Capitolo 4

1239 Words
Capitolo 4 Peterson guidava la sua auto, ad un’andatura normale, felice di essere riuscito ad individuare la ragazza. Finalmente, l’aveva trovata. La figlia di Riley era lì e camminava da sola verso la scuola, senza neppure immaginare di essere seguita e di stare per morire. Mentre la guardava, la vide fermarsi improvvisamente e voltarsi, come se sospettasse di essere osservata. La ragazza restò ferma lì, come indecisa. Qualche altro studente le passò davanti, entrando nella scuola. Peterson continuò a guidare, aspettando di vedere la prossima mossa della giovane. Non che a lui importasse di lei in modo particolare. Il vero bersaglio della sua vendetta era Riley, la donna che aveva rovinato tutto e doveva pagare. Lo aveva già fatto, in un certo senso; in fondo lui aveva spinto Marie Sayles al suicidio. Ma ora, doveva portarle via la ragazza, che era la persona che contava di più per la donna. La ragazza, con sua grande gioia, cominciò a tornare indietro e ad allontanarsi dalla scuola. Sembrava che avesse deciso di non andarci quel giorno. Il cuore dell’uomo batteva forte, voleva catturarla. Ma non poteva. Doveva sforzarsi di essere paziente. C’erano ancora altre persone in giro. Peterson proseguì e girò intorno all’isolato, forzandosi a pazientare, mentre a stento tratteneva il sorriso, pregustando la gioia dell’azione. Quello che aveva in mente per la figlia avrebbe fatto soffrire Riley in un modo che non pensava possibile. Inoltre, per quanto allampanata e goffa, la ragazza assomigliava molto a sua madre e questo gli avrebbe dato ancora più soddisfazione. Mentre girava intorno all’isolato, vide che la ragazza stava camminando a passo svelto lungo la strada. Si fermò e rimase ad osservarla per alcuni minuti; infine la vide incamminarsi per una strada, che conduceva fuori città. Se fosse tornata a casa da sola, quello sarebbe stato il momento perfetto per rapirla. Col cuore che batteva forte, pregustando il piacere della vendetta, Peterson girò intorno ad un altro isolato con la sua auto. Bisognava saper rinviare certi piaceri, Peterson lo sapeva, per cogliere il momento giusto. Una gratificazione rinviata rendeva tutto più piacevole. Lo aveva imparato in anni di crudeltà perpetrata per il suo piacere. Vale davvero la pena di aspettare, pensò con soddisfazione. Quando tornò indietro e la vide di nuovo, Peterson scoppiò in una sonora risata. Stava facendo l’autostop! Dio era con lui quel giorno. Senza dubbio era destinato a prendersi la vita di quella ragazza. Accostò l’auto a lei, e le sorrise nel modo più piacevole possibile. “Vuoi un passaggio?” La ragazza contraccambiò con un grosso sorriso. “Grazie. Sarebbe grandioso.” “Dove sei diretta?” domandò. “Vivo poco dopo fuori città” e gli diede l’indirizzo. L’uomo rispose: “Sto andando proprio da quelle parti. Salta su.” La ragazza salì accanto a lui. Con sua grande gioia, Peterson si accorse del fatto che aveva persino gli occhi nocciola della madre. Peterson premette i bottoni per la chiusura di sportelli e finestrini. Al tranquillo rimbombo dell’aria condizionata, la ragazza non ci fece neanche caso. * April sentì una piacevole scarica di adrenalina, mentre allacciava la cintura di sicurezza. Non aveva mai fatto l’autostop prima d’ora. La madre sarebbe andata su tutte le furie, se lo avesse scoperto. Naturalmente, April si diceva che sarebbe stata una buona lezione per la madre. Era stato davvero un gesto scorretto averla mandata a dormire dal padre la sera precedente — e tutto a causa di quella sua folle idea, secondo cui Peterson era stato in casa loro. Non era vero, ed April lo sapeva. I due agenti che l’avevano accompagnata a casa del padre avevano detto così. Da quello che si erano detti tra loro, sembrava che l’intera agenzia fosse convinta che la madre fosse un po’ fuori di testa. L’uomo disse: “Allora, che cosa ti porta a Fredericksburg?” April si voltò a guardarlo. Aveva un aspetto gradevole, una grande mascella con la barba corta e capelli poco curati. Stava sorridendo. “La scuola” fu la risposta di April. “Lezioni estive?” l’uomo domandò. “Sì” April rispose. Certo non gli avrebbe rivelato la sua decisione di saltare la scuola. Non che sembrasse il tipo di persona pronta a scandalizzarsi, anzi: sembrava piuttosto simpatico. Forse le avrebbe persino dato una mano a sfidare l’autorità genitoriale. Ma era meglio non tentare la sorte. Il sorriso dell’uomo divenne un po’ malizioso. “E dimmi, che cosa ne pensa tua madre dell’autostop?” le chiese. April arrossì, imbarazzata. “Oh, non è un problema per lei” la ragazza rispose. L’uomo sogghignò. Non fu un suono molto piacevole. E qualcosa scattò nella mente di April. Le aveva chiesto che cosa ne pensasse la madre, non quello che ne pensavano i genitori. Che cosa lo aveva indotto a dire così? C’era molto traffico, a quell’ora del mattino nelle vicinanze della scuola e ci sarebbe voluto un po’ per arrivare a casa. April sperava che l’uomo non avrebbe continuato quella conversazione. Quello sarebbe potuto essere davvero strano. Ma, dopo un paio di isolati superati in silenzio, April si sentì ancora più a disagio. L’uomo aveva smesso di sorridere, e la sua espressione le sembrava piuttosto severa. Notò che tutti gli sportelli erano chiusi. Provò a premere di nascosto il pulsante del finestrino dal lato passeggero ma non successe nulla. L’auto si fermò dietro in coda, in attesa che il semaforo diventasse verde. L’uomo attivò la freccia a sinistra. April fu assalita da un’ansia improvvisa. “Um … dobbiamo proseguire dritto qui” lei disse. L’uomo non disse niente. Forse non l’aveva sentita? Per qualche strana ragione, non riusciva a trovare la forza di ripeterlo. E, dopo tutto, forse pensava di prendere una strada diversa. Ma no, non riusciva neppure ad immaginare come potesse riportarla a casa, andando in quella direzione. April si chiese che cosa fare. Doveva gridare aiuto? Qualcuno l’avrebbe sentita? E l’uomo non aveva sentito quello che lei aveva detto? Non significava che volesse farle del male dopotutto? Tutto sarebbe stato orribilmente imbarazzante. Poi, la giovane vide una sagoma familiare percorrere il marciapiede, con lo zaino in spalla. Era Brian, il suo, per così dire, ragazzo di quei giorni. Picchiò forte sul finestrino. Fu sollevata, quando Brian si guardò intorno e la vide. “Vuoi un passaggio?” mimò con le labbra a Brian. Brian fece un largo sorriso e annuì. “Oh, è il mio ragazzo” April disse. “Possiamo fermarci e dargli un passaggio, per favore? Comunque, deve fare la stessa strada che porta a casa mia.” Era una bugia. April non aveva proprio idea di dove fosse diretto Brian. L’uomo aggrottò le sopracciglia e grugnì. Non era affatto contento di ciò. Si sarebbe fermato? Il cuore di April batteva forte. Brian stava parlando al cellulare, fermo sul marciapiede ad attendere. Ma stava guardando verso l’auto ed April era sicura che da lì potesse vedere il guidatore molto chiaramente. Fu contenta di avere un potenziale testimone, nel caso in cui l’uomo avesse qualcosa di brutto in mente. L’uomo studiò Brian; lo vide parlare al cellulare e poi guardarlo dritto negli occhi. Senza dire una parola, l’uomo sbloccò le sicure delle portiere. April indicò a Brian di salire in auto, sui sedili posteriori, così aprì la portiera e saltò dentro. Subito dopo, il semaforo divenne verde e la fila di auto riprese ad avanzare. “Grazie per il passaggio, signore” Brian disse allegramente. L’uomo non parlò, le sopracciglia sempre aggrottate. “Ci sta portando a casa mia, Brian” April si rivolse al ragazzo. “Fantastico” Brian rispose. April ora si sentì al sicuro. Se l’uomo aveva davvero cattive intenzioni, senz’altro non avrebbe fatto del male a entrambi. Senza dubbio, li avrebbe accompagnati dritto a casa dalla madre. April si chiese se avrebbe dovuto riferire alla madre dell’uomo e dei sospetti che nutriva nei suoi riguardi. Ma no, questo avrebbe significato ammettere di aver marinato la scuola e aver fatto l’autostop: sarebbe stata messa in punizione per sempre. Inoltre, pensò che il guidatore non poteva essere Peterson. Peterson era un killer psicotico, non un uomo normale, che guidava un’auto. E, dopotutto, Peterson era morto.
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