I
Una caccia ai bisonti
— Allo!...
— Che cosa c’è, John?
— Non senti alcun odore, tu, Harry?
— Mah! Non mi pare.
— E tu, Giorgio?
— Uhm!...
— Siete dunque senza naso?
— Può darsi, John — rispose il giovane che si chiamava Harry.
— Non lo crederò mai, amico. Sono trent’anni che batti la prateria, ammesso che tu abbia imparato a sparare il fucile a dodici anni.
— A undici, John, perché io ho esattamente quarant’un anni, mentre mio fratello Giorgio non ne ha che trentanove.
— E mentre io ne ho quasi sessanta, Harry.
— E sei ancora un giovanotto, John.
— Lascia andare, amico: faresti meglio a spalancare il tuo naso ed a fiutare forte.
— Fiuto e non sento nulla.
— Pare impossibile!...
Una quarta voce, assai nasale, che storpiava maledettamente quel linguaggio strano parlato dai cacciatori di prateria e che è composto abbondantemente di spagnolo corrotto, d’inglese e di canadese antico, che è quanto dire francese, si fece udire in quel momento.
— Mister John, io non essere venuto qui a udire vostre chiacchiere. Io volere uccidere bisonti, non i vostri anni. Poco importare a me essere voi giovani o vecchi. Voi non essere bisonti con grandi corna.
— Abbiate un po’ di pazienza, milord — rispose John. — Dietro i bisonti vi sono le pelli-rosse, le quali sarebbero ben felici di strapparvi la vostra capigliatura bionda e fors’anche la barba. Diavolo!... Sarebbero capaci di farne un totem della loro tribù.
— Totem!... Che cosa essere, mister?
— Una specie di bandiera.
— Aho!... Mia barba diventare bandiera? Io essere molto riconoscente se dare a mia barba i colori inglesi.
— Sarà un po’ difficile, milord, poiché l’ocra rossa è quasi preziosa quanto l’oro, in questa regione.
— Spronate?
— No: allo! — rispose John con tono imperioso.
I quattro cavalieri si erano fermati, frenando a grande stento le loro cavalcature lanciate a gran galoppo.
John, il comandante del minuscolo drappello, era un vero gigante, massiccio come un bisonte, che portava le sue sessanta primavere colla disinvoltura d’un giovane trentenne.
Montava un cavallone tutto nero, uno splendido animale piuttosto raro nelle praterie americane, bardato alla messicana, ossia colla sella molto alta, il pomo d’argento intorno a cui era arrotolato il lazo, e le staffe corte e larghissime, pure d’argento.
Harry e Giorgio erano invece due giovani sulla quarantina, alti, robusti, assai abbronzati come tutti gli scorridori di prateria, abituati a vivere all’aria libera, esposti a tutte le intemperie ed al sole cocente.
Invece di cavalloni montavano dei mustani, quegli impareggiabili corridori, d’origine andalusa, piccoli di statura, colla testa leggiera, le gambe secche e nervose e la coda lunghissima; animali un giorno selvatici perché figli dello spazio, ma preziosissimi quando sono bene addomesticati.
Il quarto individuo che storpiava orribilmente il linguaggio degli abitanti del Far-West e che i suoi compagni chiamavano milord, non aveva nulla di comune coi tre primi.
Era un uomo sulla cinquantina, alto, magro come un merluzzo seccato, cogli occhi azzurri ed i capelli biondastri che indicavano subito la sua origine anglo-sassone, con due basette svolazzanti ed una bocca larga quanto quella d’un forno, ed armata di certi denti da muovere l’invidia perfino dei pescicani.
Mentre i tre primi indossavano il pittoresco costume degli scorridori, di panno azzurro a grandi risvolti e cordoni infioccati, uose di pelle di cervo e sul capo larghi sombreros messicani con ghiande d’oro e d’argento, milord vestiva tutto di flanella bianca, con casco in testa adorno d’un velo azzurro ed alti stivali alla scudiera, ma non più lucidi però.
Come abbiamo detto, i quattro cavalieri avevano interrotta la loro galoppata e per precauzione istintiva avevano staccate dall’arcione le loro grosse e pesanti carabine, vere armi da caccia grossa.
Per alcuni istanti tutti interrogarono ansiosamente la sconfinata prateria brulicante di fiori azzurri, bianchi, gialli, e sopratutto di superbi girasoli, poi John chiese per la seconda volta:
— Non sentite proprio nulla, voi?
— No, John — rispose Harry.
— E nemmeno io — replicò Giorgio, il secondo scorridore.
— Possibile che un vecchio indian-agent possa ingannarsi? — riprese John, scuotendo il capo. — Vi dico io, camerati, che quest’aria puzza di fumo.
— Voi avere delle storie, mister — disse l’uomo biondastro dagli occhi azzurri, tormentando il suo cavallo baio, un magnifico puro sangue che doveva costargli un occhio della testa. — Io cominciare essere poco contento di voi, mister John. Io vi toglierò mancia promessa. Io volere uccidere bisonti, capire, mister, perché io soffrire molto spleen, come lord Byron.
— Ah!... E per guarirlo dovete uccidere dei bisonti, milord? — chiese Harry un po’ ironicamente.
— Lord Byron essere guarito uccidendo cani di turchi.
— Cani pericolosi?
— Voi capire nulla, mister Harry. Uccideva cani con fez rosso guerreggianti contro bravi greci.
— Vi confesso, milord, che non capisco proprio nulla.
L’inglese alzò le spalle e colla mano sinistra si lisciò nervosamente le sue lunghe basette.
John, il vecchio indian-agent, pareva non avesse nemmeno prestato orecchio a quella poco interessante conversazione.
Ritto sulle staffe per abbracciare maggior orizzonte, spingeva lo sguardo acuto attraverso a quell’oceano di verzura, cercando avidamente qualche cosa: i bisonti che l’inglese voleva fucilare o una selvaggina più pericolosa?
— Dunque, John? — chiese Harry, dopo qualche istante di silenzio.
— Vedete bisonti, mister? — chiese l’inglese.
— I bisonti non devono essere lontani, milord, e sono sicuro di poterli raggiungere prima d’un paio d’ore, ma...
— Io essere pronto fucilare senza ma — disse l’inglese un po’ stizzito.
— Il male è, milord, che quei grossi ruminanti non saranno soli.
— A me non importare.
— Importare però molto a me di conservare la mia capigliatura, giacché l’ho salvata tante volte dal coltello degl’indiani.
— Indiani scappare sempre davanti uomini bianchi.
— Ehm!... Vorrei vederli a darsela sempre a gambe! Disgraziatamente non succede sempre così. Tuttavia andiamo pure innanzi, quantunque mi impensierisca assai questo odore che il mio naso raccoglie.
— E quale, John? — chiese Harry.
— Odor di fumo, mio caro.
Lo scorridore, udendo quelle parole, era diventato pallido.
— Brucerebbe la prateria? — chiese, girando intorno uno sguardo inquieto.
— Non lo so: vedremo. Avanti!
I quattro cavalli, sentendo la pressione delle ginocchia dei loro padroni, lanciano un nitrito sonoro e ripartono al piccolo galoppo, affondando fino al ventre fra quelle altissime graminacee e fra le succose foglie del buffalo grass, il cibo prediletto dei bisonti.
Il sole stava allora per tramontare dietro gli alti picchi frastagliati della maestosa catena dei Laramie, la più importante che si alzi nello stato del Wyoming, uno dei più centrali degli Stati Uniti d’America ed anche oggidì dei meno popolati.
Una grande calma regnava sulla prateria, rotta solo dal sordo galoppo dei quattro cavalli.
Nessun grido, né di volatili, né di animali, si udiva. Pareva che perfino i coyotes, quei piccoli lupi dalla testa e dalla coda di volpe, che sono così numerosi su quei mari di verzura, fossero improvvisamente scomparsi come se temessero un misterioso pericolo.
Eppure non molte ore prima doveva essere passata una di quelle sterminate orde di bisonti emigranti, che salgono verso il settentrione all’appressarsi della rovente estate e che scendono verso il mezzodì dopo le prime nevicate, orde che sono sempre seguite da bande di lupi e di coyotes affamati, in attesa che qualche vecchio maschio cada dall’eccessiva stanchezza, per divorarlo in quattro colpi.
John continuava ad interrogare l’orizzonte, facendo qualche gesto d’impazienza e scuotendo il capo.
Quell’uomo, nato e vissuto nella prateria, non doveva essere affatto tranquillo e non dovevano essere certo i bisonti, che egli aveva promesso a quel maniaco milord, gonfio d’uno spleen immaginario probabilmente, che lo inquietavano.
Ne aveva ammazzati tanti di quei grossi ruminanti durante la sua lunga vita avventurosa, e sapeva quanto fossero poco temibili, specialmente se in gran numero, non avendo l’abitudine di prestarsi l’un l’altro aiuto, se non contro gli attacchi dei lupi.
Già le tenebre erano scese come un immenso lenzuolo nero sulla sterminata e silenziosa prateria, che una calma assoluta manteneva perfettamente immobile, quando un colpo d’arma da fuoco rimbombò improvvisamente a non più di mezzo chilometro di distanza.
— Altro che bisonti!... — esclamò subito John, frenando di colpo il suo cavallone. — Non hanno ancora imparato a servirsi dei rifles quei ruminanti. Che cosa dite ora voi, milord?
— Avere sparato un colpo in un paese pieno di bestie non volere significare nulla — rispose tranquillamente l’inglese.
— Sapreste dirmi voi, milord, chi l’ha sparato?
— A me non interessare affatto.
— Se fosse stato un indiano, invece d’un cacciatore di prateria?
— A me poco importare.
— A voi non importerà, ma a noi importa molto, signor mio. Devo rammentarvi che noi cacciamo sul territorio degli Sioux?
L’inglese alzò, come era sua abitudine, le spalle e brontolò un’imprecazione.
— John, che cosa facciamo? — chiese Harry. — Accamparci qui non sarebbe prudente, senza aver prima trovato l’autore di quello sparo.
— Avanti — rispose l’indian-agent. — Voglio vedere che cosa è successo. Tu, Harry, hai ragione e lodo la tua prudenza.
I quattro cavalli ripartirono verso la direzione dalla quale era partito quel colpo d’arma da fuoco, ma percorsi quattro o cinquecento metri tornarono ad arrestarsi ad un grido lanciato da John. Dinanzi a loro si era alzata bruscamente una vera nuvola di uccellacci da preda, dei grossi avvoltoi dal collo lungo, i quali, dopo aver roteato per qualche istante sulle teste dei cavalieri, protestando con alte grida, si erano dispersi, scomparendo in varie direzioni.
— A terra e tenetevi pronti a far fuoco!... — comandò l’indian-agent. — Qui vi è un morto.
Prese per le briglie il cavallone, fendette le alte erbe che s’intrecciavano colle opunzie nane, le quali lanciavano in alto le loro aste armate di racchette e, percorsi venti o venticinque passi, tornò a fermarsi mandando un grido d’orrore.
— Ah!... Miserabili!... — esclamò. — È il segnale della guerra questo!... Gli Sioux hanno dissotterrata la scure e Sitting-Bull (Toro Seduto) si è messo in campagna.
In mezzo ad una piccola radura, le cui erbe erano state falciate di recente, s’alzava un palo ed a quello si trovava legato un uomo bianco completamente nudo, tutto imbrattato di sangue colatogli dal cranio, che era stato privato della sua capigliatura.
Tre frecce gli erano state conficcate nel fianco sinistro, un po’ sotto al cuore.
John, in preda ad una viva emozione, aveva lasciato il cavallo e si era slanciato verso lo scotennato, ma tosto aveva fatto due o tre passi indietro, mandando un grido di terrore.
Sul petto del martirizzato aveva veduto, disegnato col sangue, un uccello ad ali spiegate.
— Il totem di Minnehaha!... — esclamò. — È stata la terribile figlia di Yalla, quella che l’ha scotennato!... Se ella è qui coi suoi guerrieri, noi siamo perduti!...
Harry, Giorgio e l’inglese erano pure giunti, conducendo le loro cavalcature, ed avevano udito le parole dell’indian-agent. Se l’ultimo non aveva compreso nulla, i due primi invece avevan capito anche troppo.
— Un altro disgraziato, scotennato da quella tigre di Minnehaha!... — esclamò Harry, impallidendo. — Come lo sai tu?
— Guardo l’Uccello della Notte che ella ha disegnato col sangue sul petto di questo povero uomo. Così essa vendica suo fratello, quello che noi abbiamo fucilato nella gola del Funerale, durante la prima insurrezione delle cinque nazioni indiane. Te ne ricordi tu, Harry?
— Come fosse ieri — rispose lo scorridore di prateria, con voce cupa. — Noi d’altronde non abbiamo fatto altro che obbedire agli ordini del colonnello Devandel.
— Triste notte — disse l’indian-agent — che abbiamo più tardi pagata ben cara.
In quel momento un debole gemito risuonò presso di loro.
I quattro uomini si guardarono l’un l’altro spaventati, poi John d’improvviso si precipitò verso lo scotennato, la cui testa, coperta di sangue, si era, con uno sforzo supremo, bruscamente rialzata.
— Vivo!... Ancora vivo!... — gridò John. — Harry, sleghiamolo!...
Aveva impugnato il machete messicano per tagliare le funi che tenevano il disgraziato avvinto strettamente al palo, quando un altro grido gli sfuggì:
— Hills!... Gran Dio!... Che m’inganni io? Guardalo, Harry! Guardalo, Giorgio!...
— Sì, è lo scorridore di Kampa!... — esclamarono i due fratelli. — Ah!... Digraziato!...
In un baleno tagliarono le funicelle, sollevarono delicatamente lo scotennato e lo deposero su una coperta che era stata prontamente spiegata.
John prese la sua fiaschetta piena ancora d’acqua mescolata con del whisky e ne versò qualche sorso fra le labbra scolorite del moribondo.
Quel liquido produsse un effetto galvanizzante sul disgraziato. I suoi occhi socchiusi si aprirono del tutto, fissandosi prima sull’indian-agent, poi sui due scorridori di prateria.
— John... Harry... Giorgio... — mormorò con voce fioca.
— Povero amico — disse John, con voce commossa. — In quale stato ti ritroviamo! Chi ti ha scotennato?
Un lampo feroce passò negli occhi del moribondo. — Minnehaha — disse poi.
— Me l’ero immaginato. La terribile figlia della sackem degli sioux continua le sue vendette contro gli uccisori dell’Uccello della Notte e di sua madre.
— Sì, John — mormorò il disgraziato, con una voce così debole che parve un sospiro.
— Tu combattevi con noi nella gola del Funerale sotto gli ordini del colonnello Devandel?
Il ferito fece col capo un cenno affermativo.
— Quella canaglia ha giurato di strappare le capigliature a tutti quelli che hanno preso parte a quella lotta furiosa — proseguì John, tergendosi delle grosse gocce di sudore che gl’imperlavano la fronte. — Me l’avevano detto. Io ho commesso una grande sciocchezza a risalire nel Wyoming. Al diavolo l’inglese ed i suoi bisonti!...
Il moribondo in quel momento alzò, con uno sforzo supremo, una mano, come per richiamare l’attenzione dell’indian-agent.
— Muoio... — disse, con voce appena intelligibile — parti subito... corri ad avvertire... il generale Custer... che Sitting-Bull... ha dissotterrato l’ascia di guerra... che gli sioux piombano da tutte le parti... corri... Bud Turner è forse morto...
— Bud Turner, hai detto?... — esclamò l’indian-agent. — Era con te?
— Sì.
— Quell’uomo straordinario non può essere morto. Dov’è fuggito?... Dimmelo, Hills!...
Invece di rispondere alla domanda, il moribondo disse, roteando gli occhi già velati dalla morte:
— Custer... avvertilo... accampa... sull’Horse... corri... John... scendono... li vedo... agguato... agguato...
— Tendono un agguato alla colonna del generale?
Il moribondo fece un cenno affermativo, poi sollevò un’altra volta la testa come se volesse riprendere la parola, ma un tremito convulso lo prese e s’abbatté come un bue fulminato da un tremendo colpo di mazza.
Le sue gambe e le sue braccia si ritirarono violentemente, poi si distesero dolcemente, senza scossa, e rimasero come irrigidite.
Il povero scorridore della prateria era morto!
— È finita — disse John, con voce sorda. — D’altronde quest’uomo non avrebbe potuto sopravvivere alle sue spaventose ferite. Cani d’indiani!... Mi pagheranno anche questa morte, se non mi scotenneranno.
— È morto, è vero? — chiese l’inglese, il quale aveva conservato una impassibilità ripugnante. — Mister John, noi pensare ora ai bisonti. Io non volere che scappino.
L’indian-agent lanciò sull’egoista uno sguardo feroce, poi disse:
— Andate a cercarveli, se così vi piace. Io ho altro da fare in questo momento.
— Io avervi pagato!...
— Ed io sono pronto a restituirvi le vostre sterline, milord.
— Come!... — urlò l’inglese. — Voi rompere contratto!... Io ricorrere ad ambasciatore inglese a Washington e farvi mettere in prigione.
— Montate a cavallo e correte a Washington — rispose l’indian-agent, voltandogli le spalle. — Badate però che gl’indiani hanno circondata la prateria e che la vostra capigliatura potrebbe correre il pericolo di finire fra le mani di Minnehaha.
— Minnehaha!... — esclamò il lord. — Chi essere questa? Uomo o donna?
— Una donna indiana — disse Harry.
— E voi avere paura di quella?
— Ha preso anche la capigliatura di quest’uomo, eppure vi assicuro che era un coraggioso, capace di difenderla.
— Essere vera bestia feroce quella donna.
— Un giaguaro.
— Aho!... Mi piacere vederla. Dove trovarsi?
— Milord — disse John, con voce grave. — Non commettete delle sciocchezze.
«Se vi preme la pelle, salite a cavallo e seguiteci senza ritardo. La prateria forse a quest’ora fiammeggia, ed una fulminea ritirata verso il sud s’impone. Lasciate che i bisonti continuino la loro emigrazione e pensiamo a mettere in salvo le nostre capigliature e la colonna del generale Custer.
— Custer? Altro indiano?
— Ma che!... Un generale americano che corre il pericolo di venire massacrato con tutti i suoi uomini. A cavallo, milord!... Non abbiamo un istante da perdere.
Stava per mettersi in sella, quando si fermò guardando Giorgio ed Harry.
— E Turner che accompagnava Hills? Lo lasceremo noi cadere nelle mani degli sioux?.. Un uomo così coraggioso e così popolare nella prateria? Sarebbe una infamia!... No, io non commetterò mai una simile viltà. Che cosa dici, Harry? E tu, Giorgio?
— Prima di lasciare il campo dobbiamo tentare il possibile ed anche l’impossibile per salvarlo — rispose gravemente il più anziano dei due fratelli. — Se non facessimo quanto è umanamente possibile, l’onore degli scorridori della prateria rimarrebbe macchiato. John!... Cerchiamo di salvarlo!...