CAPITOLO III

1598 Words
CAPITOLO III Eroismo dell’obbedienza passiva La porta s’aprì, con impeto, spalancata come se qualcuno l’avesse spinta con energia e risolutezza; e un uomo entrò. Lo conosciamo già, poiché era il viaggiatore che abbiam visto testè girovagare in cerca d’asilo. Entrò, fece un passo e si fermò, lasciando alle spalle la porta aperta; in ispalla il sacco e in mano il bastone, negli occhi un’espressione aspra, insolente, spossata e violenta. Era ripugnante come una sinistra apparizione. La signora Magloire non ebbe neppure la forza di gettare un grido; trasalì e rimase a bocca aperta. La signorina Baptistine si voltò, scorse l’uomo che entrava e si rialzò sulla sedia, sgomenta; poi, girando a poco a poco il capo verso il camino, guardò il fratello ed il suo viso ritornò profondamente calmo e sereno. Il vescovo fissava sull’uomo uno sguardo tranquillo. Mentr’egli stava per aprir bocca, senza dubbio per chiedere al nuovo venuto che cosa desiderasse, l’uomo appoggiò le mani sul bastone e girò alternativamente lo sguardo sul vecchio e sulle donne; poi, prima che il vescovo parlasse, disse ad alta voce: “Ecco. Mi chiamo Jean Valjean. Sono un galeotto ed ho passato diciannove anni al bagno penale; m’hanno liberato da quattro giorni, son partito da Tolone, e non faccio che camminare; oggi ho fatto dodici leghe a piedi. Stasera, giunto in questo paese, sono andato ad un albergo e m’hanno scacciato, per via del passaporto giallo che avevo dovuto presentare in municipio; sono andato in un altro albergo e m’hanno detto: Vattene! Sì, tanto l’uno che l’altro; nessuno m’ha voluto. Sono andato alla prigione, ma il carceriere non m’ha aperto; sono stato nella cuccia d’un cane e quel cane m’ha morsicato e m’ha scacciato, come se fosse un uomo: si sarebbe detto che sapeva chi ero. Sono andato lungo i campi per cercare un giaciglio sotto le stelle; ma non c’erano stelle ed ho pensato che sarebbe piovuto, che non c’era buon Dio che impedisse di piovere, e sono rientrato in città per trovare riparo sotto una porta. Là nella piazza, stavo per coricarmi sopra una panca di pietra, quando una buona donna m’ha indicato la vostra casa e m’ha detto: ‘Bussa lì.’ Ed io ho bussato. Che luogo è, questo? Siete albergatori? Ho denaro, un gruzzoletto: centonove franchi e quindici soldi guadagnati al bagno, col lavoro di diciannove anni. Pagherò; che m’importa? Ho denaro, sono stanchissimo, ho fatto dodici leghe a piedi, ho fame. Volete che rimanga?” “ Signora Magloire,” disse il vescovo “mettete un’altra posata.” L’uomo fece tre passi e s’avvicinò alla lucerna che stava sulla tavola: “Badate,” disse, come se non avesse ben capito; “non si tratta di questo. Avete sentito? Sono un galeotto, un forzato; vengo dalla galera.” E levò di tasca un grande foglio di carta gialla, che dispiegò: “Ecco il mio passaporto. È giallo, come vedete, e questo basta per farmi scacciare dovunque vada. Volete leggere? Io so leggere: ho imparato in prigione, c’è una scuola per quelli che vogliono farlo: guardate che cos’hanno messo sul passaporto: ‘Jean Valjean, forzato liberato, nativo di...’ questo non v’importa. ‘È stato diciannove anni in carcere, cinque anni per furto con scasso, quattordici per aver tentato quattro volte d’evadere. È un uomo pericolosissimo’ Ecco! Tutti m’han gettato fuori della porta; e voi volete ricevermi? È un albergo questo? Volete darmi da mangiare da dormire? Avete una stalla?” “ Signora Magloire,” disse il vescovo “mettete delle lenzuola pulite al letto dell’alcova.” Abbiamo già spiegato di quale natura fosse l’obbedienza delle due donne. La signora Magloire uscì, per eseguire gli ordini, mentre il vescovo si volgeva verso l’uomo. “ Sedetevi e scaldatevi, signore; fra un momento ci metteremo a tavola e, mentre cenerete, vi sarà fatto il letto.” Qui l’uomo comprese, subito. Il suo viso, fino allora tetro e duro, prese un’espressione di stupore, di dubbio e di gioia straordinaria; poi si mise a balbettare come un pazzo: “Ma è vero? Come! Voi mi ospitate e non mi scacciate? Un forzato! E mi chiamate signore! Non mi date del tu, non mi dite: Vattene, cane! come mi dicon sempre! Ero certo m’avreste scacciato e per questo avevo detto subito chi ero; oh, che brava donna, quella che m’ha indirizzato qui! Avrò da cenare! Avrò un letto, un letto con materassi e lenzuola come tutti! Sono diciannove anni che non mi corico in un letto! E voi avete la bontà di trattenermi? Siete delle degne persone; del resto, ho denaro e pagherò bene. Perdono, signor albergatore, come vi chiamate? Pagherò quel che vorrete, perché siete un brav’uomo. Siete albergatore, vero?” “ Sono un prete che abita qui,” disse il vescovo. “ Un prete!” riprese l’uomo. “Oh, che bravo prete! non mi chiederete denaro, vero? Siete il curato, dunque? Il curato di quella gran chiesa; to’, è vero, bestia che sono! Non avevo visto la vostra calotta!” Mentre parlava, aveva deposto il sacco e il bastone in un angolo e, rimesso in tasca il passaporto, s’era seduto; la signorina Baptistine l’osservava con dolcezza. Egli continuò: “Voi siete umano, signor curato, e non mi disprezzate; che bella cosa un prete buono. Allora, non avete bisogno che vi paghi?” “ No!” disse il vescovo. “Tenete il vostro denaro. Quanto avete? Mi pare che abbiate detto centonove franchi.” “ E quindici soldi,” soggiunse l’uomo. “ Centonove franchi e quindici soldi. E quanto tempo ci avete messo a guadagnarli?” “ Diciannove anni.” “ Diciannove anni?” E il vescovo sospirò profondamente. L’uomo continuò: “Ho ancora tutto il denaro; da quattro giorni a questa parte ho speso solo venticinque soldi, che ho guadagnati a Grasse, aiutando a scaricare dei carri. Poiché siete abate, vi dirò che al bagno abbiamo un cappellano. E un giorno, poi, ho visto un vescovo, monsignore, come lo chiamano; era il vescovo della cattedrale di Marsiglia, cioè il curato che sta sopra i curati. Perdonatemi se dico male queste cose; ma per me sono così lontane! Noialtri, capirete bene! Ha detto la messa in mezzo al carcere sopra un altare e aveva in testa una cosa puntuta, tutta d’oro, che brillava alla luce del mezzodì. Noi eravamo in fila su tre lati; sì, coi cannoni in faccia, colla miccia accesa. Ma non si vedeva bene; ha parlato, ma era troppo lontano e noi non sentivamo. Ecco cos’è un vescovo.” Mentre parlava, il vescovo era andato a chiudere la porta, rimasta spalancata. Intanto la signora Magloire rientrò, portando una posata, che mise in tavola. “ Signora Magloire,” disse il vescovo “mettete quella posata più che potete vicino al fuoco.” E, volgendosi all’ospite: “Il vento della notte è rigido, nelle Alpi: dovete aver freddo, signore.” Ogni qual volta egli diceva quella parola signore, colla sua voce dolcemente grave e carezzevole, il volto dell’uomo si rischiarava. Dare del signore a un forzato, è come dare un bicchier d’acqua a un naufrago della Medusa; l’ignominia ha sete di stima. “ Questa lucerna,” disse il vescovo “rischiara malissimo”. La signora Magloire capì e andò a cercare nella stanza da letto di monsignore i due candelieri d’argento, che mise accesi sulla tavola. “ Voi siete buono, signor curato,” riprese l’uomo. “Non mi disprezzate, mi ricevete in casa vostra e accendete le vostre candele per me. Eppure non v’ho nascosto donde vengo, non v’ho nascosto che sono un disgraziato.” Il vescovo, seduto vicino a lui, gli toccò dolcemente la mano: “Potevate anche non dirmi chi eravate. Questa non è la mia casa, è la casa di Gesù Cristo; questa porta non chiede a colui che entra se abbia un nome, ma se abbia un dolore. Voi soffrite, avete fame e freddo: siate il benvenuto. E non state a ringraziarmi, non mi dite che vi ricevo in casa mia; poiché nessuno è qui in casa sua, se non colui che ha bisogno d’un asilo. Ve lo dico, a voi che passate, che qui voi siete in casa vostra più di me stesso. Tutto quello che è qui è vostro; che bisogno ho di sapere il vostro nome? Del resto, prima che me lo diceste, ne avevate già uno che conoscevo. L’uomo aperse due occhi stupiti. “ Davvero? Sapevate come mi chiamo?” “ Sì,” rispose il vescovo “vi chiamate mio fratello.” “ Guardate, signor curato!” esclamò l’uomo. “Quando sono entrato qui avevo tanta fame; ma siete così buono, che ora non so più cos’abbia. Mi è passata.” Il vescovo lo guardò e gli chiese: “Avete tanto sofferto?” “ Oh! Il camiciotto rosso, la palla al piede, una tavola per dormire; il caldo, il freddo, il lavoro, gli aguzzini, le bastonate! Per niente, la catena doppia; per una parola, la segreta; anche in letto, malato, la catena. I cani sono più fortunati. Diciannove anni! E ore ne ho quarantasei ed ho il passaporto giallo! Ecco!” “ È vero,” rispose il vescovo “voi uscite da un luogo di tristezza. Uditemi: vi sarà maggiore allegrezza in cielo per il viso lagrimoso di un peccatore che si ravvede, che per la bianca veste di cento giusti. Se uscite da quel doloroso luogo con pensieri d’odio e di collera contro gli uomini, siete degno di compassione; ma se ne uscite con pensieri di benevolenza, di dolcezza e di pace, siete più meritevole di ognuno di noi.” Intanto la signora Magloire aveva servito la cena: una minestra, fatta con acqua, olio, pane, sale e un poco di lardo, un pezzo di carne di montone, dei fichi, un cacio fresco e un grosso pane di segale. Di sua iniziativa, aveva aggiunto allo ordinario del vescovo una bottiglia di vino vecchio di Mauves. Il volto del vescovo assunse improvvisamente quell’espressione d’allegrezza delle nature ospitali: “A tavola!” disse con vivacità. Com’era sua abitudine, quando aveva forestieri a tavola, fece seder l’uomo alla sua destra e la signorina Baptistine, perfettamente tranquilla e naturale, prese posto alla sua sinistra. Poscia il vescovo disse il benedicite e servì egli stesso la minestra, secondo la sua abitudine; l’uomo si mise a mangiare avidamente. Ad un tratto il vescovo disse: “Mi sembra che manchi qualche cosa, su questa tavola.” Infatti, la signora Magloire aveva messo in tavola solo le tre posate assolutamente necessarie; ora, l’uso della casa voleva che, quando il vescovo aveva qualcuno a cena, venissero disposte sulla tavola le sei posate d’argento, innocente pompa. Quella graziosa apparenza di lusso era una specie di affascinante fanciullaggine, in quella casa dolce e severa, che elevava a dignità la povertà. La signora Magloire comprese l’osservazione ed uscì senza dir parola; un momento dopo le tre posate richieste dal vescovo scintillavano sulla tovaglia, simmetricamente allineate davanti a ciascuno dei tre convitati.
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