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Speronata

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Blurb

Se non sei mai salita in sella con alcuni dei cowboy di Vanessa Vale, ora ne hai l’occasione! Benvenuta allo Steele Ranch, dove gli uomini sono bellissimi e sanno ciò che vogliono.

Per Cord Connolly e Riley Townsend, si tratta della dolce e peccaminosa Kady Parks.

L’insegnante di Philadelphia scopre di essere l’erede – assieme alle sorellastre di cui ignorava l’esistenza – della fortuna degli Steele, incluso un ranch con veri e propri animali. Invece di trascorrere le vacanze estive a casa, si ritrova a Barlow, Montana. E il West è tanto selvaggio quanto se l’era immaginato, dal momento che due cowboy hanno deciso di considerarla una loro proprietà. E Kady? Lei è pronta a piantare gli speroni e tenersi forte.

 

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Capitolo 1
1 CORD «Cazzo.» L’imprecazione mi sfuggì non appena la vidi. Non c’era altra parola per descriverla. Era troppo bella ed io ero troppo fottuto. Avevo sperato che le foto che avevo visto di lei fossero state sbagliate. Che i suoi capelli non fossero di un bel rosso acceso. Che i suoi riccioli non mi si sarebbero impigliati nelle dita quando l’avrei tenuta ferma per baciarla. Che non avesse delle lentiggini sul naso. O dei seni pieni, dei fianchi morbidi. Un bellissimo sedere sodo. No, una sola occhiata a quelle foto che mi aveva inviato il mio investigatore e mi era venuto subito duro. Era perfetta. E quando le avevo fatte vedere a Riley, lui aveva annuito, d’accordo con me. Non c’era stato bisogno di parole. E adesso, trovandomela di fronte nel suo bel vestitino a fiori, le spalle scoperte ad eccezione di due spalline sottilissime che tenevano su il tutto, mi ritrovavo assolutamente, completamente fottuto. Perchè era mia. Mia e di Riley. Questa donna, la prima figlia degli Steele ad essere stata rintracciata e ad essere venuta nel Montana, era già decisamente rivendicata. Solo che ancora non lo sapeva. E tutto quello che le avevo detto era stato “Cazzo”. E, naturalmente, con quell’unica parola, avevo rovinato tutto. Lei trasalì e sollevò lo sguardo su di me, sorpresa e con una leggera nota di timore negli occhi. Quando fece un passo indietro e si guardò attorno nell’area del ritiro bagagli in cerca di una via di fuga o di qualcuno che potesse aiutarla, strinsi forte la mascella. Già, mi capitava spesso. Ne scopavo tante, ma non le avrei fatto del male. Non le avrei mai fatto del male. Avevo pensato più volte a come sarebbe stato il nostro primo incontro, e non andava così. L’avevo spaventata. Meno male che mi stava guardando in faccia e non si era accorta del modo in cui la mia erezione mi premeva dolorosamente contro la zip dei jeans. Quello avrebbe potuto spaventarla davvero perchè ero enorme. Sotto ogni punto di vista. Non vedevo l’ora di farle scoprire quanto fossi effettivamente grande, penetrandola con ogni singolo centimetro del mio grosso pene nella sua piccola v****a calda. Non era una donna minuta; mi arrivava al mento con indosso quei sandali da cittadina che non le sarebbero serviti a nulla in un ranch del Montana. Erano molto sexy, e pensai alla sensazione che mi avrebbero provocato quei tacchi premuti nella schiena quando le avessi sollevato il bordo dell’abitino sensuale per scoparmela. Sì, la mia erezione non sarebbe di certo svanita presto. Non finchè non mi fossi infilato dentro di lei, soddisfando quel bisogno con una bella scopata. Come se fosse possibile, poi. Quella... brama che provavo per lei non sarebbe mai svanita. Per cui l’erezione rimaneva. Se avesse visto ciò che mi stava facendo, sarebbe fuggita a gambe levate. Era l’ultima cosa che volevo. La volevo il più vicina possibile. Così vicina da trovarmi spinto fino in fondo dentro di lei. Mi schiarii la gola, mi tolsi il cappello, me lo appoggiai contro la coscia e mi coprii con la tesa. Cercai di pensare ad altro che non fosse una scopata. Sì, volevo fare ogni genere di sconceria con lei, sbavarle quel rossetto – diamine, vederlo ricoprirmi il cazzo – ma quello sarebbe successo dopo. Adesso dovevo impedire che fuggisse alla ricerca dell’ufficiale di sicurezza aeroportuale più vicino. Dovevo comportarmi da gentiluomo, anche se avrei voluto essere tutt’altro. «Kady Parks?» chiesi, sollevando una mano come in segno di resa. Magari mi stavo arrendendo davvero, perchè tre settimane prima, praticamente in un battito di ciglia, ero passato da felice scapolo al sentirmi suo. Irrevocabilmente. Vederla nelle foto dell’investigatore – di lei che usciva dalla sua scuola e parlava con un paio di suoi studenti, che portava un sacchetto della spesa fino in macchina, che si dirigeva alla palestra del centro con un tappetino da yoga sotto braccio – mi aveva praticamente tolto dalla piazza. Non sapevo cosa fosse che mi attirava in lei, ma non c’era modo di tornare indietro, ormai. Non che mi stessi lamentando. Affatto. Era da un po’ che volevo sistemarmi, ma non avevo mai trovato quella giusta. Ma da quando il mio investigatore mi aveva mandato le sue foto, lei e soltanto lei aveva popolato le mie fantasie. Nessun’altra donna mi sarebbe mai più andata bene. Mi facevano male i testicoli per il desiderio di prenderla, gettarmela in spalle e portarmela a casa per farla mia nel mio letto finchè non fossi riuscito ad alleviare un po’ la brama che avevo di lei. Il mio cervello – a cui non stava più arrivando sangue dal momento che mi scorreva tutto a sud della cintura – stava cercando di dirmi di rilassarmi. Sarebbe stata mia. Dovevo solamente dire qualcosa di più di “cazzo”. «Sì,» rispose lei. Aveva la voce morbida, melodica e perfetta per lei. Come mi ero immaginato che sarebbe stata. Tuttavia, celava una nota di timore, e dal momento che ero stato io a instillarle quella luce negli occhi e quella vibrazione nella voce, era mio compito sistemare la cosa. Le rivolsi un sorriso piccolo e, speravo, rassicurante. «Mi chiamo Cord Connolly.» Il timore si sciolse dal suo volto come neve al sole, svanendo tanto in fretta quanto era comparso. Riconobbe il mio nome, sapendo che facevo parte del comitato di accoglienza. «Sei enorme.» Si coprì la bocca con una mano, spalancando gli occhi sorpresa. «Scusami! Ovviamente ne sei consapevole,» annaspò, le parole soffocate tra le dita. Le guance le si erano colorate leggermente di rosa per via dell’imbarazzo. A quel punto io risi, facendomi scorrere una mano sulla nuca. «Non preoccuparti. Sono enorme.» Lei lasciò ricadere la mano, ma doveva ancora riprendersi dall’umiliazione, dal momento che stava facendo scorrere lo sguardo ovunque tranne che ad incrociare il mio. «Football professionale?» Lentamente, scossi la testa. «College. Avrei potuto diventare un professionista, ma ho scelto un’altra strada.» Lei piegò la testa di lato, i capelli che le scivolavano sulla spalla scoperta. Rimasi incantato da quella vista, geloso del modo in cui un ricciolo ribelle le accarezzava la pelle pallida. Mi chiesi se evitasse il sole o se si ricoprisse di crema protettiva. E ciò deviò i miei pensieri sull’idea di spalmarle lozione su tutto il corpo. Senza perdermi neanche un centimetro. Mi schiarii la gola. «Militare.» «Oh, be’. Grazie per aver servito la patria.» Annuii leggermente, non abituato a sentirmi ringraziare per ciò che avevo fatto. Era stato un lavoro, uno che avevo svolto bene prima di uscirne, di avviare la mia agenzia di sicurezza personale. Il mio passato non era poi così interessante, per cui cambiai argomento. «C’è anche Riley Townsend, sta parcheggiando il furgone.» Feci cenno con la testa in direzione delle porte scorrevoli da cui ero entrato. «Mi spiace di essere arrivati tardi a prenderti.» Lei sorrise ed io repressi un gemito. Aveva le labbra piene, con un lucidalabbra brillante. Una specie di rosso. O prugna. Un colore dal nome femminile. Era così maledettamente frivola, tutto l’opposto di me. Delicata. Fragile. Alto più di un metro e novanta per centodieci chili, in confronto io ero un uomo di Neanderthal. No. Un uomo delle caverne. La razza più basilare di un uomo che trovava una donna e voleva gettarsela in spalle per portarsela nella propria caverna. Per tenersela. Per rivendicarla. Per marchiarla. «Non c’è problema. Il mio volo è atterrato in anticipo.» Mi schiarii nuovamente la gola, riflettendo su quanto davvero desiderassi marchiarla, quanto desiderassi vedere il mio seme gocciolarle da quelle labbra piene o magari ricoprirle il ventre e il seno. Colarle tra le gambe lungo le cosce. O bagnarle l’ano vergine. Oh sì, quella piccola apertura doveva ancora essere violata. Solo a guardarla ne avevo la certezza. Non c’era modo che qualcuno potesse aver già rivendicato quel premio. Non dissi nulla. Non potevo. Non avevo parole. Non mi funzionava il cervello. Ce ne restammo lì in piedi a fissarci. Non riuscivo a distogliere lo sguardo. Non riuscivo a credere che fosse reale. Tutta pelle di pesca color crema e profumo di limone. Era lì. Sarebbe stata mia. Nostra. Dovevo solamente fare in modo di non rovinare tutto. Cazzo. Questa volta, tenni quella parola per me. Continuavo a pensare mia, mia, mia, come una litania. Un disco rotto. Strinsi un pugno per impedirmi di allungare la mano, di accarezzarle i capelli setosi, facendole scorrere le dita lungo la linea allungata del collo, sulla clavicola delicata che le spuntava dalla spallina del vestito. Gli atri passeggeri si muovevano attorno a noi. Un bambino stanco piangeva in un passeggino che ci passò accanto. Il messaggio di sicurezza registrato risuonava dagli altoparlanti nascosti. Nessuno si accorse della scarica elettrica che ci attraversò. Il modo in cui l’aria scoppiettò di desiderio. Di brama. Di attrazione istantanea. Lei non ne rimase immune. Di certo, si mostrò sorpresa. A giudicare dal modo in cui i capezzoli le premevano contro il tessuto leggero dell’abito, le piaceva ciò che vedeva, magari molto più di quanto non si aspettasse di trovare di suo gradimento. Mi rimaneva solo da chiedermi se bramasse accogliermi tra le sue gambe. «Eccoti.» La voce di Riley ruppe l’incantesimo e Kady si voltò a guardare il mio amico che ci raggiungeva. Il suo marito che ci raggiungeva. Sì, saremmo stati i suoi mariti. Non solo Riley. Entrambi. Strano, sì, ma non me ne fregava un cazzo. La stavamo rivendicando. Non che l’avremmo fatto presente, in quel momento, ma se ce la fossimo portata a letto, se le avessimo fatto tutte le cose che pensavo di farle – e altre ancora – alla fine avrebbe avuto il nostro anello. Non le avremmo mai mancato di rispetto a quel modo. Kady guardò Riley mentre si avvicinava. Il sorriso caldo che aveva sul volto era il suo solito,ma in qualità di suo migliore amico, sapevo che il passo accelerato era dovuto al desiderio impellente di conoscerla così come era stato per me. Tuttavia, dal momento che aveva guidato lui e aveva dovuto parcheggiare, io ero stato fortunato e l’avevo trovata per primo. «Kady. È un piacere incontrarti, finalmente, dopo tutte le email e le telefonate. Riley Townsend.» Riley allungò una mano e prese la sua, la strinse e poi non gliela lasciò andare. Educatamente, lei sorrise in automatico, ma io notai i suoi occhi illuminarsi mentre lo esaminava. Sì, era interessata. Meno male. Se io e Riley avessimo voluto una relazione come tutte le altre, sarei stato geloso del modo in cui Kady stava studiando ogni singolo centimetro del suo corpo. I suoi capelli buondi, i suoi occhi azzurri, il suo sorriso pronto. Era alto quasi quanto me, ma aveva il fisico di un corridore, non di un difensore di football. Di lui non aveva paura. No, non si era nemmeno accorta del fatto che le stesse ancora tenendo la mano. «Voi due vi siete di certo mangiati tutte le verdure che vi dava la mamma da piccoli,» commentò, le sue parole velate da una traccia di umorismo che le curvò leggermente gli angoli delle labbra. Gli occhi le brillavano. «Sissignora,» rispose Riley, rivolgendole quel suo sorrisetto sghembo che faceva eccitare tutte le donne. «Le altre sono già arrivate?» chiese lei, guardandosi attorno. Non era immune al bell’aspetto di Riley, ma era troppo una signora per concedersi così a lui. Se non altro lì in aeroporto. «Le tue sorelle?» domandai io, desiderando che mi guardasse. Lei lo fece ed io avrei potuto giurare di scorgere delle pagliuzze dorate nei suoi occhi oltre al verde smeraldo delle iridi. «Sorellastre,» specificò Riley, nonostante conoscessi bene la differenza. «Per quanto abbiamo trovato cinque di voi, cinque figlie di Aiden Steele che hanno ereditato parti uguali di questo ranch e di questa tenuta, siamo stati in grado di contattarne solamente tre.» «Quello è compito mio. Rintracciare le altre due come ho fatto con te,» approfondii. «E in quanto avvocato della tenuta, io mi occupo delle scartoffie,» Riley si battè il petto. «Sono io che ti ho spedito i documenti da firmare.» «Ancora non ci credo che stia succedendo. Di trovarmi qui.» Le sue dita giocherellavano con la tracolla della borsa. Era nervosa, sebbene lo stesse nascondendo bene. Non per colpa nostra, ma aveva appena socperto di avere un padre che non aveva mai conosciuto che era morto e le aveva lasciato un’ampia eredità e di avere quattro sorellastre. Sarei stato un po’ sconvolto anch’io. «Sono stata fortunata ad avere le ferie estive a scuola ed essere stata in grado di venire qui.» «Buon per noi,» commentò Riley, facendole scorrere lo sguardo su ogni centimentro del corpo. Lei arrossì di nuovo ed io osservai il colorito scenderle lungo il collo e sotto la scollatura dell’abito. Quanto in basso sarebbe arrivato? Fu a quel punto che si ricordò della propria mano e la ritrasse dalla presa di Riley. Io mi accigliai. Sì, ero geloso di lui dal momento che era riuscito a toccarla. Scommetto che la sua pelle era morbida. Niente calli alle mani. Ce le aveva anche così piccole. Era così fottutamente... fragile. «Non posso credere di avere delle sorellastre di cui non conoscevo l’esistenza. Niente fratellastri?» Riley scosse la testa. «Non che sappiamo. Steele» - Riley si schiarì la gola - «si è divertito un po’in giro.» Aiden Steele era stato un donnaiolo. Mai sposato, aveva vissuto la vita dello scapolo. Una vita da scapolo che se l’era data alla pazza gioia. Certo, non che io fossi un monaco, ma se non altro usavo un cazzo di preservativo, ogni maledetta volta, invece di mettere incinta una sfilza di donne in giro per tutto il paese. Lui se l’era scopate e le aveva abbandonate. Tutte quante. Kady arrossì nuovamente. Sapevo dal suo fascicolo – dalle informazioni che la mia squadra aveva raccolto sul suo conto – che aveva ventisei anni. Non era dunque una verginella puritana. Però era un’insegnante. Di seconda elementare. Non andava a letto con tutti. Aveva avuto due relazioni durature che eravamo riusciti a scoprire. Niente festeggiamenti folli. Niente fumo o droghe. Non aveva mai visto il lato vulnerabile della società che io invece conoscevo fin troppo bene. Me ne ero sporcato le mani, con le crudeltà del mondo. Nel vedere il suo sorriso, la sua natura dolce, sapevo che nulla di tutto ciò l’aveva mai sfiorata. Sarebbe stato nostro compito, ora, assicurarci che le cose rimanessero così. Ma suo padre- «Non stiamocene qui,» disse Riley, interrompendo i miei pensieri. «Hai fatto un lungo viaggio e sono certo che tu sia stanca. Sono queste le tue valigie?» chiese, aggirandola per raggiungere i due grandi bagagli alle sue spalle. Una volta che lei ebbe confermato che erano sue, ne sollevò i lunghi manici e ci fece strada fuori dalla sala di ritiro bagagli, trascinandole entrambe. «Dammi, lascia che prenda l’altra,» dissi io, sporgendomi per prenderle la borsa a tracolla. Era pesante; un gioco da ragazzi per me, ma per lei sarebbe stato un fardello. Seguimmo Riley attraverso le porte scorrevoli e uscimmo alla luce accecante del sole. «Sei mai stata nel Montana prima d’ora?» le chiesi, camminandole accanto sulle strisce pedonali verso il parcheggio. Quando il furgone di un hotel non sembrò rallentare, mi fermai e lanciai all’autista un’occhiataccia mentre esortavo Kady in avanti con una mano sulla sua schiena. Esatto, stronzo. Ci sono io a proteggerla, adesso. «No. Prima volta. A dirla tutta, non sono proprio mai stata nel west. Philadelphia è molto lontana da qui.» Diede uno sguardo alle montagne in lontananza. «È proprio il paese del Big Sky.» L’aeroporto di Bozeman si trovava in una valle, con le Bridger Mountains appena a nord e altri piccoli rilievi che si trovavano più lontano, ma offrivano una vista spettacolare, specialmente per qualcuno che non aveva mai visto qualcosa di simile fino a quel momento. Riley aveva abbassato il portellone del pickup e stava caricando le valigie mentre noi lo raggiungevamo. Io le aprii la portiera lato passeggero. «Io sono stato in Pennsylvania. Un sacco di alberi,» commentai. «Già, un sacco di alberi.» Lei guardò il sedile, poi me. Rise. «Come ci salgo là sopra?» Per me, la cabina del furgone di Riley era proprio all’altezza giusta. Dovevo solamente mettere un piede sul predellino ed ero dentro. Ma per Kady, con un bel vestitino, dei tacchi e la sua costituzione minuta, la doppia cabina si trovava ben in alto. Specialmente viste le sospensioni installate da Riley. Le misi le mani sulla vita – così maledettamente sottile che con la punta delle dita le sfioravo la colonna vertebrale – e la sollevai facendola salire direttamente sul sedile. Praticamente non pesava nulla, ma era calda e morbida sotto il vestito leggero. Il suo sussulto sorpreso le sollevò il seno e il leggero rigonfiamento che sporgeva dallo scollo a V dell’abito attirò la mia attenzione. Lentamente, sollevai lo sguardo sul suo viso e mi resi conto di essere stato beccato. Tra il leggero rossore sulle guance e il modo in cui le si scurì lo sguardo, non sembrò darle fastidio. I miei occhi le caddero sulle labbra, leggermente dischiuse, come se stesse respirando con la bocca. Ansimando. Tutto ciò che avrei dovuto fare era sporgermi di qualche centimetro e ci saremmo baciati. Lo desideravo più di qualsiasi altra cosa. Lei lo voleva. Non si stava spostando, non stava distogliendo lo sguardo da me. Ma quando Riley aprì la portiera dal lato dell’autista e saltò a bordo, l’incantesimo si spezzò. Di nuovo. Diamine. Non avrebbe dovuto mettersi in mezzo. Distratto dalle mie riflessioni sul gusto che avrebbero avuto le sue labbra, afferrai la cinura, gliela feci passare attorno e la fissai. Feci un passo indietro e chiusi la portiera. Sebbene il furgone di Riley fosse immenso, con un’intera seconda fila di sedili abbastanza spaziosa da ospitare una squadra di taglialegna, o un ex militare che faceva la guardia di sicurezza della stazza di un carroarmato, mi ero sempre rifiutato di sedermici. Fino ad ora. Adesso volevo essere in grado di guardare Kady durante il tragitto verso il ranch quanto mi pareva. Avrei potuto esaminare il suo profilo, vedere l’espressione sul suo volto, il modo in cui i seni le ondeggiavano ad ogni buca o avvallamento sulla strada. «Dove siamo diretti?» chiese lei mentre Riley usciva dal parcheggio e si immetteva sull’autostrada in direzione ovest. «Lo Steele Ranch. La tua nuova casa.» Non per molto. Se tutto fosse andato secondo i nostri piani, sarebbe stata nei nostri letti, in casa nostra. Poteva aver ereditato un ragguardevole pezzo di storia del Montana, ma era comunque nostra.

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