III
Il “campione degli uccisori di uomini”
Bud Turner era, come Buffalo Bill di cui era stato per lungo tempo compagno di avventure, uno degli eroi più popolari del Far-West.
Nato nella prateria, aveva trascorsa la sua vita tutta nella prateria, sempre in guerra cogl’indiani, suoi mortali ed accaniti nemici.
A soli trent’anni si era guadagnato il titolo di man Killer of America, ossia di “Campione... degli uccisori d’uomini”!...
Non si creda però che Turner fosse un uccisore d’uomini nel vero senso della parola, ossia che ammazzasse pel puro capriccio di mettere una tacca di più sul calcio del suo infallibile rifle o della sua rivoltella.
Non era uno di quei sanguinari bad-men, sempre alla caccia di capigliature indiane, per guadagnarsi i cinquanta dollari che il governo messicano pagava per ogni pelle-rossa ucciso sulle sue frontiere. Era diventato un terribile uccisore in causa della vita avventurosa che conduceva e della carica di sotto-sceriffo di Gold City, offertagli in seguito alle prove date di sfidare i più temuti banditi che infestavano e davano una tristissima riputazione al Far-West.
Aveva cominciato la sua esistenza avventurosa facendo il cercatore d’oro.
All’annunzio della scoperta dei ricchissimi placers californiani, come tanti altri, aveva attraversato le Montagne Rocciose, poi la Sierra Nevada per calare nella valle del Sacramento, sperando di raccogliere rapidamente una grossa fortuna. Aveva avuto però il torto di giungere troppo tardi.
I claims ormai largamente sfruttati, ed i prezzi esagerati che avevano raggiunto allora le derrate alimentari, non compensavano ormai più a sufficienza i minatori giunti dopo che i famosi panieri d’aranci formati da grosse pepite d’oro purissimo, erano stati vuotati perfino sui fianchi della Nevada.
Era però quella un’epoca fortunatissima per gli Stati dell’Unione. Esaurita la California, ecco saltare fuori le ricchissime miniere d’oro e d’argento del Colorado.
Turner rifà la via delle Montagne Rocciose e cala sui grandi pianori di quella fortunata regione, trasudante di metalli preziosi in ogni luogo.
La sua entrata in Gold City, allora semplice aggruppamento di catapecchie e di tende abitate da una folla di minatori piovuti da tutte le parti del mondo, per poco non gli costò la vita, e tutto ciò perché, invece di essere un furibondo bevitore di whisky o di gin, si accontentava di bagnarsi l’ugola con delle gazose o con qualche soda-water.
Stanco dal lunghissimo viaggio, entra in una taverna popolata di minatori più o meno ubriachi e fra lo stupore generale domanda... un bicchiere d’acqua zuccherata o raddolcita da qualche sciroppo.
Uno sghignazzamento generale e più che mai offensivo accoglie la domanda. Il primo a ridere a crepapelle è il taverniere, un omaccione alto quanto un granatiere di Pomerania.
― Mandatelo a poppare da sua madre!... ― urlano tutti. ― Del Latte!... Del latte!...
Turner non si perde d’animo e rinnova la domanda.
La risposta del taverniere è la spugna che teneva in quel momento in mano per la pulizia del banco, e che arriva in pieno viso a Turner, accompagnata da queste parole:
― Bevi questa!... È dolce come il miele delle api selvatiche.
Turner prima di allora non aveva mai avute questioni, quantunque fosse vissuto fra la schiuma degli avventurieri.
A quell’offesa accompagnata dalle risa sgangherate dei beoni, il sangue gli monta alla testa.
Con un salto è dietro al banco, afferra il taverniere per la gola e gli assesta prima due tremendi ceffoni, poi due pugni che gli riducono il naso come la spugna che aveva poco prima lanciata.
Nel Far-West, in quell’epoca, non si tolleravano simili colpi di testa e non si badava alla vita d’un uomo, la quale veniva considerata meno importante di quella di un bisonte.
La sera stessa il taverniere, accompagnato da parecchi amici degni di lui, aspetta l’animoso minatore in una via deserta e lo assale ferocemente, ben risoluto a mandarlo all’altro mondo.
Turner però aveva una bella abitudine: non si lasciava mai sorprendere.
Lesto cava la sua fedele colt e fulmina con tre colpi ben aggiustati il taverniere e due dei suoi amici.
Gli altri, entusiasmati per un simile atto, invece di riattaccarlo, vanno a stringergli la mano ed a congratularsi pel suo ammirabile coraggio!...
Erano così allora gli americani del Far-West. Bricconi ed insieme cavallereschi.
Ecco Turner diventato, senza volerlo, uccisore d’uomini.
Un destino strano però pesava su quell’uomo, dotato d’una audacia incredibile e d’un sangue freddo assolutamente eccezionale.
Doveva trovarsi, casualmente, sempre in mezzo alle risse più sanguinose.
Infatti, pochi giorni dopo l’uccisione del taverniere, capita per caso in un altro bar per bere la sua solita soda-water, quando dei colpi di rivoltella scoppiano sotto l’immensa cupola di tela che serve da taverna.
Un terribile malfattore, accanitamente ricercato dalla polizia, trovatosi scoperto, aveva aperto un vero fuoco di fila contro la forza, ammazzando prima di tutto il capo che la guidava.
Tutti scappano, ma Turner no.
Si scaglia colla rivoltella in pugno contro il birbante, sfidando con pazza temerità il suo fuoco, e lo costringe ad arrendersi.
Poche ore dopo il miserabile pendeva ad un albero con un palmo di lingua fuori dalle labbra.
In quel frattempo Turner, nominato per la sua bravura sotto-sceriffo di Gold City, aveva stretto amicizia col famoso colonnello Cody, meglio conosciuto sotto il nomignolo di Buffalo Bill. Un giorno, sempre pel solito caso, apprende che un terribile bandito, resosi celebre come svaligiatore di treni, ha scommesso con altri banditi che avrebbe quanto prima soppresso il celebre colonnello, per puro spirito di brutale malvagità.
Turner sale sul suo cavallo e si pone, da solo, in cerca del malfattore, il quale aveva radunata una formidabile banda.
Sempre il caso glielo fa incontrare in un luogo deserto e solo.
Turner senza preamboli gli intima la resa. Il bandito risponde con una risata e con due o tre colpi di rivoltella che fortunatamente vanno a vuoto.
Il sotto-sceriffo lo lascia fare, ma al momento opportuno, quando il bandito stava per girargli intorno a gran galoppo, tira un colpo di rifle e tutto è finito.
Si carica il morto attraverso la sella, raggiunge la tenda di Buffalo Bill e gli getta dinanzi il cadavere del bandito, dicendogli semplicemente:
― Ecco il tuo uomo, Cody. Spero che ora non ti importunerà più!...
Ma ben altre avventure dovevano toccare più tardi al “Campione degli uccisori d’uomini”, come vedremo in seguito.
― Che cosa diavolo fate dunque qui, Turner? ― aveva chiesto John, dopo aver scambiato una vigorosa stretta di mano col famoso avventuriero. ― Non sapevate dunque che questo è il territorio degli sioux?
― Appunto perché lo sapevo voi mi avete incontrato con quei sei cani rabbiosi alle spalle — rispose Turner, sorridendo. — Vorrei invece sapere che cosa fate voi qui, mentre l’insurrezione indiana rumoreggia spaventosamente.
— Se l’avessimo saputo, ci saremmo ben guardati dall’entrare in questo ginepraio per dare la caccia ai bisonti. Sono trascorse appena tre ore che ci fu detto che Sitting-Bull e Minnehaha, la figlia di Yalla e di Nube Rossa, hanno dissotterrata l’ascia di guerra.
— E l’avete saputo da chi?
— Da Hills.
— Il mio compagno!... — esclamò Turner. — Si è salvato dunque?
— Ohimè, no, Bud — rispose l’indian-agent, con un sospiro. — L’abbiamo raccolto moribondo, scotennato e toccato da parecchie frecce, ed è spirato fra le nostre braccia.
Un grido di dolore e di rabbia insieme era sfuggito dalle labbra dell’uccisore d’uomini.
— Me l’ero immaginato — disse poi, con voce sorda. — Quel disgraziato era nato sotto una cattiva stella. Ecco la guerra della prateria!... Custer lo vendicherà.
Stette un momento silenzioso, accarezzando il collo del suo bianco cavallo grondante sudore, poi rizzandosi sugli arcioni, disse:
— Se vi preme la vita, lasciate subito questa prateria e senza perdere un solo istante, poiché io temo che gli Sioux a quest’ora ci abbiano circondati insieme ai bisonti. Voi, John, sapete come finiscono queste faccende.
— Con un arrostimento generale — rispose l’indian-agent. — Purtroppo lo so!...
— Ed allora, signori miei, se i vostri cavalli hanno ancora un po’ di fiato, al galoppo!... Cerchiamo innanzi tutto di raggiungere i bisonti, i quali ci faranno ottimo scudo contro i colpi degli sioux.
— E l’inglese? — chiese Harry. — Lo lasceremo noi qui, senz’armi?
— Quale inglese? — chiese Turner.
— Vi spiegheremo più tardi questa storia — disse John. — Bah!... Lo raccoglieremo passando. So dove si trova. Su, un colpo di sprone e cerchiamo di uscire da questa trappola che potrebbe tramutarsi, da un’ora all’altra, in un rogo spaventoso.
— Via!... — comandò Turner.
Quantunque i cavalli non avessero preso che pochi istanti di riposo e da parecchie ore non avessero divorato un filo d’erba, né mandata giù una sorsata d’acqua, aizzati dagli sproni si rimisero in corsa al piccolo trotto, fendendo coi poderosi petti le altissime graminacee, le quali lasciavano dietro un largo solco.
Sarebbe stata una grande imprudenza esaurirli completamente, perché non si trovassero sfiatati al momento terribile che doveva infallantemente succedere.
Degl’indiani, nessuna traccia pel momento. I quattro cavalieri però non si illudono; anche se sono fuori di vista li sentono.
Un silenzio enorme, gigantesco, regna sulla prateria, soffocata sotto le tenebre.
I bisonti sono lontani o forse si sono coricati e i coyotes pare che siano scomparsi.
— Brutto segno — mormorò John, il quale, come il più pratico delle praterie, guidava la corsa con estrema prudenza. — Se quelle bestie sono fuggite, vuol dire che hanno fiutato qualche grosso pericolo. Aspettiamo l’alba.
Galoppavano dolcemente da due ore, e mezzanotte era passata già da un bel po’, quando John si volse verso Turner, il quale lo seguiva a breve distanza, reggendo il cavallo quasi ormai esausto, chiedendogli:
— Non sentite nulla, voi?
— Rumori od altro?
— No, fiutate bene l’aria.
— Odor di fumo. Eh, lo so, e non è da questo momento che io l’ho avvertito. Qualche cosa brucia in lontananza.
— La prateria.
— Lo credo.
— Bell’affare!...
— Bah!... Andiamo innanzi, John, e cerchiamo di trovare prima il nostro inglese e poi di raggiungere il generale Custer.
Accordarono ai cavalli un po’ di riposo e li lasciarono abbeverarsi in una pozza d’acqua fangosa, già quasi interamente asciugata dai bisonti, poi ripartirono sempre al piccolo trotto, interrogando ansiosamente cogli sguardi l’orizzonte.
Erano ormai quasi le tre del mattino ed il cielo incominciava ad impallidire verso levante.
Una piccola macchia si delineava lontanissima, là dove la volta celeste si piegava verso la superficie della terra.
Pareva una ferita che si allargasse lentamente.
Le tenebre oscurissime che gravavano sulla prateria, a poco a poco si sbiancavano, assumendo poscia delle tinte violacee, poi azzurro-cupe, naufragando poi nel chiarore che dilagava dalla parte donde il sole stava per mostrarsi.
Gli alti fusti degli asfodeli e le racchette armate di spine emergevano gradatamente dall’ombra.
Le tenebre lottavano tenacemente fra le erbe contro la luce che scendeva attraverso le mille vie del cielo e cedevano a poco a poco, dileguandosi silenziosamente.
Ad un tratto il sole brillò: un’onda di luce gialla fosforescente si distese sulla sconfinata prateria, vincendo le ultime resistenze dell’oscurità, aumentando di colpo le acute esalazioni dell’assenzio, delle salvie e delle artemisie.
— I bisonti!... — esclamò John.
Infatti l’immensa orda sfilava con passo affrettato, a meno di due chilometri, dirigendosi verso levante.
Seguiva la medesima via tenuta dai cavalieri i quali, come abbiamo detto, si sforzavano di raggiungere la riviera dell’Horse, sulle cui rive si accampava la colonna del generale Custer, forte di ottocento uomini, incaricata di sorvegliare le mosse sospette degli Sioux e dei loro alleati, poiché, anche in quella seconda insurrezione, gl’indiani avevano lasciate da parte le loro eterne discordie per unirsi contro il loro nemico comune: l’uomo bianco, il distruttore inevitabile della razza rossa.
— Che cosa dite voi, Turner? — chiese John al sotto-sceriffo di Gold City. — Non vi sembra sospetta la fretta di quegli animalacci?
— Più di quanto credete, amico — rispose il “Campione degli uccisori d’uomini”, aggrottando la fronte. — D’altronde si sa che quei ruminanti hanno un fiuto straordinario. Hanno già sentito l’indiano e qualche cosa di peggio ancora.
— L’odore del fumo.
— Sì, John.
— Ma dove brucia dunque la prateria? — chiese Harry. — Non si vede nessuna colonna di fumo in alcuna direzione.
— Oh, non tarderanno a mostrarsi — rispose Turner. — Aspettate che il vento giri da ponente a settentrione e vedrete che tromba di fuoco ci capiterà addosso. Fortunatamente vi sono i bisonti e ci salveremo dietro le loro colonne, se riusciremo a sfondarle. Dov’è il vostro inglese?
John stava per rispondere, quando Giorgio alzò un braccio e, puntando la mano verso il sud, disse:
— Scommetterei il mio rifle contro un dollaro che quell’originale è laggiù, presso l’avanguardia dei bisonti.
— Quel pazzo è capace di fare qualche partita di boxe contro qualche vecchio maschio — disse Harry, ridendo.
— Per farsi guarire il suo spleen da un buon colpo di corna — disse John.
— Non vedi quella macchia nera che spicca sul verde della prateria? — chiese Giorgio.
— Sì.
— Non può essere che il suo cavallo.
— Lo credo anch’io. Andiamo a vedere se è solo o se porta ancora in sella quel pazzo.
Si slanciarono in direzione di quel punto nero, il quale si muoveva con estrema rapidità sul fianco settentrionale della grossa avanguardia dei bisonti, senza che questi però, a quanto sembrava, s’inquietassero.
Infatti continuavano la loro marcia frettolosa, svolgendo le loro immense colonne disposte su cinque grosse file distanti parecchie dozzine di metri le une dalle altre.
Dopo aver percorso qualche chilometro, John distinse l’inglese piantato sul suo puro sangue, caracollante audacemente presso i bisonti.
— Quell’uomo è pazzo davvero — disse, ridendo. — Vedremo poi se vorrà seguirci.
— Restituiscigli la sua carabina e lascia che dia battaglia ai ruminanti — disse Harry. — Se non se la caverà bene, tanto peggio per lui.
Fecero allungare la corsa ai cavalli e raggiunsero l’originale, il quale, non avendo altre armi che un coltello da caccia, sfogava la sua smania nembrottiana insultando e sfidando i bisonti con altissime grida, che non producevano però effetto alcuno sui bestioni, troppo preoccupati a sfuggire un pericolo ben maggiore.
Vedendo giungere i cavalieri, la collera dell’inglese scoppiò furiosa.
— Voi essere dei birbanti, dei miserabili, dei bricconi appena degni di una corda di Calkraff!... Io condurre voi tutti dinanzi a mio console di S. Louis!... Ladri!... Ladri!... Rubarmi anche carabina!... Io non potere guarire mio spleen senza uccidere bisonti!...
— Calmatevi, milord — disse John. — Le vostre offese fanno su di noi meno effetto della puntura d’una pulce.Vi avverto però che gli scorridori di prateria sono di solito poco pazienti e facilissimi a scattare.
— Scattare!... Io pugnare!... — urlò l’irascibile figlio della perfida Albione. — Voi dare a me mia carabina o ricorrere a mio console!...
— È un po’ lontano, milord.
— Non importare. Mio governo proteggere suoi sudditi anche centro Australia.
— Allora comandate ai vostri ammiragli di mandare un paio delle loro corazzate su questa prateria — disse Turner, ironicamente. - Sarà uno spettacolo attraentissimo per gl’indiani.
— Voi io non parlare, perché non conoscere. Io essere un lord.
— Ed io un sotto-sceriffo.
— Giustizia americana proteggere sempre birbanti!... — urlò poi.
— V’ingannate, milord, perché, io, come io, ho ammazzato perfino troppi furfanti.
— Aho!... Questo non mi interessare.
— Milord — disse John — ora potete far uso della vostra carabina ed uccidere quanti bisonti vorrete e perciò ve la rendo. Vi avverto però, giacché mi avevate scelto per vostra guida, che la prateria è in fiamme e che tutte le tribù degli sioux sono in armi contro i visi pallidi. Se credete di unire la vostra carabina alle nostre per la salvezza comune, fatelo; se preferite uccidere i bisonti, rimanete pure, ma non contate più sul nostro aiuto, perché noi fuggiamo verso le frontiere del Nebraska.
L’inglese l’aveva ascoltato pazientemente, e quando l’indian-agent ebbe finito, scoppiò in una risata clamorosa.
— Io infischiarmi vostre pellirosse e del fuoco. Io essere qui venuto per uccidere i bisonti e li ucciderò. Io essere molto malato di spleen, come lord Byron.
— John, lasciamo andare quel mulo d’oltre Atlantico — disse Harry, sottovoce. — Perderesti inutilmente il tuo tempo.
— Lo credo anch’io — rispose l’indian-agent. — Che il diavolo se lo porti.
Prese la carabina dell’inglese, una splendida arma a due colpi, per precauzione la scaricò in aria, poi la porse all’ostinato, dicendogli:
— Ecco la vostra arma, milord. Vi consiglio di servirvene solamente contro i bisonti e non contro di noi. Sapete già che gli scorridori di prateria non mancano mai ai loro colpi e, come vedete, siamo in quattro e meglio armati di voi. Milord, buona fortuna e badate ai vostri capelli.
L’inglese prese l’arma, rispose con un grugnito e si allontanò al galoppo, per raggiungere l’avanguardia dei bisonti.
— Quell’uomo non è un eccentrico, è un vero pazzo — disse Turner.
— Lasciamolo divertirsi come meglio gli piace, ed in quanto a noi, gambe, finché i nostri cavalli avranno forza. Se non frapponiamo una riviera fra noi ed il fuoco che non tarderà ad avanzarsi verso il sud, non usciremo più vivi da questa dannata prateria.
— Anda!... — comandò John.
I quattro cavalli, che quantunque dovessero essere immensamente stanchi, sembravano impazienti di partire, si slanciarono ad un’andatura abbastanza rapida, filando verso levante, per raggiungere al più presto la riviera del Chugwater che passa dietro la catena dei Laramie ed entro le cui acque si scarica l’Horse.
Non avevano percorso mezzo miglio, quando due colpi di carabina rombarono nella prateria.
L’inglese aveva cominciato a battagliare contro i bisonti, senza preoccuparsi dei gravissimi pericoli che lo minacciavano e che potevano sorprenderlo da un momento all’altro.
Bah!... Non si preoccupava che del suo spleen che credeva di poter guarire, chissà per quale bizzarra fissazione, con una emozionante caccia ai giganteschi ruminanti delle praterie americane.
— Ha ammazzato due maschi certamente — disse Harry, scoppiando in una risata.
— E le loro quattro corna gli si sono piantate nella milza per guarirlo dallo spleen — aggiunse John. — Pace alla sua anima.
Quella galoppata, interrotta da brevi intervalli per lasciare alle povere bestie il tempo di divorare qualche manata di graminacee o di dissetarsi in qualche pozzanghera, si prolungò fino dopo il mezzodì, senza che accadesse nulla di straordinario.
Già cominciavano a sperare di poter raggiungere, prima del tramonto, la riviera che avrebbe dovuto proteggerli contro la tromba di fuoco avvampante di certo in lontananza, quando John trattenne bruscamente il suo cavallone, lasciandosi sfuggire una sfilza d’imprecazioni.
— Ohé, amico, non siamo in Turchia, se è proprio vero il proverbio che i turchi bestemmiano — disse Turner. — Che cosa c’è per arrabbiarsi tanto?
— C’è che ci hanno tagliata la ritirata verso la riviera — rispose l’indian-agent, a denti stretti.
— Corpo d’un tuono!... Vedo... Quello è fumo!...
— E che fumo — disse Harry. — La prateria laggiù sta bruciando!
Tutti si erano arrestati, scrutando ansiosamente verso levante.
Delle nuvolette grigiastre, che un po’ di vento di quando in quando abbatteva, si allargavano verso il cielo, formando come degli immensi ombrelli. Non vi era da ingannarsi: erano delle vere colonne di fumo marcianti verso ponente.
— Birbanti!... — gridò John, esasperato. — Hanno indovinato forse il nostro progetto e hanno gettata fra noi e la riviera una gigantesca barriera di fuoco.
— Vedo — rispose semplicemente Turner.
— E noi non potremo attraversare ammenoché non spuntino delle ali ai nostri cavalli.
— Ciò che sarà improbabile, amico John.
— Non ci resta che di tornare indietro e cercare un rifugio sui Laramie — disse Harry.
— Se potremo giungere in tempo — rispose Turner.
— E se piegassimo verso il sud? — chiese Giorgio.
— Uhm!... Anche laggiù la prateria deve bruciare, amico. Sarebbero stati ben stupidi gli Sioux se ci avessero lasciata aperta quella via, che conduce nei paesi abitati dalla nostra razza. No, cerchiamo di raggiungere i Laramie e di scalare quelle montagne che non possono correre alcun pericolo di venire incendiate. Che cosa dite, John?
— Di affidarci all’istinto dei bisonti — rispose l’indian-agent, il quale seguiva collo sguardo le colonne dei ruminanti, le quali avevano bruscamente cambiata direzione, incamminandosi verso il settentrione.
— Credo che voi abbiate ragione, John — rispose Turner. — Anche loro si sono accorti che la prateria arde verso l’est e si affrettano a cercare un’altra via. Raggiungiamoli, amici, e seguiamoli; e poi, in mezzo a loro, ci troveremo più al sicuro contro un improvviso attacco da parte degl’indiani. Quei bestioni viventi ci serviranno a meraviglia. Al galoppo!...