Capitolo 1

3611 Words
1 Sophia Le sue mani mi massaggiavano in modo così abile. Ero distesa su di un letto morbido, l’uomo si trovava al mio fianco. Sentivo ogni centimetro della sua erezione che mi premeva contro il fianco. Mi esplorava con un tocco soffice. Fece correre le sue dita esperte sulla mia carne nuda, mi fece fremere, sussultare, mi rese più vogliosa. Ma la sua mano non si fermò. Avevo gli occhi chiusi. Sguazzavo contenta nelle sensazioni che mi procurava e, proprio quando ne volevo di più, cominciò a toccarmi con l’altra mano. Una sul mio seno, l’altra che scivolava sui riccioli in mezzo alle gambe. “Apri le gambe.” Non esitai nemmeno un secondo e subito spalancai vogliosa le gambe obbedendo a quell’ordine rauco. Le sue dita passarono sulle mie pieghe bagnate e cominciarono a stuzzicare il mio bocciolo desideroso. Il suono che mi scappò dalle labbra fu in parte un gemito, in parte un sussulto. La mia eccitazione, che cheta mi faceva fremere di voglia, avvampò prendendo vita come un fiammifero su una stoppa secchissima. E quando mi infilò un dito dentro, inarcai la schiena e gridai. “Sì!” “Ti piace essere riempita, non è vero?” chiese. Annuii, muovendo la testa sul soffice cuscino. “Vuoi il mio cazzo?” Lo volevo? Volevo che quell’unico dito che s’incurvava dentro di me e mi massaggiava fosse rimpiazzato dal suo cazzo? “Sì,” dissi gemendo. Mi afferrò la mano e la portò sulla sua asta eretta. La strinsi, ma senza riuscire a racchiuderla completamente tra le dita. Cominciai a muovere la mano su e giù, lungo quell’asta vellutata, e sentii un po’ di liquido colarmi sulla pelle. Era caldo al tocco, quasi bollente, e allentai la presa. “Non avere paura.” La sua mano si posò sulla mia e cominciò a muoverla per mostrarmi cosa gli piaceva, non mi lasciava andare. “Il mio seme. Il potere del mio seme che penetra nella tua pelle… riesci a sentirlo?” Avevo il palmo appiccicoso, ricoperto dalla sua essenza. Era così caldo che quasi bruciava, ma mi piaceva. Mi piaceva fin troppo. Ero già pronta a venire; e lui mi aveva a malapena toccata. “Adesso sei mia. Il tuo corpo lo sa, riconosce il mio seme. Lo vuole. Ne ha bisogno.” “Sì,” ripetei. Non potevo negarmi a lui. Anche se poteva sembrare strano che reagissi in modo così viscerale dopo essere stata toccata dalla sua pre-eiaculazione, non sarei stata a rimuginarci sopra. Mi piaceva troppo. “È pronta per noi,” disse una seconda voce maschile. Girai la testa e aprii gli occhi, ma era troppo scuro per riuscire a distinguere qualcosa oltre alle silhouette. Due uomini incombevano su di me e, quando sentii un’altra mano sul mio corpo, capii che mi stavano toccando entrambi. Volevo muovermi, domandare perché ci fossero due uomini nel letto con me, ma il secondo uomo mi afferrò la mano e se la portò dritta sul suo cazzo. Lo strinsi saldamente, mi lasciò fare e cominciò a toccarmi. Due cazzi! Così grossi e spessi, caldi e duri. Sentii il calore della pre-eiaculazione del secondo uomo che mi ricopriva le dita, che mi penetrava nella pelle. Sussultai, tutto il mio corpo avvampò, il mio sangue rallentò, la mia pelle si ricoprì di sudore. “Ti scoperemo entrambi.” La voce del secondo uomo era più profonda, più lenta. “E io?” No, questo non era il primo uomo, né tanto meno il secondo. Era un altro uomo. Il terzo! Tre? Riuscivo a malapena a respirare, ero completamente sopraffatta. Anche volendo, non sarei riuscita a lasciare andare i loro cazzi. Avevo un bisogno intensissimo di sentire la loro pre-eiaculazione. Era come una droga, mi faceva sentire inquieta e disperata. Mi contorsi sotto le loro mani e gridai quando il dito che scivolava dentro e fuori dalla mia figa, imitando il modo in cui volevo disperatamente essere scopata, uscì fuori. Sentii che delle mani sulle mi costringevano ad aprire le cosce, sentii la spessa corona di un cazzo che scivolava tra le mie pieghe. Era il terzo uomo. Stava ancora masturbando gli altri due. “Tre di noi, compagna.” Il terzo uomo non perse tempo, ma lentamente si immerse dentro di me, mi allargò e mi riempì. Sempre più a fondo, sentii le sue palle sbattere contro il mio sedere, i suoi fianchi che premevano contro i miei. Gemetti. Non avevo mai preso un cazzo del genere prima d’ora. Lui se ne stava fermo, immerso a fondo dentro di me. “Voglio… ti prego… muoviti!” gridai. “La nostra compagna è un po’ prepotente. Dà ordini anche quando la impalo col mio cazzo.” L’uomo parlava con gli altri due, non con me. “Ti scoperemo come vuoi tu,” rispose. “Io voglio che tu ti muova.” Ridacchiò sommessamente. Riuscii a sentirlo attraverso la nostra connessione. “Il potere del seme di tre uomini è molto intenso.” Era la voce del primo uomo. Solo così riuscivo a distinguerli al buio. Mi sembrava di essere in un film porno: avevo dei cazzi incredibilmente grossi nelle mani e un altro a fondo dentro di me. E lo volevo. Imploravo per averlo, addirittura. Il terzo uomo ritrasse quasi completamente il suo cazzo, lasciando dentro di me solo la punta, e poi affondò dentro di me. Buttai la testa all’indietro e gridai. “Non dureremo a lungo, compagna. Nessuno di noi. Ti daremo il nostro seme per assicurarci che tu ci desideri con tutta te stessa. Che tu abbia bisogno di noi. Che tu abbia bisogno dei nostri cazzi, così come noi abbiamo bisogno di te.” Non potevo fare altro che massaggiare i due cazzi che avevo nelle mani, mentre quello che mi scopava mi teneva bloccata contro il letto. “Sto per venire.” Era il ringhio profondo del secondo uomo. Sentii che si ingrossava nel mio palmo e subito dopo sentii i caldi fiotti di seme finirmi sullo stomaco e sui seni. Forse fu sapere che l’avevo masturbato così bene, che gli era stato impossibile trattenersi. Forse era avere allo stesso tempo un uomo che mi scopava, mentre un secondo eiaculava sul mio corpo – e subito venni anche io. Intensamente. Gridai e mi abbandonai a quel piacere. Sentii a malapena il ringhio del primo uomo, ma sentii il suo seme ricoprirmi il corpo. E non appena la luccicante sensazione dell’orgasmo cominciò a scemare, le loro mani si mossero su di me e mi spalmarono il loro seme su tutto il corpo. Avrei dovuto pensare che fosse una cosa strana, essere rivestita in quella sostanza appiccicosa, ma il suo tocco mi scaldò la carne. Mi si indurirono i capezzoli e mi contrassi attorno al cazzo che mi scopava con un abbandono selvaggio. “Ce l’ha così stretta… non resisto.” Il suo corpo si irrigidì sopra di me ed emise un grido, il suo seme pompava dentro di me. Non avrei mai immaginato di poter sentire l’orgasmo di un uomo dentro di me, ma il suo era caldo e copioso, rivestì le mie pareti interne e scivolò attorno al suo cazzo spesso. Venni di nuovo, il mio bisogno era troppo grande. “Brava ragazza. Tu sei nostra. Appartieni a tutti noi. Il nostro seme è su di te, dentro di te. Non si torna indietro. Ci desidererai per sempre, e noi desidereremo te.” “Sì. Ancora. Ancora, vi prego.” Mi ero dimenticata che avevo tra le mani i loro cazzi, entrambi erano ancora eretti, come se non fossero appena venuti. Si mossero e i loro cazzi scivolarono via dalle mie dita. L’uomo in mezzo alle mie gambe si ritrasse. “Ancora,” li implorai. Li sentii muoversi sul letto, scambiarsi di posto. Adesso c’era un altro uomo tra le mie cosce. Mi fece girare, e una mano sul mio stomaco mi tirò indietro verso il cazzo del prossimo uomo. “Sì, ancora,” disse la voce profonda. “Sempre.” Mi riempì facendomi gemere. Collassai e il mio corpo fu investito dalle convulsioni di un altro orgasmo, la mia figa si increspò attorno al suo cazzo. “Signorina Antonelli!” La voce di una donna. Confusa, mi aggrappai a quel piacere mentre le scosse di assestamento dell’orgasmo mi facevano fremere e gemere. E quel cazzo enorme mi aveva scopato, mi aveva riempito, mi aveva allargato con una forza inarrestabile. Dio, ne volevo ancora. Ma la sensazione svanì, non importava quanto tenacemente mi aggrappassi. “Signorina Antonelli, va tutto bene?” Aprii gli occhi e vidi una faccia familiare di fronte a me. Non apparteneva a nessuno degli uomini che erano a letto con me. Era una donna, una che riconobbi fin troppo bene. Aveva un bel viso, ma severo, il viso di una persona che prende il proprio lavoro fin troppo seriamente. La Custode Egara. La donna che lavorava per loro. Le razze aliene che affermavano di proteggere il nostro pianeta da una terribile orda di creature. “Custode Egara?” “Ha gridato. È ferita?” “Io… mi ha sentito gridare?” Dio, ero venuta così intensamente che avevo gridato? Chi altri mi aveva sentito? La custode annuì, ma rimase in silenzio. “Mi dispiace.” Mi guardai attorno domandandomi quanto sottili fossero le pareti di questo posto. La stanza sembra un ufficio medico, i muri erano bianchi e l’arredamento era clinico e per niente accogliente. Era ovvio, nessuno doveva rimanerci a lungo. Le richieste delle spose e dei soldati venivano elaborate in diverse parti dell’edificio. Quindi poteva benissimo esserci un intero squadrone di soldati dall’altra parte del muro che mi avevano sentiva avere un orgasmo su un cazzo alieno. Chi mi aveva sentito gridare? Probabilmente tutti quelli nell’edificio. I persistenti effetti dell’orgasmo pulsavano dentro di me. Il mio nucleo si contrasse, bramoso per essere riempito ancora una volta dal cazzo duro dell’uomo. I miei capezzoli erano duri e la mia pelle era ricoperta dal sudore. Un qualche programma ipertecnologico avrebbe dovuto abbinarmi a un perfetto compagno alieno. Ma questo non era stato esattamente un test. No, questo era stato come essere catapultati in una diretta streaming di un film per adulti. “Era quello il test, il protocollo per l’abbinamento di cui ho letto?” La Custode Egara sollevò entrambe le sopracciglia, e un lieve sorriso inarcò la parte destra della sua bocca. “Sì.” “Che tipo di test era quello?” chiesi. Mi guardò severamente, come se fosse ancora preoccupata per la mia salute. Ma la mia domanda sembrò alleviare la sua preoccupazione e l’intensa increspatura in mezzo alle sue sopracciglia si rilassò. “Intenso, non è vero?” Non avrei usato soltanto quella parola. Incredibile. Inebriante. Travolgente. Annuii e mi leccai le labbra. Avevo le mani legate alla sedia e portavo il camice ospedaliero più brutto che avesse mai adornato forme femminili. Era grigio scuro ed era ricoperto da piccoli stemmi del Programma Spose Interstellari. Mi sembrava di essere finita in un reparto psichiatrico, non in un’agenzia matrimoniale per alieni. Il mio naso scelse proprio quel momento per prudermi e sospirai, rassegnandomi a contrarre la faccia per provare ad alleviare quel fastidio. Gli spessi legacci che mi tenevano bloccati i polsi e le caviglie non avrebbero dovuto sorprendermi. Infatti, ci ero abituata, perché negli ultimi mesi avevo passato abbastanza tempo in manette. Mi appoggiai contro lo schienale incurvato e fissai il soffitto provando a fare mente locale. Quel sogno, mio Dio, doveva essere stato un sogno, era stata una cosa stupefacente. Era il miglior sogno che avessi fatto sin da quando mi avevano arrestata. A dirla tutta, era stato l’unico sogno. Gli incubi, d’altro canto, mi tormentavano ogni volta che osavo chiudere gli occhi per provare a riposare. “I test sono finiti?” chiesi. Se avevamo bisogno di ripeterlo, io non avevo nessuna obiezione. Voltai la testa da un lato per guardare la custode, mentre faceva svolazzare le dita sul piccolo tablet che stringeva tra le mani. “Sì, i test sono finiti.” “E quindi mi avete abbinata a qualcuno?” La custode alzò gli occhi e mi offrì un veloce sorriso, poi guardò di nuovo il tablet. “Sì, a Viken.” Viken. Avevo sentito dire che quel piccolo pianeta faceva parte della Coalizione Interstellare, e nient’altro. La Terra non era stata coinvolta da molto, ed io ero stata troppo impegnata con le procedure legali e con la sopravvivenza per perder tempo a leggere articoli su civiltà aliene. La custode andò verso una piccola scrivania contro il muro dall’altra parte della stanza e si sedette. “Debbo farle alcune domande per poter procedere. Per il verbale, dica il suo nome.” “Sophia Antonelli.” “E il crimine per il quale è stata condannata.” “Truffa. Riciclaggio di denaro. Falsificazione. Trasporto illegale di beni attraverso i confini statali. Contrabbando.” Ce n’erano un altro paio, cose da niente, ma queste esaurivano la lista della spesa. “Basta?” “Sì, va bene così.” Le dita della custode svolazzarono sul tablet. Continuò: “È o è mai stata sposata?” “No.” Ero stata sposata col mio lavoro, non con un uomo. Lavoravo come mercante d’arte, niente di particolare. Diamine, che cosa poteva esserci di pericoloso in una laurea in storia dell’arte? Ed ecco dove mi aveva portata. In prigione, dove l’unico modo per evitare dei lunghissimi e miserabilissimi anni di reclusione era offrirsi volontaria come sposa per un alieno. “Ha figli?” “No.” Devi fare sesso per restare incinta, e io ero a secco da due anni. “Per il verbale, signorina Antonelli, in quanto femmina idonea e fertile nel fiore degli anni, lei ha diritto di scegliere tra due opzioni per scontare la sua condanna: venticinque anni nel Penitenziario di Carswell di Forth Worth, Texas.” “No, grazie.” La tuta arancione non mi si addiceva. La Custode Egara sorrise pazientemente e disse con voce monotona, come se stesse leggendo. “O offrirsi come volontaria per il Programma Spose Interstellari. Sono lieta di informarla che il sistema ha ottenuto con successo un abbinamento e lei verrà spedita verso un pianeta membro. In quanto sposa, lei non potrà mai fare ritorno sulla Terra, in quanto tutti i viaggi sono sottoposti alle leggi e alle usanze del suo nuovo pianeta. Lei rinuncerà alla sua cittadinanza terrestre e diventerà una cittadina ufficiale del suo nuovo pianeta.” Non ci avevo pensato. Come potevo non essere una cittadina della Terra? Era possibile? Sentii un nodo allo stomaco. Solo ora realizzavo cosa significasse questa decisione. Ogni giorno, per pochissimo tempo, per giusto qualche secondo, mi sentivo come se dovessi ancora svegliarmi completamente e potessi dimenticarmi di quello che ero diventata. Dimenticarmi di quello che mi avevano fatto i Corelli e di quanto fossi caduta in basso. “La sua condanna è di venticinque anni di prigione, ma è stata scelta per scontare la sua condanna sotto la direzione del Programma Spose Interstellari. È stata assegnata a un compagno e sarà trasportata su un altro pianeta per non fare mai ritorno sulla Terra. Comprende appieno cosa comporta questa alternativa?” “Sì.” In prigione non sarei sopravvissuta nemmeno un anno. Mi avevano tenuta in carcere per sei mesi in attesa del processo, e mi erano sembrati sei anni. Qualunque alternativa era meglio della prigione. Un uomo. Tre. Quello che ti pare. L’unico vero prezzo da pagare era un biglietto di sola andata per lo spazio profondo. Sarei diventata una di quelle spose spedite nel selvaggio west. Stavo per imbarcarmi in un’avventura, sperando per il meglio. Non che avessi altra scelta. Non avevo motivo di restare sulla Terra. I Corelli mi avevano rovinato la vita, il lavoro e la reputazione. I miei beni erano stati confiscati. Non avevo un lavoro, amici, non avevo una vita. E la beffa più grande? Avevo commesso io quei crimini. I Corelli mi avevano minacciata, bullizzata, ma avevo pur sempre una scelta. Per quanto desiderassi di non essere mai scesa a patti con Vincent Corelli per trovare i soldi per pagare le costose cure per il cancro di mia madre, non avrei scambiato il tempo extra che avevo avuto con lei per niente al mondo. Avrei rifatto tutto. E se avevo contrabbandato qualche cosa attraverso le mie spedizioni di oggetti d’arte? Non avevo fatto del male a nessuno. E quando mia madre infine morì, avevo pensato che il mio lavoro con la mafia fosse finito. Ma non era così. Vincent Corelli non voleva rinunciare a un mulo affidabile. Aveva minacciato di uccidermi, e io non avevo fatto storie. Almeno fino a quando non mi avevano sorpresa con un baule pieno di diamanti di sangue e fucili d’assalto e mi avevano sbattuta in prigione. Vincent Corelli non aveva pagato la cauzione per tirarmi fuori, né era andato a parlare con i federali. Io non avevo detto a nessuno che lui mi stava ricattando. Avevo ancora la mia famiglia, fuori dalla prigione. I due figli di mio cugino non avevano nemmeno cinque anni. E sì, ero cresciuta a New York. Sapevo come funzionavano certe cose. Tenni la bocca chiusa, la mia famiglia continuò a vivere la propria vita e Corelli lasciò che io mi prendessi tutta la colpa. E quindi non mi restava niente. Nessuno. Il mio mondo era stato distrutto. E quindi me ne sarei costruito uno nuovo. Viken. La custode giocherellò ancora un po’ col tablet e si accigliò. “Uhm, il suo abbinamento è più debole di quanto non credessi.” “Debole? Che significa?” chiesi muovendomi sulla sedia dura. Mi sembrava di stare seduta dal dentista col sedere nudo e incollato su quella sedia. “I nostri abbinamenti di solito sono oltre il 99%. Il suo è solo 85.” Mi accigliai anch’io. “Significa che non posso andare?” Prigione? Veramente? Dopo tutto il discorso di incoraggiamento che mi ero appena fatta. Mosse le dita un altro po’ e poi si fermò. “Interessante.” Cominciai a tremare, migliaia di farfalle mi danzavano nello stomaco. Non sarei tornata sul bus della prigione, non mi sarei fatta incatenare e infilare dentro quell’orribile tuta arancione. Per niente al mondo. La custode mi guardò di nuovo e mi offrì un sorriso brillante. “Sembra che lei sia stata abbinata a tre guerrieri Viken.” Deglutii e ripensai al sogno. Tre uomini. Tre paia di mani. Tre cazzi. “Tre?” Porca miseria. Tre? E che cavolo dovevo farci io con tre uomini? La custode annuì. “Il suo abbinamento è più basso del solito perché ha tre compagni. Penso che 85 sia un’ottima percentuale per tre uomini.” Inclinò la testa per studiarmi. “Non sembra sorpresa. Pensavo sarebbe rimasta scioccata.” “Il sogno,” risposi. Non dissi altro, perché non avevo intenzioni di raccontare come un uomo mi aveva scopata, mentre altri e due mi massaggiavano. “C’erano tre uomini nella simulazione? Interessante. Anche l’ultima terrestre abbinata a Viken fu assegnata a tre uomini, anche se loro erano tre gemelli geneticamente identici. Forse la sua simulazione era la loro cerimonia di accoppiamento.” “Quello era reale?” Cazzo. Volevo farlo veramente. Se tre uomini mi avessero toccato in quel mondo, non mi sarebbe dispiaciuto affatto andarmene su Viken. Anzi, ero più che pronta. “Sì. L’esperienza era reale, ma era l’esperienza neuronale di qualcun altro. Un’altra coppia. O… beh, una cosa a quattro. Di tutte le simulazioni che sono schizzate nel suo cervello, quella era quella che le si addiceva.” Ripensai al sogno e miei capezzoli si inturgidirono. Erano d’accordo con me. Mi si addiceva e come. “C’è una nota qui.” Corrucciò le sopracciglia mentre leggeva. Quando finì, alzò lo sguardo su di me. “Ah, ora capisco. Sembra che Viken abbia istituito un protocollo nuovo di zecca per il Programma Spose Interstellare. Dal momento che la loro Regina è giunta a loro grazie al programma, e il suo essere abbinata a tre gemelli ha contribuito a riunificare il pianeta, è stato deciso che i maschi di Viken provenienti da tre differenti settori debbano condividere una compagna.” Mosse la mano a mezz’aria. “Sono certa che le spiegheranno tutto una volta lì.” “Tutto qui?” le chiesi mentre si alzava. “Me ne… vado e basta?” “Ha ragione. C’è solo un’ultima domanda. Accetta i risultati del test?” “Sì.” “Sophia Antonelli, lei non è più una cittadina della Terra, ma di Viken. Buona fortuna.” Il muro dietro di me si aprì e intravidi una soffice bagliore blu. La mia sedia si mosse come se avesse le ruote. La Custode Egara mi diede una pacca sulle spalle, mentre attraversavo il muro e venivo abbassata in una tinozza piena di acqua calda. Mi sentii rilassata, circondata dalla protezione e dalla comodità. Non feci nemmeno caso all’ago gigante che si dirigeva verso il lato del mio cranio. Mi accigliai. Mi scostai dallo strano braccio robotico e guardai la custode. “Non si preoccupi, cara. Questo serve solo a implantare la unità neuro procedurale che le permetterà di parlare la loro lingua.” Sbattei le palpebre, confusa, il leggerissimo dolore che sentii dietro l’orecchio mi fece trasalire. Diamine. Sarebbe rimasta la cicatrice. La Custode Egara mi sorrise e fece un passo indietro. Il muro cominciò a muoversi e presto sarei rimasta bloccata in questa stanzetta, in quest’acqua bluastra. Avevano intenzione di affogarmi? Agitata, lottai contro i legacci, mentre la custode continuava a sorridere. “Il suo trasporto comincerà tra tre… due… uno.” L’acqua bluastra mi arrivò al mento e si fece tutto nero.
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