CAPITOLO QUATTRO

1192 Words
CAPITOLO QUATTRO Pur non avendo il suo vecchio documento del bureau, Kate aveva comunque l’ultimo distintivo che avesse mai posseduto. Era puntellato sulla mensola del camino come un relitto di altri tempi, non meglio di una fotografia sbiadita. Quando lasciò il terzo distretto tornò a casa e lo sollevò. Pensò a lungo se prendere anche l’arma da fianco. Guardò bramosa la M1911 ma la lasciò dov’era, nel cassetto del comodino. Portarla con sé per quello che aveva in programma di fare avrebbe voluto dire andare in cerca di guai. Decise però di prendere le manette che teneva in una scatola da scarpe sotto al letto con altri tesori della sua carriera. Non si sa mai. Lasciò la casa e andò all’indirizzo che le aveva dato Deb. Era un posto a Shockoe Bottom, un quartiere a venti minuti di macchina da casa sua. Non era nervosa durante il tragitto, sentiva invece un senso di entusiasmo. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo però, allo stesso tempo, era una bella sensazione essere fuori, a caccia, di nuovo – anche se in segreto. Non appena ebbe raggiunto l’indirizzo dell’ex ragazzo di Julie Hicks, un tizio di nome Brian Neilbolt, Kate pensò a suo marito. Le veniva in mente ogni tanto, ma a volte sembrava arrivare e rimanerci per un po’. Accadde quando svoltò nella strada di destinazione. Riusciva a vederlo scuotere la testa di frustrazione. Kate, lo sai che non dovresti farlo, pareva dire. Lei sorrise debolmente. A volte suo marito le mancava violentemente, un adatto contrasto col fatto che a volte le pareva di essere riuscita a superare la sua morte piuttosto velocemente. Scosse via le ragnatele dei ricordi parcheggiando l’auto di fronte all’indirizzo che le aveva dato Deb. Era una casa piuttosto carina, divisa in due diversi appartamenti con portici a separare le proprietà. Quando smontò dalla macchina capì subito che c’era qualcuno in casa, perché riusciva a sentire qualcuno parlare molto forte all’interno. Quando salì i gradini del portico, si sentì come se avesse fatto un passo indietro nel tempo, a circa un anno prima. Si sentiva ancora un’agente, nonostante la mancanza dell’arma da fuoco alla vita. Eppure, essendo in toto un’agente in pensione, non aveva idea di quel che avrebbe detto dopo aver bussato alla porta. Ma non lasciò che la cosa la fermasse. Bussò alla porta con la stessa autorità che avrebbe avuto un anno prima. Mentre ascoltava le parole ad alta voce venire da dentro, pensò che si sarebbe attenuta alla verità. Mentire in una situazione di cui già non avrebbe dovuto essere parte avrebbe solo peggiorato le cose se fosse stata beccata. L’uomo che aprì la porta prese un po’ alla sprovvista Kate. Era alto circa un metro e novantadue ed era grossissimo. Bastavano le spalle a mostrare che faceva molta palestra. Sarebbe passato tranquillamente per un pugile professionista. L’unica cosa che tradiva quella facciata era la rabbia che aveva negli occhi. «Sì?» chiese. «Lei chi è?» Lei allora fece una mossa che le era mancata tantissimo. Gli mostrò il distintivo. Sperava che desse un po’ di peso alla presentazione. «Sono Kate Wise. Sono un’agente dell’FBI in pensione. Speravo che potesse parlarmi per un attimo.» «Di cosa?» chiese, le parole rapide e svelte. «Lei è Brian Neilbolt?» chiese. «Sì.» «Allora la sua ex ragazza era Julie Hicks, giusto? Un tempo Julie Meade?» «Ah cazzo, ancora? Senta, mi hanno già portato dentro per interrogarmi quei cazzo di poliziotti. Adesso anche i federali?» «Stia tranquillo, non sono venuta a interrogarla. Volevo solo farle qualche domanda.» «A me pare un interrogatorio» disse. «E poi ha detto di essere in pensione. Sono piuttosto sicuro di non essere costretto a fare niente di ciò che chiede.» Lei finse di rimanerne ferita, distogliendo lo sguardo da lui. In realtà, però, stava guardando oltre le sue spalle massicce lo spazio dietro di lui. Vide una valigia e due zaini appoggiati contro il muro. Vide anche un foglio di carta posato sopra la valigia. Il grosso logo lo identificava come una ricevuta di Orbitz. Apparentemente Brian Neilbolt avrebbe lasciato la città per un po’. Non il miglior scenario quando la tua ex ragazza è stata assassinata e tu sei stato portato dentro e poi immediatamente rilasciato dalla polizia. «Dove sta andando?» chiese Kate. «Non sono affari suoi.» «Con chi stava parlando così rumorosamente al telefono prima che bussassi?» «Di nuovo, non sono affari suoi. Ora, se vuole scusarmi…» Fece per chiudere la porta, ma Kate insistette. Fece un passo avanti e incastrò la scarpa tra la porta e la cornice. «Signor Neilbolt, le sto solo chiedendo cinque minuti del suo tempo.» Un’ondata di furia gli passò per gli occhi, ma poi parve cedere. Lasciò cadere la testa e per un attimo pensò che sembrasse triste. Era simile allo sguardo che aveva visto sui visi dei Meade. «Ha detto di essere un’agente in pensione, vero?» chiese Neilbolt. «Esatto» confermò. «In pensione» disse. «Quindi se ne vada dal mio portico, cazzo.» Lei rimase lì risoluta, rendendo chiaro che non aveva intenzione di andare da nessuna parte. «Ho detto se ne vada dal mio portico!» Fece un cenno e poi cercò di spingerla. Lei sentì la forza delle sue mani quando le colpirono la spalla e agì il più velocemente possibile. Subito rimase sconvolta da quanto rapidamente si manifestarono i riflessi e la memoria muscolare. Incespicando all’indietro, avvolse entrambe le braccia attorno a quello di Neilbolt. Allo stesso tempo cadde su un ginocchio per fermare lo slancio all’indietro. Poi fece del suo meglio per praticargli un hip toss ma la sua mole era troppa da gestire. Quando lui si accorse di quel che lei stava cercando di fare, le ficcò uno spigoloso gomito nelle costole. Il fiato le uscì fuori dal petto ma dato che lui aveva usato il gomito aveva perso l’equilibrio. Stavolta, quando tentò l’hip toss, funzionò. E dato che ci mise tutto ciò che poteva, funzionò un po’ troppo bene. Neilbolt precipitò dal portico. Quando atterrò, colpì gli ultimi due gradini. Urlò dal dolore e cercò di rimettersi subito in piedi. Alzò lo sguardo su di lei sotto shock, cercando di capire quel che era accaduto. Carico di rabbia e sorpresa, zoppicò su per le scale verso di lei, chiaramente confuso. Lei fece finta di volerlo colpire in viso col ginocchio destro quando lui si avvicinò al primo gradino. Quando schivò il ginocchio, lei gli prese il lato della testa e andò di nuovo sulle ginocchia. Gli fece sbattere la testa forte contro il portico mentre lui agitava le braccia e le gambe per avere presa sulle scale. Poi lei prese le manette dall’interno della giacca e le applicò con una rapidità e una facilità che solo trent’anni di esperienza potevano fornire. Si allontanò di qualche passo da Brian Neilbolt e abbassò lo sguardo su di lui. Non combatteva contro le manette; sembrava piuttosto confuso, anzi. Kate prese il telefono con l’intenzione di chiamare i poliziotti e si accorse che le tremava la mano. Era animata, inondata di adrenalina. Si accorse di avere un sorriso in volto. Dio, quanto mi mancava. Anche se il colpo alle costole le faceva un male cane – molto più di quanto le avrebbe fatto male cinque o sei anni prima, sicuro. E le giunzioni delle ginocchia le avevano fatto sempre così male dopo un contrasto? Si concesse un momento per festeggiare ciò che aveva fatto e poi finalmente riuscì a chiamare la polizia. Nel frattempo Brian Neilbolt restava intontito ai suoi piedi, forse a chiedersi come aveva fatto una donna di almeno vent’anni più vecchia di lui a spaccargli il culo con tanta maestria.
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