Capitolo I

1392 Words
Capitolo IVillaggio di Saohur in Giudea Quindicesimo giorno del mese di Tishrei dell’anno 3758 dalla Creazione del Mondo A svegliare il piccolo Daniel fu un concerto di voci, rumori, richiami, belati e scampanellii. Gli ci vollero alcuni istanti per schiarirsi la vista e le idee. Era sempre a cavalcioni sul dorso dell’asino di suo padre Aaron. Ne sentì il pelo ruvido sotto la guancia e l’afrore del suo sudore prima ancora di aprire gli occhi. Si stropicciò le palpebre con le manine intirizzite dal freddo e si guardò intorno con gli occhi ancora impastati di sonno. Non erano più soli. Intorno a loro, lungo la strada che portava a Beit Lechem – la Casa del Pane – c’erano molte altre persone: riconobbe alcuni pastori che aveva incontrato nei giorni precedenti, ma la maggior parte erano uomini e donne che non aveva mai visto prima. Tutti parlavano tra loro, a bassa voce, in un borbottio sommesso che rendeva i discorsi incomprensibili e che rimbombava nella valletta tra le colline. Bisbigliavano come se avessero paura di farsi sentire da qualcuno. Fu la luce che brillava nel cielo a ricordare al bambino quello che era successo la sera prima. Insieme a suo padre e al loro piccolo gregge di capre avevano trovato rifugio per la notte in un ovile abbandonato nei dintorni di Saohur, un villaggio della Galilea. Abba Aaron era uno dei tanti pastori che, con l’arrivo della stagione più fredda, si spostavano nelle fertili pianure a sud di Gerusalemme con le greggi. Per la prima volta al piccolo Daniel era stato concesso l’onore di seguire il genitore per imparare il mestiere. Aveva cinque anni e presto sarebbe stato in grado di dare una mano a far quadrare i conti della famiglia. Ormai era grande, era giusto che si guadagnasse da vivere aiutando suo padre con le bestie. Ma quella sera era successo qualcosa di strano. Ricordava ancora l’espressione turbata e sorpresa dipinta sul volto del genitore quando era rientrato nell’ovile. Era appena uscito per andare alla fonte a riempire l’otre d’acqua. Ma era tornato subito con il viso pallido e stravolto. Sembrava che avesse visto un fantasma. Aaron ben Amos era un uomo forte, di circa quarant’anni, con la barba incolta e i lunghi capelli tenuti fermi da un laccio di pelle che gli incorniciavano il viso bruciato dal sole. Una persona di poche parole e di rapide decisioni: nella sua breve vita suo figlio non l’aveva mai visto dubbioso o incerto sul da farsi. Ma quella volta… Preoccupato, il bambino si era alzato dal giaciglio di paglia senza riuscire a capire cosa potesse essere successo di tanto grave. Poi aveva guardato oltre la porta senza ante e, anche lui, aveva visto il prodigio. Era rimasto a bocca aperta. Una scia abbagliante attraversava il cielo della Giudea illuminando la valletta sottostante di un tetro chiarore. Guardandola bene sembrava che si muovesse lentamente, squarciando l’oscurità della notte. E la sua luce fredda e innaturale dava alle rocce e agli arbusti un aspetto spettrale. Anche le capre, chiuse nel recinto, belavano agitate, muovendosi strette in gruppi come quando fiutavano la presenza di uno sciacallo del deserto. Daniel ben Aaron aveva solo cinque anni e un’immaginazione capace di accettare senza esitazione le storie fantastiche che si raccontavano nelle lunghe notti di veglia nel deserto di Giuda. Credeva alle favole sui perfidi mazzikim, i demoni dispettosi del deserto, e alle leggende sui ruchot, gli spiritelli burloni. Ma, questa volta, neppure la sua agile mente di bambino riusciva a fornirgli una spiegazione accettabile per ciò che aveva davanti agli occhi. Lui e suo padre erano rimasti stretti l’uno all’altro di fronte a quel fenomeno mai visto. Facendosi coraggio, il bambino aveva guardato dritto verso la luce: sembrava una stella, solo che era molto più grande delle altre e pareva sfiorare la cima delle colline che circondavano la valletta. «Che cos’è, abba?» «Gam zu L’Tovah! Non lo so, figlio mio… Non ho mai visto nulla di simile prima d’ora.» Poi Aaron lo aveva afferrato per il braccio: «B’Ezrat HaShem! Nel nome dell’Onnipotente, andiamo! Dobbiamo fare presto!». Velocemente aveva raccolto le loro cose, slegato l’asino: «Lasceremo il vecchio David a badare agli animali. Voglio vedere dove va quella luce». Poi padre e figlio si erano incamminati nella direzione che la strana stella sembrava indicare. Per un po’ avevano proseguito in silenzio. Il bagliore nel cielo sembrava essersi allontanato e non illuminava più direttamente il sentiero davanti a loro. Tutto intorno era buio, silenzioso. Dopo l’eccitazione del primo momento, nella sua mente di bambino tutto era tornato al suo posto. Lo stupore per quello che aveva visto si era lentamente placato. D’altra parte era tardi, aveva corso tutto il giorno dietro le capre e gli era venuto un gran sonno. Per un po’ era stato zitto, poi non era riuscito a trattenere la domanda che gli ronzava per la testa. Non capiva perché fosse così importante inseguire quella cosa splendente. E non sentiva il bisogno di quella insolita gita notturna. Avrebbe preferito essere al calduccio, sotto le coperte: «Padre, dove stiamo andando? Sono stanco…». «Voglio vedere dove si ferma la stella…», gli aveva risposto il genitore con un borbottio. Poi lo aveva sollevato di peso per metterlo in groppa all’asino. Dalla bisaccia aveva tratto un tallit di lana pesante e glielo aveva stretto sulle spalle. E così Daniel, cullato dal placido ritmo dei passi dell’animale, aveva finito per addormentarsi abbracciato alla sua criniera. Poi i rumori l’avevano nuovamente svegliato. Aveva guardato verso il cielo nero della notte. La luce ora sembrava molto più vicina. Seguendo la gente in cammino, padre e figlio imboccarono uno dei tanti sentieri che si inerpicavano per la montagna e giunsero infine a una radura incastonata tra ripide pareti di roccia. Conosceva bene quella zona. Lì, sul fianco del monte, si aprivano delle grotte che davano rifugio ai pastori e alle greggi. E anche lui e suo padre ci avevano dormito spesso nelle ultime settimane, scaldati dal calore delle capre. Ma quella notte ogni cosa pareva diversa. La stretta gola tra i monti, illuminata dalla luce livida della stella, brulicava di gente. Ovunque si vedevano luci in movimento, fiaccole, lampade. Il via vai era incessante, sembrava di essere nella piazza del caravanserraglio di Chamaan da dove partivano le grandi carovane per Mitzráyim, la terra d’Egitto. Le voci, non più sommesse, riempivano il silenzio di richiami. E al centro dell’attenzione c’era una grotta proprio di fronte a loro. La luce misteriosa sembrava essersi fermata proprio lì sopra e brillava più intensamente di prima: la gente si accalcava nel disperato tentativo di sbirciare all’interno. Anche Aaron si era avvicinato, aveva legato l’asino a uno dei recinti e si era diretto verso il punto dove c’era maggiore confusione. «Vieni, figlio mio!», disse a Daniel, allungando le braccia verso di lui per afferrarlo e caricarselo sulle spalle. Poi si era avviato a passo deciso verso l’ingresso della caverna. «Amico mio. Che succede?», chiese a un giovane che, come lui, si faceva largo tra i curiosi. Probabilmente era uno studente della Torah con i due lunghi payot, i riccioli incolti che gli scendevano sulle guance barbute. «Ma come? Baruch HaShem, amico… Non hai saputo dell’angelo?» Il ragazzo sembrava in preda a un’estasi mistica. Con le braccia rivolte al cielo, declamava a voce alta brani delle Sacre Scritture. L’espressione interrogativa che si era disegnata sul volto di Aaron fu per lui un chiaro invito a continuare. «Lo hanno visto in tanti… Era proprio il malak, il messaggero di HaShem. Le sue benedizioni sono su di noi… Gavriel, il capo delle schiere celesti in persona è apparso a un gruppo di pastori in tutto il suo splendore. È sicuro, l’hanno raccontato loro stessi!», gli spiegò con voce concitata. «Ha annunciato l’avvento del Messia, di colui che viene a salvare il Popolo Eletto e a condurlo poi verso un futuro di splendore e di gloria. Sta succedendo tutto com’è scritto nel Nevi’im, nel libro di Michea! Qui, sotto i nostri occhi: “E tu Beit Lechem, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà un capo che pascerà il mio popolo, Israel”. Aaron non aveva fatto in tempo a chiedere altro che coloro che si accalcavano dietro di lui lo spinsero ancora più avanti. Presto, seguendo il flusso dei presenti, padre e figlio si trovarono dentro la caverna.
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