Capitolo 1-1
1
Lindsey Walters, Incrociatore Jefferson, Stiva
L’incubo cominciava sempre nello stesso modo. I raggi del sole che mi scaldano la faccia e io che non riesco a smettere di sorridere. Mio figlio Wyatt che cammina di fianco a me, il suo visino dolce tutto eccitato mentre lo accompagno nel posto che preferisce sulla faccia della Terra, il parco giochi vicino a casa nostra.
Io indosso un prendisole a strisce gialle e bianche, uno che mia madre e Wyatt mi hanno comprato per la Festa della Mamma. Sull’orlo ci sono ricamate delle margheritine gialle con allegri gambi verdi. La piccola testolina bionda di Wyatt mi arriva a malapena all’altezza della vita e la sua mano è calda e morbida, così piccola e dolce mentre la stringo nella mia.
Suo padre se n’era andato da tempo. Un ragazzo dei tempi del college che non appena aveva sentito la parola incinta se l’era data a gambe come il più veloce dei codardi. Non questa gran perdita. Il sesso con lui era un mortorio. Mancava la famosa scintilla. Nessuno era mai riuscito ad accendere il mio fuoco. Non lo vedevo da allora, e mi ero rifiutata di mettere il suo nome sul certificato di nascita di Wyatt. Per me, era stato un semplice donatore di sperma che non era in grado di farmi venire.
Wyatt era mio, e io avrei fatto di tutto per lui. Avrei mentito, rubato, ucciso per lui. Era il mio bambino dai pallidi occhi blu, con delle fossette così tenere che mi facevano dolere il petto.
Nel mio incubo ci sono gli uccellini che cantano e una brezza leggera che smuove le cime degli alberi. Wyatt solleva la testa e mi sorride… e il cuore quasi mi scoppia d’amore, e tutto quanto cambia.
Ci ritroviamo in macchina. Le ruote stridono. I vetri scoppiano. Il mio bambino urla, poi piange… poi c’è silenzio.
E sangue. C’è sangue dappertutto.
L’ospedale, degli spogli muri bianchi e delle infermiere che si accigliano. I loro occhi sono pieni di pietà.
Il corpo piccolo e infranto di Wyatt giace inconscio nel lettino, il dottore mi dice che potrebbe perdere la gamba. Che non potrebbe più camminare senza soffrire. Non potrebbe correre mai più. Non potrebbe più giocare in quel parco giochi che ama così tanto.
Il cuore mi batte forte nel petto, come sempre, ma io questo sogno lo conosco bene.
Mi guardo intorno e mi aspetto di vedere mia madre che rannicchiata ed esausta nella sedia nell’angolo della stanza di Wyatt, con indosso dei vestiti sgualciti e gli occhi pieni di preoccupazione. Gli stessi occhi blu di Wyatt. Li ha presi da lei.
Invece della stanza di ospedale e dell’espressione preoccupata di mia madre, dietro di me c’è un uomo. I suoi occhi scuri sono confusi tanto quanto i miei.
“Chi sei?” mi chiede. La sua voce rimbomba nel mio sogno.
Sbatto lentamente le palpebre e la stanza d’ospedale svanisce. Wyatt svanisce, e non rimaniamo che io… e lui. E, Dio mi aiuti, era sexy. Era il sesso fatto persona. Volevo leccarlo da capo a piedi.
Per essere un sogno, questo era di gran lunga meglio della stanza 101 dell’ospedale, la stanza che sognavo quasi ogni notte. Sapevo che nel mondo reale Wyatt dormiva al sicuro nel suo letto, che l’incidente in auto era accaduto circa tre mesi prima, che mia madre si stava prendendo cura di lui fino a quando io non sarei ritornata da questa missione tanto pericolosa quanto disperata. Wyatt non era qui con me. Questo non era reale. Niente di tutto ciò era reale.
Ma l’uomo è in piedi vicino a me, immobile, come un cacciatore che guarda la sua preda. Aspetta che io gli risponda.
“Mi chiamo Lindsey,” dico.
Mi viene incontro. Ci troviamo in un luogo che è un nulla. Non ci sono muri né pavimenti. È come essere in piedi in mezzo alla nebbia fitta, guardandoci l’un l’altro negli occhi. Io rimango ferma, e lui si avvicina: voglio sentire il suo tocco, voglio godermi questa fantasia partorita dalla mia mente stressata. Sì, una pausa mi avrebbe fatto bene. Forse ho guardato il nuovo film di Superman qualche volta di troppo, e se il mio corpo affamato di sesso, il mio corpo sfiancato, ha creato una versione più grossa, più oscura e più sexy del mio supereroe preferito… beh, allora io non mi lamento. Quest’uomo, quest’uomo incredibile, è il mio sogno, e ho tutta l’intenzione di godermi ogni singolo minuto.
Si avvicina e per guardarlo devo inclinare la testa all’indietro. Mi accorgo che deve essere alto almeno un metro e novanta, forse anche di più, ed è muscoloso come un giocatore di football. Ha i capelli tanto scuri da essere quasi neri, gli occhi profondi e seduttivi, di un marrone scuro come il mio caffè preferito, ma con dei bagliori dorati attorno alla pupilla. La sua pelle è perfetta e olivastra, come un Adone. Sulla mascella ha una leggera peluria, abbastanza da farmi capire che i suoi baci sui miei seni mi lasceranno un sacco di graffi. Basta quel pensiero per farmi inturgidire i capezzoli, basta pensare a quelle labbra che mi succhiano e mi tirano i seni. Indossa degli stivali neri, dei pantaloni neri e una maglia nera che forse sono sbucate fuori dal nulla. Ma i dettagli non mi interessano. Non mi interessa sapere da dove lui sia saltato fuori – ovunque fosse, ora lui è nel mio sogno. Ed è mio.
Lentamente solleva la mano per accarezzarmi i capelli. Lascia correre le ciocche dorate sulle sue dita, come ne fosse ipnotizzato. Io mi aspettavo un tocco rude, è troppo grosso per essere così esitante, ma mi sono sbagliata. È gentilissimo. Tenero. E così anche la sua voce. “Lindsey. Non puoi essere vera.”
Non riesco a non sorridere. Non sono vera? Esatto. Niente di tutto ciò è reale. Non può esserlo. Ma riesco a sentire il calore del palmo della sua mano sulla testa.
“Come ti chiami?” gli chiedo io.
“Kiel. Sono un Cacciatore.”
Un Cacciatore? Beh, non s’addice questa definizione alla mia fantasia sul supereroe sexy da morire? Yum. “Mi stai dando la caccia?”
Ti prego dì di sì. Ti prego, ti prego, ti prego dì di sì. Può darmi la caccia, spogliarmi, sbattermi contro il muro e scoparmi fino a farmi urlare. Non avevo mai avuto un orgasmo senza l’aiuto del mio amico a batterie. Erano cinque anni che non venivo toccata da un uomo.
Non da quando era nato Wyatt. Non dopo aver incontrato il donatore di sperma. Essere una madre single mi aveva portato ad andare a cena con dei veri e propri stronzi. Da parte mia non andavo a dei semplici appuntamenti: stavo facendo le audizioni per un papà e, fino a quel momento, nessuno degli uomini che avevo incontrato era abbastanza per il mio piccolo Wyatt. E quelli che lo erano? Beh, di solito non erano interessati a metter su famiglia all’istante. Io ero troppo giovane, avevo solo ventiquattro anni, e i ragazzi della mia età si preoccupavano più di quale tipo di birra avrebbero bevuto il venerdì sera piuttosto che accompagnare un bambino di quattro anni all’asilo. Io avevo il mio bel bagaglio personale e quindi dormivo da sola.
Solo che ora Kiel mi sta toccando, e io ne voglio ancora. Lo bramo. Lo desidero.
Non facevo un sogno tanto delizioso da… beh, mai.
Lui mi osserva, le sue dita ancora tra i miei capelli, massaggiando le ciocche tra il pollice e l’indice, come se riuscisse ad assaporarmi attraverso la pelle. Chiude gli occhi e io riesco a malapena a resistere all’impulso di toccargli la faccia, di passare il lamo della mano sopra l’accenno di barba che gli sporca il mento. Ha le labbra grandi e carnose, e voglio toccare anche quelle.
“Non riesco a sentire il tuo odore.”
Questo è strano. Ma va bene. Sì. Faccio un respiro profondo per testare l’aria di questo posto strambo, irreale, fantastico. Non c’è niente. Strano. “Neanche io sento il tuo.”
Apre gli occhi e li focalizza sulle mie labbra, come due laser. “Voglio baciarti.”
Gesù. Quest’uomo del sogno vuole darsi una mossa o cosa? Per essere un sogno erotico, tutto ciò è ridicolo. Io lo voglio. Ora. Non voglio stare a parlare. Non ha bisogno di dirmi quello che vuole fare. Può farlo e basta. Oh, ti prego, prenditi tutto quello che vuoi.
Se non si sbriga a sbattermi con violenza finirò con lo svegliarmi prima che cominci il divertimento. Lo voglio nudo. Voglio che mi riempia fino a scoppiare con un cazzo enorme. Voglio che il mio corpo si contorca per il piacere mentre lui mi martella più velocemente e più intensamente di qualunque altro uomo abbia mai conosciuto.
La mia fica si contrae, mi manca il respiro. Fanculo. Questo è il mio sogno. Nessun uomo in vita mia mi ha mai fatto eccitare tanto. Mai. Nemmeno una volta. Non ho nessuna intenzione di sprecarlo.
Sollevo le mani e le affondo nei suoi capelli setosi mentre lo attraggo verso di me. “Smettila di parlare e spogliati.”
Dio, che zoccola. Ma lo voglio. Intensamente. All’uomo del sogno non importa se io sia giovane o vecchia, single o sposata, una madre o una vergine. Non vuole soppesare i pro e i contro della paternità e dell’adottare un bambino di quattro anni. Se sono fortunata, mi darà una bella cavalcata e un bel ricordo.
Lo bacio con forza, salto e gli avvinghio le gambe attorno ai fianchi. Il suo cazzo duro si strofina contro di me proprio nel punto giusto e io gemo, strusciandomi contro i sottili pantaloni neri. Lo so che sono bagnata, così bagnata che anche lui riesce a sentire il mio bisogno che turbina in mezzo ai nostri corpi.
Lui resta immobile di fronte al mio assalto, e allora, frustrata, interrompo il bacio. Sto per mettermi a piangere. È solo un altro incubo? Una tortura nuova di zecca creata dalla mia mente? Il senso di colpa di una madre all’ennesima potenza? Il senso di colpa per aver lasciato mio figlio? Per aver corso questo rischio? Il senso di colpa scaturito dalla sofferenza di mio figlio, e dal fatto che io da quell’incidente sia uscita completamente illesa?
Mi sporgo in avanti e gli appoggio la fronte contro la guancia. Lotto per trattenere le lacrime. Che c’è che non va? Perché non si muove? Questo è il mio sogno, dannazione! E nel mio sogno quest’uomo bellissimo mi deve stuprare, mi deve scopare con forza, deve farmi urlare. Dovrebbe volermi con una tale passione che niente potrebbe fermarlo, che niente potrebbe mettersi tra lui e me. Sarebbe il non plus ultra dei cavernicoli, e mi riterrebbe la donna più bella e desiderabile che avesse mai visto.
Gemo, e poi sospiro. “Andiamo, uomo del sogno. Ti prego.” Gli mordicchio la guancia, scendendo lungo la mascella, e sento la sua barba ispida che mi gratta contro la pelle. Mi sento frustrata, non riesco a sentire il suo sapore. Non per davvero. È caldo, ma non è… vero. Non mi importa. Le sue mani che mi stringono la schiena sembrano reali. La sua asta dura che si strofina contro le mie mutandine sembra reale.
“Tu non sei vera,” insiste lui, ma lo stesso le sue mani si muovono per afferrarmi il culo, e io gemo sentendo un accesso di calore che mi attraversa il corpo.
Mi accorgo dell’istante esatto in cui vinco. Lo sento cambiare. Tutto il suo corpo si muove. Puro potere. I suoi muscoli si flettono sotto la sua maglietta e lui mi bacia con forza, prendendosi quello che tanto disperatamente volevo dargli. Apro la bocca per accogliere il suo bacio, e la sua lingua trova la mia, e mi depreda con la stessa fame che provo io.
Sì. Sì. Sì!
Mi sfila il vestito di dosso e io mi metto a ridere mentre mi strappa via le mutandine. Non porto il reggiseno, i miei piccoli seni non ne hanno bisogno. Ogni volta che mi spogliavo di fronte a tutti gli altri uomini andavo nel panico. Ho una forma strana, i fianchi e il culo grossi, la vita piccola, e una seconda di reggiseno sin da quando ho smesso di allattare mio figlio. Un’altra gioia della maternità di cui nessuno ti dice niente – ti si restringono i seni.
Ma con lui non m’importa. Getto la testa all’indietro e lascio che mi guardi mentre io gli sfilo la maglietta, che un secondo dopo è già sparita insieme a tutto il resto dei suoi vestiti. Ringrazio gli dèi del sogno. Siamo nudi. Il suo corpo è grosso, duro, muscoloso. Il mio Superman. E poi il suo cazzo…