CAPITOLO UNO

2014 Words
CAPITOLO UNO Delle tante lezioni di vita che il primo anno pieno di pensionamento aveva insegnato a Kate Wise, la più importante era questa: senza un piano solido, la pensione poteva diventare noiosa molto velocemente. Aveva sentito di donne che erano andate in pensione e si erano trovate svariati interessi. Alcune avevano aperto piccoli negozi on line su Etsy. Alcune si erano cimentate nella pittura e nell’uncinetto. Altre si erano messe alla prova scrivendo un romanzo. Kate pensava che fossero tutti modi carini di passare il tempo, ma nessuno la allettava. Per una persona che aveva trascorso più di trent’anni della propria vita con una pistola assicurata al fianco, trovare modi di lasciarsi felicemente assorbire era difficile. Sferruzzare non avrebbe sostituito il brivido della caccia di un assassino. Il giardinaggio non avrebbe ricreato il picco di adrenalina dato dal fare irruzione in una casa senza mai sapere che cosa la attendeva dall’altra parte della porta. Dato che nulla di ciò che provava sembrava avvicinarsi anche solo lontanamente alla gioia che aveva provato come agente dell’FBI, aveva smesso di cercare dopo un paio di mesi. L’unica cosa che ci era mai arrivata vicina erano i giretti al poligono di tiro che faceva due volte la settimana. Sarebbe andata più spesso se non avesse temuto che i membri più giovani del poligono cominciassero a vederla come nient’altro che un’agente in pensione che cercava di catturare di nuovo un momento del passato in cui era stata fantastica. Era un timore ragionevole. Dopotutto, lei riteneva che fosse proprio quello che stava facendo. Era un martedì, appena dopo le due del pomeriggio, quando quel fatto la colpì come un proiettile in mezzo agli occhi. Era appena tornata dal poligono e stava rimettendo la pistola M1911 nel cassetto del comò quando il cuore parve scoppiarle, dal nulla. Trentun anni. Aveva trascorso trentun anni al bureau. Aveva partecipato a più di cento blitz e aveva lavorato come parte di una unità speciale per casi di alto profilo in ventisei occasioni. Era nota per la sua velocità, il pensiero rapido e spesso affilato come un rasoio, e il suo generale atteggiamento da non-me-ne-frega-niente. Era stata nota anche per il suo aspetto, cosa che ancora la infastidiva un po’ anche a cinquantacinque anni. Quando era diventata un’agente, all’età di ventitré, non le ci era voluto molto per farsi affibbiare soprannomi osceni come Gambe e Barbie – nomi che probabilmente di questi tempo farebbero licenziare degli uomini, ma che allora, quando era giovane, erano tristemente usuali per agenti donna. Kate aveva rotto nasi al bureau perché gli agenti maschi le palpavano il culo. Ne aveva lanciato uno attraverso un ascensore in movimento quando lui le aveva sussurrato qualcosa di osceno nell’orecchio, appena dietro di lei. Mentre i soprannomi erano rimasti con lei fin ben dopo i quaranta, le avance e gli sguardi lascivi no. Dopo che si fu sparsa la notizia, i colleghi maschi avevano imparato a rispettarla e a guardare oltre il suo corpo – corpo che, sapeva con un certo grado di pacato orgoglio, era sempre stato mantenuto bene ed era ciò che la maggior parte degli uomini avrebbe considerato un dieci. Però adesso, a cinquantacinque anni, si ritrovava a sentire la mancanza pure dei soprannomi. Non aveva pensato che la pensione sarebbe stata così dura. Il poligono andava bene, ma era solo un fantasma che sussurrava di ciò che il suo passato era stato. Aveva cercato di scacciare il desiderio del passato leggendo. Aveva deciso che si sarebbe documentata in particolare sulle armi; aveva letto innumerevoli libri sulla storia dell’utilizzo delle armi, su come venivano fabbricate, sulla preferenza per certe armi da parte di generali militari, eccetera. Era per quello che adesso usava una M1911, per via della sua ricca storia che l’aveva vista coinvolta in una moltitudine di guerre americane, e di cui un modello antico era stato usato addirittura durante la prima guerra mondiale. Si era cimentata nella lettura di romanzi, ma non riusciva a farsi coinvolgere – anche se però le piacevano molti libri su crimini informatici. Mentre quando aveva ripreso i libri che aveva adorato in gioventù non aveva trovato nulla di interessante nelle vite di personaggi di finzione. E dato che non voleva diventare la triste signora appena andata in pensione che trascorreva tutto il tempo nella biblioteca del posto, aveva ordinato tutti i libri che aveva letto nell’ultimo anno su sss. Ne aveva più di cento, accatastati in scatoloni nel seminterrato. Immaginava che un giorno avrebbe costruito una libreria e avrebbe trasformato quello spazio in uno studio vero e proprio. Non era che avesse molto altro da fare. Scossa dall’idea di aver trascorso l’ultimo anno della sua vita non facendo praticamente niente, Kate Wise si mise lentamente a sedere sul letto. Rimase lì molti minuti senza muoversi. Guardò la scrivania dall’altra parte della stanza e vide l’album di foto. C’era solo un’unica foto di famiglia. Lì il suo defunto marito, Michael, teneva le braccia attorno alla loro figlia mentre Kate sorrideva al suo fianco. Una fotografia in spiaggia scattata malamente ma che le scaldava sempre il cuore. Tutte le altre foto di quegli album, comunque, erano di lavoro: scatti da dietro le quinte, immagini di feste di compleanno dell’ufficio interno, lei da giovane in piscina, al poligono di tiro, sulla pista di atletica leggera, eccetera. Aveva vissuto l’ultimo anno della sua vita allo stesso modo dello sportivo di provincia che non lascia mai il potenziale della sua cittadina. Sempre a trattenere chiunque avrebbe finto di ascoltare tutti i touchdown che aveva fatto trent’anni prima giocando per la squadra di football della scuola. Lei non era migliore. Con un leggero sussulto, Kate si alzò e andò agli album sulla scrivania. Lentamente e quasi metodicamente li guardò tutti e tre. Vide foto di se stessa da giovane evolvere attraverso gli anni finché ogni foto non fu uno scatto da telefonino. Vide se stessa e persone che un tempo conosceva, persone che erano morte proprio al suo fianco indagando su alcuni casi, e cominciò a capire che anche se quei momenti erano stati determinanti per crearla, non l’avevano definita completamente. Gli articoli che aveva allegato e conservato nel retro dell’album raccontavano ancor meglio la sua storia. Era menzionata in tutti. AGENTE AL SECONDO ANNO CATTURA KILLER IN FUGA diceva un titolo; AGENTE DONNA UNICA SOPRAVVISSUTA DI SPARATORIA COSTATA LA VITA A 11 PERSONE. E poi quello che aveva davvero cominciato a creare la leggenda: DOPO 13 VITTIME, PRESO FINALMENTE KILLER DEL CHIARO DI LUNA DALL’AGENTE KATE WISE. Secondo tutti i ragionevoli standard di salute, aveva almeno altri vent’anni davanti a lei – quaranta, se in qualche modo fosse riuscita a mettersi d’impegno e a sconfiggere la morte. Pur facendo una media e dicendo che le rimanevano trent’anni, tirando le cuoia a ottantacinque… trent’anni erano tanti. Poteva fare molto in trent’anni, immaginava. Per circa dieci di essi avrebbe persino potuto avere alcuni anni davvero belli prima che la vecchiaia cominciasse a far capolino e a strapparle la salute. La domanda, ovviamente, era cosa avrebbe trovato da fare di quegli anni. E nonostante avesse la reputazione di essere uno degli agenti più svegli passati per il bureau nell’ultima decade, non aveva idea di dove cominciare. *** A parte il poligono di tiro e le sue quasi ossessive abitudini di lettura, Kate era anche riuscita a rendere un’abitudine settimanale quella di trovarsi con altre tre donne per un caffè. Le quattro si prendevano in giro affermando di aver formato il più triste club di sempre: quattro donne recentemente pensionate con nessuna idea di cosa fare dei loro nuovi giorni liberi. Il giorno successivo alla rivelazione, Kate si recò alla caffetteria scelta. Era un posticino a conduzione familiare dove non solo il caffè era migliore di quella brodaglia costosissima di Starbucks, ma non era invaso da millennial e madri ultra-impegnate. Entrò, e prima di andare al bancone per ordinare vide il loro solito tavolino nel retro. Due delle altre tre donne c’erano già, a salutarla con la mano. Kate afferrò il suo tè alla nocciola e raggiunse le amiche al tavolo. Sedette accanto a Jane Patterson, una donna di cinquantasette anni in pensione da sette mesi dopo anni passati a saltare avanti e indietro di azienda in azienda come proposal specialist per un’azienda di telecomunicazioni del governo. Di fronte a lei c’era Clarissa James, da poco più di un anno in pensione dopo aver sempre lavorato part-time come insegnante di criminologia al bureau. Il quarto membro del loro triste club, una donna di cinquantacinque anni appena andata in pensione di nome Debbie Meade, non si era ancora fatta vedere. Strano, pensò Kate. Deb di solito è la prima ad arrivare. Nel momento in cui prese posto, Jane e Clarissa parvero irrigidirsi. Era particolarmente bizzarro, perché non era da Clarissa essere altro che frizzante. A differenza di Kate, Clarissa aveva cominciato rapidamente ad apprezzare la pensione. Kate immaginava che fosse stato d’aiuto il fatto che Clarissa fosse sposata con un uomo di quasi dieci anni più giovane di lei che nel tempo libero partecipava a gare di nuoto. «Che avete, ragazze?» chiese Kate. «Sapete che vengo qui per cercare motivazioni pro pensione, no? Voi due sembrate assolutamente tristi.» Jane e Clarissa si scambiarono un’occhiata che Kate aveva visto innumerevoli volte. Durante gli anni come agente l’aveva vista in salotti, sale interrogatori e sale d’attesa di ospedali. Era uno sguardo che traduceva un’unica e semplice domanda senza proferir parola: Chi glielo dice? «Che c’è?» chiese. D’un tratto fu molto consapevole dell’assenza di Deb. «Si tratta di Deb» disse Jane, confermando il suo timore. «Be’, non precisamente di Deb» aggiunse Clarissa. «Di sua figlia, Julie. L’hai mai incontrata?» «Una volta, credo» disse Kate. «Cos’è successo?» «È morta» disse Clarissa. «Omicidio. Finora non hanno idea di chi sia stato.» «Oddio» disse Kate, sinceramente intristita per l’amica. Conosceva Deb da circa quindici anni, l’aveva conosciuta a Quantico. Kate lavorava come assistente istruttrice per un nuovo gruppo di agenti sul campo e Deb lavorava con alcuni dei topi da laboratorio su una specie di nuovo sistema di sicurezza. C’era stata subito sintonia ed erano rapidamente diventate amiche. Il fatto che Deb non l’avesse chiamata né le avesse mandato un messaggio per darle la notizia prima di parlarne con chiunque altro mostrava solo quanto velocemente le amicizie potevano cambiare negli anni. «Quando è successo?» chiese Kate. «Ieri» disse Jane. «Mi ha mandato un messaggio per dirmelo solo stamattina.» «Non hanno alcun sospetto?» chiese Kate. Jane si strinse nelle spalle. «Ha detto solo che non sanno chi è stato. Nessun indizio, nessuna pista, niente.» Kate si sentì andare immediatamente in modalità agente. Immaginò che fosse lo stesso modo in cui si dovesse sentire un atleta allenato dopo essersene stato fuori dal campo scelto per troppo tempo. Lei poteva non avere un manto erboso o una folla adorante a ricordarle com’erano stati i suoi anni di gloria, però aveva la mente finemente messa a punto per risolvere crimini. «Non cominciare» disse Clarissa esibendo il suo sorriso migliore. «Cominciare con cosa?» «Non fare l’agente Wise adesso» disse Clarissa. «Adesso sii solo la sua amica. Vedo le rotelle girarti nella testa. Cavolo, tesoro. Non hai una figlia incinta? Non stai per diventare nonna?» «Che modi, darmi un calcio mentre sono a terra» disse Kate con un sorriso. Lasciò perdere il commento e poi chiese: «La figlia di Deb… aveva un ragazzo?» «Non ne ho idea» disse Jane. Un silenzio imbarazzato cadde sulla tavola. Nell’anno in cui il gruppetto di amiche neopensionate si era trovato, la conversazione era sempre stata perlopiù leggera. Quello era il primo argomento pesante, e non si adattava bene alla loro routine. Kate, ovviamente, ci era abituata. Il tempo trascorso in accademia le aveva insegnato come gestire quelle situazioni. Però Clarissa aveva ragione. Sentendo la notizia Kate era scivolata con gran facilità in modalità agente. Sapeva che avrebbe dovuto pensare come un’amica, prima – pensare alla perdita di Deb e al suo stato emotivo. Ma l’agente che c’era in lei era troppo forte, l’istinto ancora lì, in prima linea, dopo essersene rimasto sullo scaffale per un anno. «Allora, che cosa possiamo fare per farla stare meglio?» chiese Jane. «Stavo pensando al cibo» disse Clarissa. «Conosco altre signore che potrebbero unirsi a noi. Solo per assicurarsi che non debba cucinare per la famiglia nelle prossime settimane mentre si occupa di tutto questo.» Per i seguenti dieci minuti, le tre donne organizzarono il sistema più efficiente per preparare dei pasti per l’amica colpita dal lutto. Però, per Kate, la conversazione rimase in superficie. La sua mente era rivolta altrove, cercava di portare alla luce fatti e notizie nascoste su Deb e sulla sua famiglia, cercava di trovare un caso dove forse non ce n’era neanche uno. O potrebbe essercene uno, pensò Kate. E scommetto che c’è un solo modo di scoprirlo.
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