CAPITOLO VIII

575 Words
CAPITOLO VIII L’onda Un uomo in mare! Che importa? La nave non si ferma. Il vento spira e quella nave maledetta è costretta a continuare la sua rotta; prosegue. L’uomo scompare e ricompare, s’immerge e risale alla superficie, chiama e tende le braccia; ma nessuno lo sente. La nave, percossa dall’uragano, bada solo alla manovra; i passeggeri e i marinai non vedono neppur più l’uomo sommerso, e la sua povera testa non è che un punto nella immensità delle onde. Egli getta in quella profondità grida disperate. Oh, quale spettro, quella vela che se ne va! Egli la guarda, la guarda freneticamente; essa s’allontana, scolora, impicciolisce... E dire che poc’anzi era là egli pure, faceva parte dell’equipaggio, andava e veniva sul ponte, cogli altri, aveva la sua parte di respiro e di sole, era vivo, insomma! Che è successo, dunque? È scivolato, è caduto ed è perduto. È nell’acqua mostruosa, ha sotto i piedi solo fuga e ruina; le onde, stracciate, sbriciolate dal vento, lo circondano orrendamente e il dondolìo dell’abisso lo porta via. Tutti i flutti s’agitano intorno al suo capo, una folla d’onde gli sputa addosso, confuse aperture lo inghiottono; ogni qual volta s’inabissa, intravede precipizî pieni di tenebre, e spaventose vegetazioni sconosciute l’afferrano, gli legano i piedi e l’attirano a sè. Egli sente che diventa abisso, che fa parte della schiuma e che le onde se lo buttano dall’una all’altra; beve l’amarezza, mentre il vile oceano s’accanisce nell’annegarla e l’immensità giuoca colla sua agonia. Sembra che tutta quell’acqua si sia fatta odio. Pure egli lotta e tenta di difendersi, di sostenersi; fa uno sforzo e nuota. Egli, povera forza subito stanca, combatte l’instancabile. Dov’è dunque la nave? Laggiù, appena visibile nelle pallide tenebre dell’orizzonte. Fischiano le raffiche e tutte le schiume l’opprimono; alza gli occhi e scorge il lividore delle nubi. Assiste, agonizzante, all’immensa follìa del mare, che lo sta suppliziando; ed avverte rumori sconosciuti all’uomo, che gli sembrano provenire da oltre la terra, da non so quale mondo. Ci sono uccelli nelle nubi, come angeli sopra le sciagure umane; ma che posson fare per lui? Volano, cantano e guizzan via, mentr’egli rantola. Si sente seppellito contemporaneamente da quei due infiniti che sono l’oceano e il cielo; l’uno è la tomba, l’altro il lenzuolo. E la notte scende. Egli nuota da molte ore e le sue forze sono allo stremo; quella nave, quella cosa lontana in cui vi erano degli uomini, è dileguata. È solo nel formidabile abisso crepuscolare, sprofonda, s’irrigidisce, si contorce, sentendo sotto di sè le colossali onde dell’invisibile: e chiama. Ma non ci son più uomini. E dov’è Dio? Chiama. Qualcuno, qualcuno! Chiama sempre: nulla allo orizzonte, nulla nel cielo. Implora lo spazio, l’onda, l’alga e lo scoglio: sono sordi. Supplica la tempesta; ma essa ubbidisce solo all’infinito. Intorno a lui sono soltanto oscurità, nebbia, solitudine, tumulto burrascoso e incosciente, l’indefinita ondulazione delle acque selvagge; in lui, orrore e stanchezza; sotto di lui, abisso. Nessun punto d’appoggio; egli pensa alle tenebrose avventure del cadavere nelle ombre senza limite. Il freddo senza fondo lo paralizza; gli si raggrinzano e gli si serrano le mani, che stringono il nulla. Venti e nubi, turbini e folate, inutili stelle! Che fare? Disperato s’abbandona, poiché chi è stanco decide di morire e lascia fare, si lascia andare, cede, ed eccolo rotolato per sempre nelle mortali profondità dell’abisso vorace. Oh, implacabile cammino delle società umane! Perdita di uomini e d’anime per strada! Oceano in cui cade tutto ciò che la legge lascia cadere! Sinistra scomparsa del soccorso, morte morale! Il mare è l’inesorabile tenebra sociale in cui la penalità getta i suoi dannati; il mare è l’immensa miseria. L’anima, in balìa di quel baratro, può diventare un cadavere; chi la risusciterà?
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