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2151 Words
sente circostanza. Intinse la penna nel calamaio e quindi esitò un istante. Ebbe un tremito fin nelle budella. Segnare la carta sarebbe stato l'atto decisivo. Con certe piccole goffe cifre, scrisse: “4 apri­ le 1984”. Appoggiò la schiena alla sedia. Un senso d'assoluto smarrimento si era impadronito di lui. Tanto per cominciare, non era affatto sicuro che quello era il 1984. Doveva essere press'a poco quell'anno, perché sapeva con certezza che aveva trentanove anni e credeva d'esser nato nel 1944 o nel 1945; ma non era possibile, allora, buttar giù una qualche data altro che con l'approssimazione d'un anno o due. Per chi, si domandò improvvisamente, stava scrivendo quel diario? Per i posteri, per i non ancor nati. La mente indugiò un attimo su quella data dubbia segnata sulla pagina bianca, e quindi andò a cozzare con la parola in neolingua bispensiero. Per la prima volta, l'importanza di ciò ch'era sul punto d'iniziare gli si fece manifesta. Come avrebbe potuto comunicare coi posteri? Era ragionevol­ mente impossibile. O il futuro sarebbe stato in tutto simile al presente, nel qual caso nessuno lo avrebbe ascoltato, ovvero sarebbe stato differente, e in questo caso il suo messaggio sarebbe stato privo di significato. Per qualche minuto rimase attonito a guardare il foglio. Il teleschermo trasmetteva una irritante marcetta militare. Non solo era strano ch'egli avesse perduto ogni capacità d'esprimersi, ma anche che avesse del tutto dimenticato cos'era che in un primo momento aveva pensato di voler dire. Per settimane s'era preparato a quel momento, e non gli era mai passato per la mente che fosse necessa­ rio null'altro che un pó di coraggio. L'azione vera e propria dello scrivere, aveva pensato, sarebbe stata facile. Non aveva che da trasferire sulla pagina quell'interminabile, instancabile monologo che gli s'andava dipanando nella testa, nel vero senso della parola, da anni. In quel momento, tuttavia, anche il monologo gli s'era come prosciugato. E per di più l'ulcera varicosa aveva cominciato a pru­ dergli in modo insopportabile. Né osava grattarsela, perché, se l'avesse fatto, si sarebbe, come sem­ pre, infiammata. Intanto passavano i minuti. Era cosciente solo del vuoto della pagina davanti a sé, del prurito della pelle sulla caviglia, dello strombettare della musica, e d'una sorta di lieve addor­ mentatura provocata dal gin. Tutt'a un tratto cominciò a buttar giù lo scritto in preda al panico, soltanto in parte cosciente di quel che scriveva. La sua calligrafia minuta e infantile si srotolava su e giù, scordandosi, lungo il cammino, le maiuscole e perfino le virgole e i punti: 4 aprile 1984. Ieri notte al cinema. Film di guerra. Uno molto buono su un battello pieno di profughi bombar­ dato in qualche parte del Mediterraneo. Il pubblico si divertiva un mondo a vedere un tipo di gras­ sone che cercava di svignarsela con un elicottero che lo inseguiva, prima si vedeva galleggiare sul­ l'acqua come un porco marino, poi si vedeva attraverso l'apparecchio di puntamento dell'elicottero poi era pieno di buchi e il mare attorno diventava rosso e lui affondava subito come se l'acqua fos­ se entrata nei buchi, poi si vedeva una scialuppa piena di bambini con un elicottero sospeso sopra. c'era una donna di mezza età che avrebbe potuto essere ebrea seduta nel fondo con un bambino di tre anni in braccio. bambino strillava impaurito e nascondeva la testa tra i seni di lei proprio come se volesse scavarsi un rifugio dentro il suo corpo e la donna se lo stringeva con le braccia cercan­ do di calmarlo sebbene fosse bianca dal terrore anche lei, e lo copriva tutto con le braccia come se pensasse che con quelle avrebbe potuto proteggerlo dalle pallottole. poi l'elicottero allentava una bomba da venti chili su di loro uno scoppio terribile e la scialuppa se ne volava in mille schegge. poi una bellissima ripresa del braccio d'un bambino che se ne volava su su su sempre più su un eli­ cottero con la macchina da presa ficcata nella parte anteriore doveva averlo seguito su per aria e si sentirono un sacco di battimani dalle file del partito ma una donna prolet cominciò a fare una scenata che no che non dovevano che non si poteva farlo vedere ai bambini che non avevano diritto di farlo vedere ai bambini che non avevano finché non è venuta la polizia non l'ha fatta uscire la polizia non l'ha fatta non credo che le sia successo nulla nessuno fa caso a quel che dicono i prolet le tipiche reazioni dei prolet loro non… Winston smise di scrivere soprattutto perché lo prese un crampo alla mano. Proprio non sapeva che cosa gli aveva fatto buttar giù quella serqua di stupidaggini. Ma la cosa più strana era che, men­ tre grattava la carta, il ricordo d'un fatto completamente diverso gli s'era andato riordinando nella mente, fino al punto da fargli credere d'essere addirittura capace di scriverne. Era, ora si rammenta­ va, proprio per quest'altro incidente che aveva improvvisamente deciso di venirsene a casa, quel giorno, e di cominciare il diario. Era successo nella mattinata, al Ministero, seppure qualcosa di tanto confuso si sarebbe mai potu­ to pensare che fosse realmente successo. Erano circa le undici, e nell'Archivio, dove lavorava Winston, gli impiegati stavano tirando fuori le sedie dai cubicoli e le stavano raggruppando nel centro della sala, davanti al grande teleschermo, in preparazione dei Due Minuti d'Odio. Winston stava prendendo posto in una delle file di centro, quando due persone che conosceva di vista, ma alle quali non aveva mai rivolto la parola, entrarono inaspettatamente nella sala. Una era una ragazza che Winston aveva incontrata più volte nei corri­ doi. Non sapeva come si chiamasse ma sapeva che lavorava nel Reparto Amena. Probabilmente (poiché si ricordava di averla vista qualche volta con le mani unte di grasso e munita d'una chiave inglese) essa aveva un qualche incarico d'ordine puramente tecnico in una delle macchine per scri­ ver romanzi. Era una ragazza dall'aria risoluta, di circa ventisette anni, con una gran capigliatura nera, faccia lentigginosa e movimenti svelti e atletici. Una sottile fascia rossa, che fungeva da di­ stintivo della Lega Giovanile Anti-Sesso, era avvolta ripetutamente attorno alla vita, abbastanza stretta in modo da far risaltare più che fosse possibile le sue anche formose. Winston l'aveva presa in antipatia fin dal primo momento che l'aveva veduta. E sapeva perché. Era per via di quell'atmo­ sfera di campi di hockey, di bagni freddi, di gite in comitiva, e soprattutto quella sicurezza da ben­ pensante che la ragazza si portava appresso. Egli non sapeva tollerare, in genere, quasi nessuna don­ na, e in particolare le giovani e piacenti. Erano sempre le donne, e specialmente le più giovani, che fornivano le aderenti più bigotte del Partito, che si nutrivano di slogans, di frasi fatte, le spie dilet­ tanti, le scopritrici dell'eterodossia. Ma quella ragazza in particolare gli pareva anche più pericolosa di molte altre. Una volta, che s'erano incontrati, appunto, nel corridoio, lei gli aveva dato un'occhia­ ta di straforo che gli pareva l'avesse passato da parte a parte, e che per un momento l'aveva riempito d'un sacro terrore. Aveva pensato, per un istante, che si potesse trattare di un'agente della Psicopoli­ zia. Era molto improbabile, veramente. Eppure lui continuava a trovarsi a disagio, un disagio in cui la paura e l'antipatia erano mescolate assieme, tutte le volte che se la sentiva vicino. L'altra persona era un certo O'Brien, membro del Partito Interno, il quale occupava un posto così importante e inarrivabile che Winston ne aveva una idea molto confusa. Qualche zittio si fece udire nel gruppo che sedeva nelle sedie intorno non appena fu vista la tuta nera dell'uniforme di un mem­ bro del Partito Interno che s'avvicinava. O'Brien era grosso, tarchiato, con un collo largo e una fac­ cia rozza e brutale, ma non priva d'una certa arguzia. Nonostante il suo aspetto imponente, usava maniere affabili. Aveva il vezzo d'aggiustarsi di continuo gli occhiali sul naso, in un certo modo in­ definibile che testimoniava, però, una curiosa civiltà. Era un gesto che, se qualcuno avesse ancora potuto pensare in quei termini, avrebbe richiamato l'idea di un gentiluomo del Settecento che offris­ se una presa dalla sua tabacchiera. Winston aveva veduto O'Brien appena una dozzina di volte in una dozzina press'a poco di anni, ma si sentiva profondamente attratto da lui, e non solo per il con­ trasto fra quelle maniere singolarmente educate e il suo fisico da lottatore. Ciò era dovuto più che altro, a una sorta di segreta fiducia (o meglio, più che fiducia, soltanto speranza) nel fatto che l'orto­ dossia politica di O'Brien non fosse del tutto senza mende. Qualcosa nella sua faccia lo suggeriva in modo irresistibile. E ancora, forse, non era nemmeno l'eterodossia quella che si leggeva nella sua faccia, ma soltanto l'intelligenza. Ad ogni modo aveva tutto l'aspetto di una di quelle persone con le quali avreste potuto aprirvi, posto che foste riusciti a eludere il teleschermo, e l'aveste attirata a un colloquio strettamente privato. Winston non aveva mai fatto il minimo tentativo per verificare la ve­ rità di questa sua supposizione: sul serio, non c'era nessun modo di farlo. In quel momento O'Brien diede un'occhiata al suo orologio da polso, vide che erano quasi le undici ed evidentemente decise di restare nell'Archivio fino a che i Due Minuti d'Odio fossero passati. Occupò una sedia nella stes­ sa fila di Winston, due posti più in là. Una donnetta dai capelli color sabbia che lavorava nel cubico­ lo vicino a quello di Winston s'era seduta fra loro due. La ragazza bruna s'era seduta subito dietro. Un istante appresso un fastidioso stridore, come d'un ingranaggio di qualche diabolica macchina non ben lubrificata, si fece sentire, con uno scoppio, dal grande teleschermo in fondo alla sala. Era un rumore che faceva drizzare i capelli in capo. L'Odio era cominciato. Come al solito, la faccia di Emmanuel Goldstein, il Nemico del Popolo, era apparsa sullo scher­ mo. S'udì qualche fischio, qua e là, fra i presenti. La donnetta dai capelli color sabbia diede in una sorta di gemito in cui erano mescolati paura e disgusto. Goldstein era il rinnegato, l'apostata che, una volta, molto tempo prima (quanto tempo prima, nessuno poteva ricordarsi con precisione), era pure stato fra i dirigenti del Partito, importante quasi quanto il Gran Fratello stesso, ma s'era poi dato a organizzare attività controrivoluzionarie, era stato condannato a morte ed era misteriosamen­ te evaso e scomparso. I programmi dei Due Minuti d'Odio variavano a seconda dei giorni, ma non ce n'era nessuno in cui Goldstein non fosse la figura principale. Egli era stato il supremo traditore, il primo che avesse osato profanare la purezza del Partito. Tutti i delitti che erano stati commessi in seguito contro il Partito, tutti i tradimenti, gli atti di sabotaggio, le eresie, le deviazioni, eccetera era­ no sorti direttamente dal suo insegnamento. Era ancora vivo, in qualche parte del mondo, e stava preparando le sue cospirazioni. Forse al di là del mare, con la protezione e il soldo dei suoi padroni stranieri… forse anche, si diceva pure questo, era nascosto nella stessa Oceania. Il diaframma di Winston ebbe una stretta. Non poteva mai vedere la faccia di Goldstein senza provare un misto di emozioni che gli dava una specie di malessere. Era una magra faccia da ebreo, con una grossa aureola di capelli bianchi e crespi e una piccola barbetta da capra: una faccia da per­ sona seria, ma in cui pure si poteva leggere qualche cosa di moralmente vile e spregevole, mista a una sorta di stupidità senile concentrata in quel suo naso lungo e affilato in cima al quale stava ap­ poggiato un paio d'occhiali. Sembrava la faccia d'una pecora, e anche la voce aveva un qualche ca­ rattere pecorino. Goldstein stava sferrando il suo solito velenoso attacco alle dottrine del Partito, un attacco così manifestamente esagerato e perverso che avrebbe potuto accorgersene un bambino, ep­ pure abbastanza plausibile da permettere l'allarmante sospetto che qualcun altro, di un'intelligenza inferiore, ne potesse esser turlupinato. Offendeva il Gran Fratello, denunciava la dittatura del Parti­ to, domandava l'immediata conclusione della pace con l'Eurasia, chiedeva libertà di parola, libertà di stampa, libertà di riunione, libertà di pensiero, e strillava, quasi in un accesso d'isterismo, che la rivoluzione era stata tradita… e tutto ciò in un velocissimo discorso polisillabico che costituiva qua­ si una specie di parodia dello stile degli oratori del Partito, e conteneva persino delle parole in neo­ lingua: molte più parole in neolingua, a essere esatti, di quante i membri del Partito usavano nei loro discorsi abituali. E nonostante ciò, non ci potevano essere dubbi attorno alla realtà che la speciosa imbonitura di Goldstein badava a nascondere: dietro la sua testa, infatti, sul teleschermo, marciava­ no le colonne senza fine dell'esercito eurasiano: file di uomini dalle facce forti, caratterizzate dal­ l'assenza d'espressione propria agli asiatici, che se ne venivano fin sotto gli occhi e poi si dileguava­
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