VI
Per acquistarne il favore, mostro tanta amicizia;
se accetta, bene; se no, addio.
E se mi amate, non fatemi torto.
(W. Shakespeare, Il mercante di Venezia )
Mentre il pellegrino, accompagnato da un domestico con la torcia, passava attraverso l'intricato dedalo di stanze del vasto e irregolare palazzo, il coppiere che lo seguiva gli sussurrò nell'orecchio che, se non aveva nulla in contrario a bere una coppa di buon idromele nella sua camera, molti servitori della casa sarebbero stati lieti di ascoltare le notizie che portava dalla Terrasanta. In particolare quelle riguardanti il cavaliere di Ivanhoe. In quello stesso momento comparve Wamba che gli fece la stessa richiesta, facendo notare che una coppa dopo mezzanotte ne valeva tre dopo il coprifuoco.
Lungi dal discutere una massima citata da un personaggio tanto autorevole, il pellegrino li ringraziò della cortesia ma disse loro che un voto religioso gli impediva di parlare in cucina di cose di cui era proibito parlare in sala.
«Un voto del genere, - disse Wamba al coppiere - sarebbe poco adatto a un servitore.»
Il coppiere si strinse nelle spalle deluso. «Avevo pensato di sistemarlo in una stanza del piano di sopra - disse - ma poiché è così poco socievole con i cristiani, che si prenda lo stanzino vicino a quello dell'ebreo Isaac.» Poi disse al servo che portava la torcia: «Anwold, conduci il pellegrino nella cella che dà a sud.» Infine si volse all’ospite e aggiunse: «Signor pellegrino, vi do la buona notte, con pochi ringraziamenti per la scarsa cortesia.»
«Buona notte, e che la Madonna vi benedica!» rispose lo straniero con tutta calma. La sua guida si avviò e lo precedette.
In una piccola anticamera, su cui si aprivano parecchie porte e che era illuminata da una lampada di ferro, furono fermati una seconda volta; era la cameriera personale di Rowena la quale, dopo aver annunciato in tono autoritario che la sua padrona desiderava parlare al pellegrino, prese la torcia dalle mani di Anwold e, ordinandogli di aspettare il suo ritorno, fece segno al pellegrino di seguirla. Questi evidentemente non ritenne opportuno rifiutare l'invito come aveva fatto poco prima. Infatti, sebbene un suo gesto sembrasse indicare una certa sorpresa di fronte a quell'ordine, obbedì senza rispondere né muovere rimostranze.
Un breve corridoio e una scaletta di sette gradini, ciascuno dei quali era formato da una robusta trave di quercia, lo condussero alla camera di Lady Rowena. La sua sobria magnificenza dava prova del rispetto che il padrone di casa le portava. Le pareti erano ricoperte di arazzi le cui sete multicolori, intrecciate con fili d'oro e d'argento, erano state ricamate con tutta l'arte di cui l'epoca era capace per rappresentare gli sport della caccia e della falconeria.
Il letto, ornato con gli stessi arazzi sontuosi, era circondato da tendaggi color porpora. Anche le sedie avevano dei rivestimenti colorati e una, più alta delle altre, era dotata di uno sgabello di avorio intagliato.
A illuminare la stanza c'erano non meno di quattro candelabri d'argento che sorreggevano grandi torce di cera. Le pareti erano così rozzamente finite e così piene di fessure, che i preziosi parati ondeggiavano all'aria della notte, e nonostante fosse stato messo una sorta di paravento per proteggerla dal vento, la fiamma delle torce oscillava lateralmente come lo stendardo di un condottiero. L’opulenza si accompagnava ad un certo buon gusto, ma di comodità ce n'erano poche, anche se, non conoscendole, non se ne sentiva la mancanza.
Lady Rowena con tre damigelle alle spalle che le sistemavano i capelli prima del riposo, era seduta su quella specie di trono già citato e sembrava nata per ricevere l'omaggio di tutti. Il pellegrino le riconobbe tale diritto e s’inchinò profondamente.
«Alzatevi pellegrino. - disse lei con grazia - Chi difende gli assenti ha diritto a una buona accoglienza da tutti quelli che apprezzano la verità, l'onore e il coraggio.» poi si rivolse alle damigelle e disse: «Andate via tutte, salvo Elgitha; vorrei parlare con questo santo pellegrino.»
Quelle, senza lasciare la stanza, si appartarono in un angolo sedendosi su una piccola panca addossata alla parete, dove rimasero mute come statue, anche se a quella distanza i loro bisbigli non avrebbero potuto disturbare la conversazione della loro padrona.
«Pellegrino, - disse la dama, dopo una breve pausa durante la quale sembrò esitare sulle parole da usare - questa sera avete fatto un nome... Intendo dire, - proseguì con un certo sforzo - il nome di Ivanhoe in una dimora in cui, per natura e parentela, avrebbe dovuto essere accolto con la massima simpatia. Tuttavia, il corso del destino è così avverso che solo il mio cuore, tra i molti che l’hanno udito, deve aver sobbalzato, oso domandarvi dove e in quali condizioni lasciaste la persona che avete ricordato. Abbiamo saputo che, rimasto in Palestina dopo la partenza dell'esercito inglese a causa della cattiva salute, divenne oggetto delle persecuzioni della fazione francese a cui i templari sono notoriamente legati.»
«Non so molto del cavaliere d'Ivanhoe. - rispose il pellegrino con voce turbata - Vorrei conoscerlo meglio, dal momento che voi, signora, siete interessata alla sua sorte. Credo che sia riuscito a evitare le persecuzioni dei suoi nemici in Palestina e sia sul punto di tornare in Inghilterra dove voi dovete sicuramente sapere meglio di me, se mai gli sarà un giorno possibile esser felice.»
Lady Rowena fece un profondo sospiro e chiese in particolare quando il cavaliere d'Ivanhoe poteva essere di ritorno nel suo paese natale, e se corresse pericoli durante il viaggio. Quanto al primo punto, il pellegrino non seppe cosa rispondere; circa il secondo, disse che quel viaggio lo si poteva fare in tutta sicurezza sulla rotta di Venezia e di Genova, e di lì attraverso la Francia fino in Inghilterra. «Ivanhoe - aggiunse - conosce così bene la lingua e le usanze francesi che non c'è da temere che incorra in qualche pericolo in questa parte del viaggio.»
«Volesse Iddio - disse Lady Rowena - che fosse già arrivato qui sano e salvo, in grado di prendere le armi nel prossimo torneo in cui ci si aspetta che i cavalieri di questo paese mostrino la loro abilità e il loro valore. Se Athelstane di Coningsburgh dovesse conquistare il premio, Ivanhoe troverà forse una cattiva notizia al suo arrivo in Inghilterra. Che aspetto aveva, straniero, quando lo vedeste l'ultima volta? La malattia aveva lasciato tracce profonde sul suo vigore e sulla sua bellezza?»
«Era più abbronzato e più magro - disse il pellegrino - rispetto a quando era arrivato da Cipro al seguito di Riccardo Cuor di Leone, e la sua fronte sembrava oppressa da preoccupazioni; ma io non lo avvicinai perché non lo conosco.»
«Temo - disse la dama - che non troverà nulla nella madrepatria che allontani quelle grinze dal suo volto. Grazie, buon pellegrino, per le informazioni sul compagno della mia infanzia. Ragazze, - disse - avvicinatevi... offrite la coppa del riposo a questo sant'uomo che non voglio trattenere più a lungo.»
Una delle domestiche porse una coppa d'argento piena di una ricca mistura di vino e spezie che Rowena portò appena alle labbra. Fu quindi offerta al pellegrino, che dopo un profondo inchino ne assaggiò poche gocce.
«Accettate questa offerta, amico - proseguì la dama offrendogli una moneta d'oro - in riconoscimento delle vostre dure fatiche e dei luoghi sacri che avete visitato.»
Il pellegrino prese il dono con un altro profondo inchino e seguì Elgitha fuori della stanza. Nell'anticamera trovò il domestico Anwold, che prese la torcia dalle mani della cameriera e lo condusse, con più fretta che cortesia, in una parte esterna e disadorna dell'edificio, dove numerose stanzette, o meglio celle, venivano usate come alloggio notturno per i servi di grado inferiore e per gli stranieri di scarsa importanza.
«In quale di queste dorme l'ebreo?» domandò il pellegrino.
«Quel cane d'infedele, - rispose Anwold - alloggia nella cella vicino a vostra santità... Per San Dustan, come dovrà essere strofinata e ripulita, prima di essere nuovamente adatta per un cristiano!»
«E dove dorme Gurth, il guardiano di porci?» domandò lo straniero.
«Gurth, - rispose il servo - dorme nella cella alla vostra destra, mentre l'ebreo è in quella a sinistra; voi servirete a tenere separato il figlio della circoncisione dall'abominio della sua tribù. Avreste potuto avere un posto più decente se aveste accettato l'invito di Oswald.»
«Va bene così, - disse il pellegrino - neppure la vicinanza di un ebreo può essere contagiosa attraverso una tramezza di quercia.» Così dicendo entrò nella stanzetta a lui destinata e, dopo aver preso la torcia dalla mano del domestico, lo ringraziò e gli augurò la buona notte. Chiuse la porta della cella, sistemò la torcia in un candeliere di legno e si guardò intorno. Il mobilio della camera era estremamente semplice: consisteva in un grezzo sgabello di legno e in un ancor più rozzo cassone, riempito di paglia pulita e con due o tre pelli di pecora come coperte.
Spenta la torcia, il pellegrino si buttò su questo rozzo giaciglio senza svestirsi. Dormì, o almeno rimase sdraiato, finché i primi raggi del sole non filtrarono attraverso la grata della piccola finestra che serviva a far entrare aria e luce in quella scomodissima stanza. Allora si alzò, e dopo aver detto le preghiere del mattino ed essersi sistemato l'abito, se ne uscì per dirigersi verso la cella di Isaac l'ebreo. Alzò il paletto, il più leggermente possibile ed entrò. L'ospite era steso su un giaciglio simile al suo e aveva un sonno agitato. Le vesti che l'ebreo si era tolto la sera prima erano sistemate con grande cura intorno alla sua persona come per impedire che gli venissero rubate durante il sonno. La fronte era aggrottata, quasi in preda all'angoscia. Le mani e le braccia si muovevano convulsamente come in un incubo e, oltre a numerose esclamazioni in ebraico, si sentivano chiaramente le seguenti espressioni in anglonormanno, cioè nella lingua mista del paese: «Per amore del Dio di Abramo, risparmiate un infelice vecchio! Sono povero, non ho un soldo... Anche se i vostri ferri facessero a pezzi le mie membra, non potrei darvi nulla!»
Il pellegrino non aspettò che l'incubo dell'ebreo avesse fine, ma lo scosse col suo bastone. La scrollata probabilmente si associò, come spesso accade, con qualcuno dei timori evocati dal sogno, così che il vecchio balzò su, con i capelli grigi ritti sulla testa. Afferrò qualche indumento fra quelli che aveva intorno e lo strinse con la presa tenace di un falcone; poi fissò sul pellegrino i propri acuti occhi neri che esprimevano folle sorpresa e paura.
«Non abbiate timore, Isaac, - disse il pellegrino - vengo come amico.»
«Il Dio di Israele vi ricompensi, - disse l'ebreo molto rincuorato - sognavo... ma il padre Abramo sia lodato, era soltanto un sogno.» Quindi, riprendendo un certo controllo, aggiunse in tono normale: «E cosa desiderate da un povero ebreo, a un'ora così mattutina?»
«È per dirvi che se non lasciate immediatamente questa casa e non ve ne andate in fretta, il vostro viaggio potrebbe risultare pericoloso.» rispose il pellegrino.
«Santo Padre! - esclamò l'ebreo - Chi potrebbe avere interesse a far del male a un povero disgraziato come me?»
«Il motivo lo potete indovinare. - disse il pellegrino - Fidatevi di quel che vi dico: ieri sera, quando il Templare ha attraversato la sala, ha parlato ai suoi schiavi musulmani in lingua saracena, che io capisco bene, dando loro istruzioni di sorvegliare il percorso dell'ebreo questa mattina. E quando fosse giunto a opportuna distanza da questo edificio, farlo prigioniero e condurlo al castello di Philip de Malvoisin o a quello di Reginald Front-de-Boeuf.»
È impossibile descrivere l'abisso di terrore in cui piombò l'ebreo a questa notizia e che sembrò sopraffare tutte le sue facoltà. Le braccia gli caddero lungo i fianchi, la testa si curvò sul petto, le ginocchia si piegarono sotto il suo peso. Ogni suo nervo e ogni muscolo sembrò cedere e perdere energia. Infine, egli cadde ai piedi del pellegrino, non come chi si curva deliberatamente, s’inginocchia o si prostra per suscitare compassione, bensì come un uomo oppresso da una forza invisibile che lo schiaccia a terra senza che egli possa opporvisi.
«Santo Dio di Abramo! - esclamò, giungendo e levando in alto le mani rugose, ma senza sollevare la testa grigia dal pavimento - Oh, Santo Mosè! Oh, Aaron benedetto! Il sogno non è venuto per nulla e la visione non era senza motivo! Già sento i loro ferri strapparmi i nervi! Sento la ruota della tortura passare sopra il mio corpo, come le seghe e le scuri di ferro sugli uomini di Rabbah e delle città dei figli di Ammone!»
«Alzatevi Isaac, e ascoltatemi attentamente. - disse il pellegrino che osservava quell'angoscia senza limiti, con una compassione mista a disprezzo - Avete ben ragione di essere terrorizzato, considerando come sono stati trattati i vostri confratelli da nobili e principi che volevano estorcere i loro tesori. Ma alzatevi, vi dico, e vi indicherò come fuggire. Lasciate immediatamente questa casa, mentre i suoi abitanti dormono ancora dopo la baldoria della notte scorsa. Vi guiderò attraverso i sentieri segreti della foresta che conosco bene, almeno quanto il guardaboschi che li frequenta. Non vi lascerò finché non sarete al sicuro sotto la protezione di qualche barone che vada al torneo e la cui benevolenza avrete probabilmente il modo di assicurarvi.»