Capitolo I-3

1557 Words
«Scusate, era una cosa importante!» esclamò Daisy con un’allegria nervosa. Si sedette, lanciò un’occhiata interrogativa alla signorina Baker, poi la fece a me e a quel punto proseguì: «Ho guardato fuori per qualche minuto ed è molto romantico. C’è un uccellino sul prato, forse un usignolo arrivato con la Cunard o la White Star Line. Sta cantando…» anche la sua voce sembrava canticchiare. «Vero che è romantico, Tom?» «Molto romantico» rispose e poi con aria abbattuta si rivolse a me: «Se c’è ancora luce, dopo cena, vorrei portarti a vedere le scuderie». Il telefono riprese a squillare inaspettatamente e mentre Daisy scuoteva con energia la testa verso Tom, la faccenda delle scuderie, come del resto qualunque altro argomento sfiorato, svanì nell’aria. Tra i frammenti sparsi degli ultimi cinque minuti a tavola, ricordo le candele di nuovo accese, senza alcun motivo e il mio desiderio di guardare tutti negli occhi e al tempo stesso di non incrociare lo sguardo di nessuno. Certo non ero in grado di capire cosa stessero pensando Daisy e Tom, ma ritengo che persino la signorina Baker, che non nascondeva un forte scetticismo, non potesse ignorare la penetrante urgenza metallica di questo quinto ospite. Col dovuto temperamento, la situazione avrebbe potuto sembrare intrigante; il mio impulso, però, fu quello di telefonare subito alla polizia. Dei cavalli, ovviamente, non si parlò più. Tom e la signorina Baker, divisi da alcuni centimetri di crepuscolo, si avviarono lentamente verso la biblioteca, come se stessero andando alla veglia di un corpo morto del tutto reale, mentre io, cercando di apparire piacevolmente interessato e distante da quei problemi, seguii Daisy lungo una successione di verande collegate tra loro. Nella profonda oscurità della veranda principale ci sedemmo accanto su un divano di vimini. Daisy si prese il volto tra le mani, come a volerne saggiare i lineamenti stupendi e i suoi occhi riemersero poco alla volta nell’oscurità vellutata. Notai che in lei si agitavano forti emozioni, allora per calmarla le feci qualche domanda sulla bambina. «Non ci conosciamo molto bene, Nick» disse all’improvviso. «Anche se siamo cugini. Non sei venuto al mio matrimonio». «Non ero ancora tornato dalla guerra». «È vero». Esitò. «Beh, ho passato un periodo piuttosto difficile, Nick, e ora affronto tutto con molto cinismo». Evidentemente aveva le sue ragioni per esserlo. Attesi un po’ ma non aggiunse altro, allora tornai a chiedere di sua figlia con poca convinzione. «Immagino che parli, che… mangi e tutto il resto». «Oh, si». Mi guardò con aria assente. «Ascolta, Nick; lascia che ti racconti cosa dissi quando è nata. Ti va di sentirlo?» «Certo, mi farebbe piacere». «Così capirai perché ho cominciato vivere così... le cose. Dunque, non aveva ancora un’ora e Dio solo sa dove fosse Tom. Mi svegliai dall’etere con una sensazione di totale abbandono e chiesi subito all’infermeria se fosse maschio o femmina. Lei mi disse che era una bambina e così voltai la testa e piansi. ‘Perfetto’ dissi ‘sono contenta che sia femmina. E spero che sia una sciocca... perché a questo mondo è la cosa migliore per una ragazza, una bella e piccola stupida’ Vedi, io credo che tutto sia orribile, ogni cosa» continuò convinta del suo pensiero. «È quello che pensano tutti, tutte le persone più evolute. E ne sono convinta pure io. Sono stata dappertutto e ho visto e fatto tutto quello che si poteva fare». Si guardò attorno con occhi che brillavano di spavalderia, in modo molto simile a quello di Tom e si mise a ridere con allarmante disprezzo. «Sofisticata... Oh Dio, sono proprio sofisticata!» Nel momento stesso in cui la sua voce si interruppe, cessando di pretendere la mia attenzione, la mia fede, compresi la profonda falsità di quanto mi aveva detto. La cosa mi turbò, quasi come se l’intera serata non fosse stata altro che un trucco per estorcermi un sentimento favorevole. Attesi qualche secondo e, come previsto, mi guardò con un ghigno autoritario su quel viso adorabile, quasi a rivendicare di far parte, insieme a Tom, di un’esclusiva società segreta. All’interno, la stanza cremisi era uno sbocciare di luce. Tom e la signorina Baker sedevano alle estremità del lungo divano, lei gli leggeva a voce alta un articolo dal Saturday Evening Post; le parole, borbottate in modo inespressivo, scorrevano con tono rilassante. La luce della lampada, che scintillava sugli stivali di lui e si spegneva sui capelli di lei, gialli come le foglie d’autunno, scintillò lungo la carta quando voltò la pagina con una veloce contrazione dei muscoli delle braccia. Quando entrammo ci tenne in silenzio per qualche secondo con una mano alzata. «Continua...» disse gettando la rivista sul tavolo «...sul prossimo numero». Il suo corpo s’impose con un movimento repentino del ginocchio e lei si alzò. «Le dieci in punto» osservò, all’apparenza leggendo l’ora sul soffitto. «Si è fatta l’ora, per una brava ragazza come me, di andare a letto». «Jordan parteciperà a un torneo domani» spiegò Daisy «a Westchester». «Oh... ma allora lei è Jordan Baker». Ora capivo perché il suo volto mi era familiare; la sua espressione amabilmente altezzosa mi aveva osservato dalle fotografie di molti rotocalchi sulla vita sportiva di Asheville, Hot Springs e Palm Beach. Avevo anche sentito qualche storia sul suo conto, qualcosa di poco lusinghiero, ma di cosa si trattasse non lo ricordavo da un pezzo. «Buonanotte» disse dolcemente. «Ti prego, svegliami alle otto». «Ammesso che ti svegli». «Lo farò. Buonanotte, signor Carraway. Ci rivedremo presto». «Certo che vi rivedrete» confermò Daisy «In effetti stavo proprio pensando di combinare un matrimonio. Cerca di venire spesso a trovarci, Nick, e io troverò il modo di... ehm… farvi mettere insieme. Non so, chiudendovi, per caso, dentro un guardaroba, o magari vi spedisco in mare, vi metterò su una barca, insomma qualcosa del genere». «Buonanotte» gridò la signorina Baker dalle scale. «Io non ho sentito una parola». «È una ragazza molto carina» disse Tom poco dopo. «Non dovrebbero permetterle di andare su e giù per il paese in questo modo». «Non dovrebbero chi?» domandò Daisy freddamente. «La sua famiglia». «La sua famiglia è una zia di quasi mille anni. E poi veglierà Nick su di lei, non è vero Nick? Passerà qui da noi molti fine settimana quest’estate. Credo che l’aria di casa le farà molto bene». Daisy e Tom si guardarono per un istante in silenzio. «È di New York?» mi affrettai a chiedere. «Di Louisville. Ci abbiamo trascorso la nostra immacolata adolescenza. La nostra bella e immacolata...» «Hai fatto un discorsetto a cuore aperto a Nick sulla veranda?» chiese Tom all’improvviso. «L’ho fatto?» Daisy si voltò verso di me. «Non mi sembra di ricordare, ma credo che abbiamo discusso della razza nordica. Sì, ne sono certa. Ci è venuto in mente all’improvviso e poi...» «Non credere a nulla di quello che hai sentito, Nick» mi avvertì Tom. Dissi distrattamente che non avevo sentito proprio nulla e qualche minuto dopo mi alzai per tornarmene a casa. Mi accompagnarono alla porta e restarono fianco a fianco incorniciati in un sereno angolo di luce. Non appena avviai il motore, Daisy gridò perentoria: «Aspetta! Ho dimenticato di chiederti una cosa, ed è importante. Abbiamo sentito dire che sei fidanzato con una ragazza dell’Ovest». «È vero» aggiunse Tom gentilmente. «Ci hanno detto che ti sei fidanzato». «Falsità. Sono troppo povero». «Ma noi l’abbiamo sentito» insisté Daisy, sorprendendomi con quel suo modo di aprirsi simile a un fiore. «Ce l’hanno detto ben tre persone diverse, quindi dev’essere vero». Ovviamente sapevo bene a cosa si riferissero, ma non ero fidanzato nemmeno lontanamente. Il fatto che quei pettegolezzi dessero per pronte le partecipazioni di matrimonio era una delle ragioni del mio trasferimento. Non si può smettere di frequentare una vecchia amica solo per i pettegolezzi, ma d’altra parte, non volevo che le dicerie finissero per costringermi al matrimonio. Questo loro interesse, in un certo senso, mi commosse e me li fece sembrare meno ricchi e distanti; nondimeno, sulla via di casa, mi sentivo confuso e un po’ disgustato. Pensavo che la soluzione migliore per Daisy fosse quella di fuggire da casa con la bimba al collo, ma sembrava non fossero proprio queste le sue intenzioni. Per quanto riguarda Tom, non mi sorprendeva tanto che avesse “una donna a New York”, quanto che fosse rimasto così depresso per la lettura di un libro. Qualcosa lo stava costringendo a rosicchiare i resti di vecchie idee, quasi che il suo possente e brutale egotismo non fosse più sufficiente a soddisfare un cuore autoritario. Era già estate avanzata sui tetti delle case e davanti ai garage della strada dove nuove pompe di benzina rosse erano immerse in pozze di luce e quando raggiunsi la mia abitazione a West Egg, parcheggiai l’auto nella rimessa e sedetti, per un bel po’, su di un rullo per prati abbandonato in giardino. Il vento era calato, lasciando una notte di luci e rumori, battiti d’ala sugli alberi e un persistente suono di organo, come se la possente voce della terra intera gonfiasse di vita le rane gracidanti. La sagoma di un gatto in movimento dondolò contro il chiaro di luna e, voltandomi per seguirne i movimenti, mi resi conto di non essere solo; una cinquantina di metri più in là, dall’ombra della villa del mio vicino, era emersa una figura che ora se ne stava in piedi e con le mani in tasca a contemplare la polvere d’argento del manto stellato. Qualcosa in quei movimenti rilassati e la sicurezza con cui i piedi poggiavano sul prato mi fecero pensare che si trattasse del signor Gatsby in persona, uscito a decidere quale fosse la sua parte di cielo locale. Decisi di chiamarlo. La signorina Baker mi aveva parlato di lui a cena e lo trovai un buon pretesto per presentarmi. Ma non lo feci, perché diede un’improvvisa dimostrazione di quanto fosse appagato nel trovarsi da solo; allungò il braccio verso il mare scuro in un modo strano e per quanto fossi distante, avrei giurato che stesse tremando. Senza volerlo, cominciai a guardare verso il mare, e non distinsi altro che una luce verde, piccola e distante, forse all’estremità di un molo. Quando tornai a guardare verso di lui, Gatsby era svanito, e mi trovai di nuovo nell’oscurità irrequieta.
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