Miranda
Oh santa madre di Dio.
Il tipo del negozio aveva ragione. C’è un orso pazzo da paura là fuori.
Perché giuro su Dio che mi sta sorridendo in questo momento. Deve essere alto almeno due metri e mezzo, con intensi e intelligenti occhi gialli. Sembra che mi stia leggendo nel pensiero.
Mi batte forte il cuore, ma la logica ha il sopravvento. L’orso è fuori. Orso – il mio cane – e io siamo dentro. Appena me ne rendo conto, forse anche prima, le ginocchia iniziano a tremare per la pura bellezza dell’animale.
Non avevo mai visto dal vivo un orso. Certo, da dietro il vetro dello zoo sì, ma questa è tutta un’altra storia. Sto ammirando un orso nel suo habitat selvaggio.
“Ursus americanus. L’orso bruno americano,” dico con voce profonda e ironica come quella del narratore in un documentario sugli animali: è uno dei miei giochi preferiti. Uno scherzetto che ho sviluppato prima di laurearmi, giusto per ridere. “Così chiamato per la sua pelliccia scura, anche se il mantello dei vari esemplari può variare dal marrone al biondo.” E questo è assolutamente magnifico. È un orso bruno, ma ha le dimensioni di un grizzly. In salute, con una folta e lucida pelliccia scura.
Continuo a parlare al mio pubblico immaginario: “Nei mesi freddi, il metabolismo dell’orso rallenta al punto che l’animale può entrare in uno stato di sonno, noto come letargo. L’orso può conservare l’energia e superare la stagione quando il cibo scarseggia.”
Perché diavolo non è già in letargo? Abbiamo avuto qualche giorno più mite. Magari l’ha fatto uscire in anticipo dalla sua grotta.
Povero orso. Ingannato dalla natura.
Dio, spero che riesca a sopravvivere. Cosa troverà da mangiare, con i torrenti mezzi congelati e niente in fiore?
Beh, immagino che sia per questo motivo che sta girovagando attorno alla baita. Forse sente odore di cibo.
Ovviamente non posso dargli da mangiare. È un’idea terribilmente pericolosa, e insegna agli orsi ad associare gli umani al cibo, cosa che porta alle aggressioni da parte loro.
Magari potrei lasciare qualcosa fuori nei boschi, quando uscirò per la ricerca. Ma avrebbe comunque odore umano addosso. E ricordo che gli orsi hanno un odorato eccellente: trecento volte meglio di un cane, o qualcosa del genere.
Peccato che non si possano addestrare a cacciare o cercare. Magari troverebbero le donne scomparse.
L’orso piega la testa di lato, gli occhi fissi sui miei come se stesse tentando di leggermi nel pensiero. Un brivido mi percorre la pelle. Adesso capisco perché la gente del paese pensa che sia pazzo. C’è qualcosa di strabiliante in lui. Sembra quasi che abbia un’intelligenza umana.
“Ehi, colosso,” mormoro. “Sei bellissimo.” Orso smette di ringhiare, e mi imita. Si siede, ma tiene lo sguardo fisso sull’orso vero che sta fuori dalla finestra, le orecchie in avanti, le zampe posteriori piegate ma pronte a scattare in azione.
L’orso gigante mugola, appannando il vetro.
Sorrido. Non posso farne a meno. Mi sento davvero onorata di poter vedere una creatura così magnifica. Come spesso accade di fronte alla cruda natura, sono piena di stupore, sopraffatta dall’apprezzamento dell’incredibile bellezza e ampiezza di tutto ciò che questa Terra conserva.
È per questo che sono diventata un’ambientalista. E sono riconoscente ai momenti come questo, che me lo ricordano. È questo che devo pensare quando sono sopraffatta dal sessismo e dalla chiusura accademica.
Quando ero una laureanda, passavo l’estate come volontaria in Guatemala. Il mio lavoro consisteva nella costruzione di latrine. Mentre ero lì, una volta ho sentito il terremoto. Niente di grosso. Solo un tremore, o temblor, come lo chiamavano loro. Ma in quel momento mi sono sentita impotente. Mi sono resa conto di quanto gli esseri umani siano minuscoli e insignificanti di fronte alle forze della natura. Non mi ha spaventato. Mi ha umiliato. Ha rinvigorito il mio rispetto per la Madre Terra e tutti i suoi rappresentanti.
Non è saggio – non perché sia in pericolo, ma perché non dovrei permettere a quest’orso di mettersi a proprio agio attorno a degli umani – ma mi avvicino per guardarlo meglio. Per accontentare il mio stato di meraviglia.
L’orso mugola di nuovo ma non si muove. Avanzo lentamente, ammirando ogni dettaglio della bellissima creatura. Lo sguardo dorato, il colore marroncino attorno al naso.
“Ma quanto sei bello?” dico con voce affettuosa.
Giuro che l’orso sorride di nuovo, ma poi scende dal davanzale, scomparendo alla vista. Sfreccio alla finestra e guardo fuori, mentre si allontana correndo. È pazzesco quanta strada copra con poche falcate, le zampe potenti che mangiano terreno come se fosse suo.
E immagino che lo sia. Queste montagne dovrebbero essere degli orsi. Non dovrebbero venire continuamente cacciati dal loro habitat naturale, a causa della crescente corsa alla conquista del territorio.
Canticchio tra me e me, mentre lo vedo diventare sempre più piccolo e scomparire nella neve che cade e nell’avanzare del crepuscolo. C’è molta più neve di quanto pensassi: la app del meteo si è sbagliata.
Fortunata me. L’avvistamento di un orso bruno gigante. Non avevo mai visto l’animale simbolo del Nuovo Messico prima d’ora. Fuori dallo zoo, intendo. Anche solo per questo, è valsa la pena di intraprendere questo viaggio. Non che non ami venire in questa baita. Passare del tempo da sola nella natura è la cosa che preferisco, anche in inverno. Amo in un certo senso l’idea di una solitaria baita rustica in mezzo ai boschi. Ho fatto domanda per dei fondi a sostegno della ricerca sognando che il dipartimento mi lasci prendere i soldi e vivere quassù, a raccogliere e analizzare dati per settimane, o addirittura mesi per volta.
Da quando ci sono venuta in campeggio la prima volta da bambina, ho capito subito che questi posti selvaggi sono adatti a me. E sono finita con il fare il mio dottorato in ecologia, perché sono profondamente interessata alla natura e ho sviluppato la passione di proteggerla.
Se posso provare che il cambiamento climatico ha effetti sugli alberi, contribuirò ai movimenti ambientalismi di tutto il globo. È questo il vero motivo per cui sono qui, nel mezzo di una tempesta di neve, a fare ricerca. Non per provare qualcosa al dottor Alogore né per la gloria della pubblicazione. No: è tutto solo per il pianeta.
Sto lavorando sodo per fare la differenza, e credo che ce la farò.