentare una malavitosa scuola superiore di New York in seguito all’ennesimo trasferimento di sua madre. L’unico raggio di sole in questo nuovo contesto è Jonah, un compagno di classe che prova per lei un’immediata simpatia.

Ma prima che la loro storia possa sbocciare, Caitlin scopre che sta cambiando. Si trova pervasa da una forza sovrumana, da una particolare sensibilità alla luce, da uno strano desiderio di nutrirsi, da sentimenti che lei stessa non riesce a comprendere. Cerca delle risposte a ciò che le sta accadendo, e la sua nuova brama la conduce nel posto sbagliato nel momento sbagliato. I suoi occhi le svelano un mondo nascosto, che si trova proprio sotto i suoi piedi, insediato nei sotterranei di New York. Si trova intrappolata tra due covi pericolosi, proprio nel bel mezzo di una guerra tra vampiri.

È a questo punto che Caitlin incontra Caleb, un vampiro forte e misterioso che la salva dalle forze oscure. Lui ha bisogno di lei perché lo aiuti a raggiungere un leggendario oggetto perduto. E lei ha bisogno da lui di risposte e di protezione. Insieme dovranno rispondere a una domanda cruciale: chi era il vero padre di Caitlin?

Ma Caitlin si trova incastrata tra due uomini e qualcosa di nuovo sta sorgendo tra loro: un amore proibito. Un amore tra diverse razze che metterà a rischio la vita di entrambi e che li costringerà a decidere se rischiare il tutto e per tutto per il loro futuro…

"TRAMUTATA è una storia ideale per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un grande lavoro tessendo un intreccio interessante su quello che sarebbe potuto essere semplicemente un tipico racconto di vampiri.

Rinfrescante e unico, TRAMUTATA possiede i classici elementi che si ritrovano in molte storie paranormali per ragazzi. Il primo libro della Serie Appunti di un Vampiro ruota attorno a una ragazza… una ragazza straordinaria! TRAMUTATA è semplice da leggere, ma ha un ritmo veramente incalzante. Raccomandato per tutti coloro che amano leggere storie paranormali leggere e non troppo impegnative. Classificato PG."

--The Romance Reviews

“TRAMUTATA ha rapito la mia attenzione fin dall’inizio e non ho più potuto smettere… Questa storia è un’avventura sorprendente, dal ritmo incalzante e densa di azione già dalle prime pagine. Non vi si trovano momenti morti. Morgan Rice ha compiuto un lavoro strepitoso portando il lettore direttamente all’interno del racconto. Ci ha fatti anche affezionare subito a Caitlin, facendoci desiderare che riesca a trovare la verità… Non vedo l’ora di leggere il secondo libro della serie.”

--Paranormal Romance Guild

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Capitolo Uno-1
Capitolo Uno Caitlin Paine temeva sempre il suo primo giorno in una nuova scuola. C’erano grandi cose, come incontrare nuovi amici e i nuovi insegnanti, imparare a conoscere nuovi corridoi. E c’erano piccole cose, come prendere possesso di un armadietto nuovo, sentire l’odore di un posto diverso e udirne i rumori. Quello che temeva di più erano gli sguardi. Si sentiva come se tutti, in un posto nuovo, guardassero lei. Tutto ciò che desiderava era passarte inosservata. Ma sembrava che non potesse mai succedere. Caitlin non riusciva a capire perché tutti la notassero. Il suo metro e sessantacinque non la rendeva particolarmente alta, e i suoi capelli e occhi castani (insieme ad un peso normale) la facevano sentire nella media. Non era certo bellissima come certe altre ragazze. Aveva diciotto anni ma questo non bastava a farla emergere. C’era qualcos’altro. C’era qualcosa di lei che faceva voltare le persone una seconda volta a guardarla. Sapeva, dentro di lei, di essere diversa. Ma non era certa di capire in che cosa. Se c’era qualcosa di peggio del primo giorno, era cominciare il primo giorno all’inizio del secondo quadrimestre, dopo che tutti gli altri avevano già avuto il tempo di ambientarsi. Oggi era proprio quel giorno di inizio quadrimestrer, alla metà di marzo, e sarebbe stato di sicuro uno dei peggiori. Già se lo sentiva. Nella sua più sfrenata immaginazione, però, non avrebbe mai creduto che sarebbe andata così male. Niente che avesse mai visto – e ne aveva viste tante – l’aveva preparata a questo. Caitlin era in piedi fuori dalla sua nuova scuola, una grande scuola pubblica di New York, in quella fredda mattina di marzo, e si chiedeva Perché io? Era vestita poco, solo leggings e felpa, e neanche lontanamente preparata alla chiassosa confusione che la accolse. C’erano centinaia di ragazzi lì, che strepitavano, gridavano e si spintonavano. Sembrava il cortile di una prigione. Era tutto troppo rumoroso. Quei ragazzi ridevano troppo forte, dicevano troppe parolacce, si spingevano con troppa forza. Avrebbe pensato che si trattasse di una zuffa di massa se non avesse colto qualche sorriso e qualche risatina canzonatoria. Avevano solo troppa energia e lei, esausta, congelata e con ore di sonno perso sulle spalle, non poteva capire da dove la prendessero. Chiuse gli occhi e sperò che tutto scomparisse. Mise la mani in tasca e sentì qualcosa: il suo i-pod. Sì. Si mise gli auricolari e lo accese. Aveva bisogno di coprire tutto il rumore che la circondava. Ma non successe nulla. Abbassò lo sguardo e vide che la batteria era scarica. Perfetto. Controllò il telefono, sperando di trarne un po’ di distrazione, ma niente. Nessun nuovo messaggio. Sollevò lo sguardo. Guardando quel mare di facce nuove si sentì sola. Non solo perché era l’unica ragazza bianca, a dire il vero era meglio così. Alcuni dei migliori amici che aveva avuto nelle altre scuole erano di colore – spagnoli, asiatici, indiani – mentre alcuni dei peggiori erano bianchi. No, non era quello il motivo. Si sentiva sola perché era in città. Era in piedi sul cemento. Una forte campanella era suonata per permettere loro l’accesso a questa “area ricreativa”, e aveva dovuto passare attraverso larghi cancelli di metallo. Ora era in gabbia, circondata da enormi cancellate sovrastate da filo spinato. Le sembrava di essere in prigione. E il guardare quell’enorme scuola, le sbarre e le inferriate ad ogni finestra, non la faceva sentire meglio. Si adattava sempre con facilità a una nuova scuola, grande o piccola che fosse, ma quelle che aveva frequentato erano tutte scuole di periferia. Avevano tutte erba, alberi e cielo. Qui invece non c’era altro che città. Le toglieva il respiro. La terrorizzava. Un’altra campanella risuonò forte e lei si diresse, insieme a centinaia di altri ragazzi, verso l’ingresso. Una grossa ragazza la urtò con forza e fece cadere il suo diario. Lei lo raccolse e poi sollevò lo sguardo aspettandosi delle scuse. Ma la ragazza non era più lì, essendosi già confusa con la folla. Sentì la sua risata, ma non poteva dire se fosse rivolta a lei. Tenne stretto il diario, l’unica cosa che la rassicurava. Era stato con lei ovunque. In ogni luogo andasse ci prendeva appunti e ci faceva disegni. Era una mappa della sua infanzia. Raggiunse infine l’ingresso e dovette schiacciarsi contro gli altri per passare attraverso alla porta. Era come entrare in un treno nell’ora di punta. Sperava di trovare un po’ di tepore una volta all’interno, ma le porte aperte alle sue spalle le facevano soffiare sulla schiena una brezza gelida, rendendo ancora più intenso il freddo. Due grosse guardie giurate stavano all’ingresso, affiancate da due poliziotti di New York, tutti in uniforme, con le pistole ben visibili ai fianchi. “MUOVETEVI!” ordinò uno di loro. Non riusciva a capire perché due poliziotti armati dovessero sorvegliare l’ingresso di una scuola superiore. La sua sensazione di panico si intensificò. E la situazione peggiorò quando, sollevando lo sguardo, realizzò che sarebbe dovuta passare attraverso un metal detector, di quelli che si trovano negli aeroporti. Altri quattro poliziotti armati si trovavano ai due lati del detector, insieme ad altre due guardie. “SVUOTATE LE TASCHE!” disse brsucamente la guardia. Caitlin notò che altri ragazzi riempivano dei sacchettini di plastica con ciò che avevano in tasca. Fece velocemente lo stesso anche lei, inserendo nel sacchetto il suo i-pod, il portafoglio e le chiavi. Passò lentamente sotto il detector e l’allarme suonò. “TU!” disse seccamente la guardia. “Di lato!” Ovvio. Tutti la guardavano mentre le facevano alzare le braccia e la guardia le faceva passare lo scanner manuale lungo il corpo. “Hai addosso dei gioielli?” Lei si passò le mani sui polsi, poi attorno al collo, e di colpo ricordò. La croce. “Toglila,” disse rudemente la guardia. Era la collana che sua nonna le aveva regalato prima di morire: una piccola croce d’argento, con incisa un’iscrizione latina che non aveva mai tradotto. La nonna le aveva detto che le era stata data a sua volta da sua nonna. Caitlin non era religiosa e non capiva veramente che significato avesse, ma sapeva che aveva centinaia di anni ed era per certo la cosa più preziosa che possedesse. Caitlin la sollevò fuori dalla maglietta tenendola alta, ma senza sfilarla. “Preferirei di no,” rispose. La guardia la fissò con occhi freddi come il ghiaccio. Di colpo vi fu un improvviso trambusto. Si udirono delle urla mentre un poliziotto afferrava un ragazzo alto e magro e lo spingeva contro il muro, requisendogli un coltellino dalla tasca. La guardia si avvicinò per dare una mano e Caitlin colse l’occasione per scivolare tra la folla, portandosi verso l’atrio. Benvenuta alla scuola pubblica di New York, pensò Caitlin. Fantastico. Già contava i giorni che mancavano agli esami. * I corridoi erano i più larghi che avesse mai visto. Non poteva credere che potessero venire riempiti di gente, eppure in qualche modo erano completamente gremiti, con tutti i ragazzi ammassati spalla contro spalla. Dovevano esserci migliaia di ragazzi in quei corridoi, una marea di volti che si dispiegava all’infinito. Il rumore là dentro era ancora peggio, rimbalzava contro le pareti, condensato. Avrebbe voluto tapparsi le orecchie. Ma non c’era lo spazio neanche di un gomito per sollevare la braccia. Provava un senso di claustrofobia. La campanella suonò e l’energia aumentò. Già in ritardo. Si guardò in giro alla ricerca del cartellino della sua aula e finalmente la scorse in lontananza. Tentò di attraversare il mare di corpi, ma non riusciva ad andare da nessuna parte. Alla fine, dopo diversi tentativi, capì che doveva solo essere più aggressiva. Iniziò a sgomitare e spintonare in risposta ai colpi degli altri. Sorpassando un corpo alla volta, oltrepassò tutti i ragazzi, attraverso l’ampio corridoio e spinse la pesante porta della sua classe entrando. Si tenne forte mentre tutti la guardavano, lei, la ragazza nuova che era arrivata in ritardo. Pensava che l’insegnante l’avrebbe rimproverata per aver interrotto il silenzio. Ma si rese conto con stupore che non era proprio il caso. Quell’aula, ideale per trenta persone ma contenente una cinquantina, era stipata. Alcuni sedevano sulle sedie, altri camminavano lungo le corsie gridando e chiamandosi l’un l’altro. Era un manicomio. La campanella era suonata da cinque minuti buoni eppure l’insegnante, tutto scompigliato e con indosso abiti spiegazzati, non aveva neanche iniziato la lezione. Anzi, stava seduto con i piedi sulla scrivania a leggere il giornale, ignorando tutti. Caitlin gli si avvicinò mettendo la sua nuova carta d’identità sulla scrivania. Rimase lì in piedi aspettando che lui sollevasse lo sguardo, ma ciò non avvenne. Alla fine decise di schiarirsi la voce. “Mi scusi.” Lui abbasso di malavoglia il giornale. “Sono Caitlin Paine. Sono nuova. Credo di doverle consegnare questa.” “Sono solo un supplente,” rispose lui e risollevò il giornale chiudendo il discorso. Lei rimase lì, confusa. “Allora,” chiese, “… lei non segna le presenze?” “Il tuo insegnante torna lunedì,” disse seccato. “Se ne occuperà lui.” Capendo che la conversazione era terminata, Caitlin si riprese la carta d’identità. Si voltò e diede uno sguardo alla stanza. Il caos non si era interrotto. Se c’era un aspetto positivo, era che almeno lei non era al centro dell’attenzione. Nessuno lì sembrava curarsi di lei, né addirittura accorgersi della sua presenza. D’altro canto, guardare quella stanza piena zeppa era esasperante: sembrava non fosse rimasto alcun posto per sedersi. Si fece forza e, tenendo stretto il suo diario, tentò di camminare lungo una delle corsie, trasalendo un paio di volte mentre procedeva tra ragazzi turbolenti che si gridavano contro. Quando raggiunse il fondo della stanza, poté finalmente avere una visione dell’intera aula. Non una sedia libera. Rimase lì in piedi, sentendosi un’idiota, e percepì anche che gli altri ragazzi iniziavano a notarla. Non sapeva cosa fare. Non aveva certo intenzione di rimanere lì tutto il tempo, ma sembrava che al supplente non potesse importare di meno. Si voltò nuovamente a guardare, cercando senza speranze. Sentì una risata provenire da un paio di corsie più in là, ed ebbe la certezza che fosse rivolta a lei. Non era vestita come quei ragazzi e non assomigliava per niente a loro. Le guance le arrossirono mentre iniziava a sentirsi veramente sotto gli occhi di tutti. Proprio mentre si stava decidendo ad uscire dalla stanza, e forse anche dalla scuola, udì una voce. “Qui.” Si voltò. Nell’ultima fila, accanto alla finestra, un ragazzo alto si alzò dal suo banco. “Siediti,” disse. “Per favore.” La stanza si fece un po’ più silenziosa, mentre gli altri aspettavano di vedere come lei avrebbe reagito. Gli si avvicinò. Cercò di non guardarlo dritto negli occhi – grandi, verdi e luccicanti – ma non poté farne a meno. Era bellissimo. Aveva pelle liscia e olivastra – non riusciva a capire se fosse nero, spagnolo, bianco, o magari una qualche combinazione – ma non aveva mai visto una pelle così liscia e soffice combinata con una mascella così ben modellata. Aveva i capelli corti e castani ed era magro. C’era qualcosa in lui, un qualcosa di completamente fuori luogo lì. Sembrava fragile. Un artista, forse. Non era da lei rimanere colpita da un ragazzo. Aveva sempre visto le sue amiche prendere delle cotte, ma non aveva mai veramente capito. Fino ad ora. “E tu? Dove ti siedi?” gli chiese. Tentò di controllare la propria voce, ma non risuonò convincente. Sperò che lui non percepisse il suo nervosismo. Le rivolse un largo sorriso, mettendo in luce denti perfetti. “Proprio qui,” disse, e si spostò verso il largo davanzale della finestra che si trovava lì accanto. Lei lo guardò e lui ricambiò lo sguardo con occhi completamente paralizzanti. Lei si impose di distogliere lo sguardo, ma non ci riuscì. “Grazie,” disse, e si sentì improvvisamente furiosa con se stessa. Grazie? È tutto quello che sei capace di dire? Grazie!? “Giusto, Barack!” gridò una voce. “Da’ il tuo posto a quella ragazza bianca così carina!” Seguì una risata e il rumore nella stanza si impennò di nuovo, poi tutti ripresero a ignorarli. Caitlin lo vide abbassare la testa imbarazzato. “Barack?” chiese. “Ti chiami così?” “No,” rispose lui arrossendo. “È solo come mi chiamano loro. Da Obama. Dicono che gli somiglio.” Lo guardò con attenzione e si rese conto che davvero gli assomigliava. “È perché sono mezzo nero, parte bianco e parte portoricano.” “Beh, credo sia un complimento,” disse lei. “Non nel modo in cui loro lo dicono,” rispose. Lo osservò mentre si sedeva sul davanzale, mortificato, e capì che era un ragazzo sensibile. Addirittura vulnerabile. Non centrava niente con quel gruppo. Era una follia, ma si sentiva addirittura protettiva nei suoi confronti. “Io sono Caitlin,” disse, allungando la mano e guardandolo negli occhi. Lui sollevò lo sguardo, sorpreso, e le ritornò il sorriso. “Jonah,” rispose. Le strinse la mano con forza. Un brivido le corse lungo il braccio quando sentì il contatto di quella pelle morbida sulla sua mano. Si sentì sciogliere. Lui tenne la presa un secondo in più, e lei non poté fare a meno di sorridergli.

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