IV.

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IV.Il lunedì, all’ora designata, eravamo pronti per accompagnare mia zia al manicomio. Se diffidasse del proprio giudizio o desiderasse il maggior numero di testimoni possibile all’atto che stava per compiere non so dirlo. Comunque sia, per prima cosa, ella invitò anche Hartrey e Fritz Keller ad accompagnarci. Tutti e due rifiutarono di venire: il capo reparto col pretesto del lavoro: c’era molta corrispondenza per l’estero da sbrigare. Fritz non trovò nessuna scusa, disse francamente la verità, con quel suo modo peculiare: «Ho orrore dei pazzi. Mi fanno paura e mi rattristano talmente che al momento di lasciarli mi sento pazzo quasi quanto loro. Non mi chiedete di venire, cara signora, ma date retta a me, non andate neppure voi». Mia zia sorrise con tristezza e uscì per prima. Avevamo un permesso d’ingresso all’ospedale, per cui il direttore era a nostra disposizione per farci visitare l’istituto. Egli ricevette mia zia con enorme cortesia e propose di mostrarci l’edificio nei suoi particolari, e di condurci poi in casa sua a far colazione. «Un’altra volta gradirò la vostra gentile offerta», rispose mia zia. «Per oggi il mio scopo è vedere una persona sola fra quelle rinchiuse qua dentro». «Una persona sola?», ripeté il direttore. «Forse qualche malato della classe distinta?» «No, desidero semplicemente vedere un pover’uomo abbandonato che è stato trovato per strada e mi hanno detto che è ricoverato sotto il nome di Jack Straw». Il direttore la guardò con vivo stupore. «Dio mio, signora, sapete che Jack Straw è uno degli alienati più pericolosi che abbiamo?» «Ho sentito dire infatti che passa per tale». «E tuttavia desiderate vederlo?» «Sono venuta qui esclusivamente per questo». Il direttore guardò il notaio e me; sembrava ci volesse domandare spiegazioni su questo desiderio incomprensibile di vedere Jack Straw. Il notaio rispose anche per me. Ricordò al direttore le particolari opinioni del defunto signor Wagner sul trattamento degli alienati e il suo interessamento per il malato in questione. Mia zia aggiunse: «La vedova del signor Wagner prova lo stesso interesse e ha ereditato le idee di suo marito». A queste parole, il direttore s’inchinò e si rassegnò. «Scusatemi se vi farò aspettare due o tre minuti», disse suonando un campanello. Un inserviente apparve sull’uscio. «Yarcombe e Fass sono in servizio nell’ala sud?», domandò il direttore. «Sì, signore». «Mandatemi immediatamente uno dei due». Aspettammo qualche minuto, poi una voce roca si udì dall’altro lato dell’uscio. «Eccomi, signore». Il direttore offrì cortesemente il braccio a mia zia. «Permettete che vi conduca da Jack Straw», disse con una leggera sfumatura d’ironia nella voce. Il notaio e io seguimmo mia zia e la sua scorta. Un uomo che aveva aspettato fuori dell’uscio camminava davanti a noi. Era Yarcombe o Fass? Poco importava; era soltanto una specie di bruto dall’aria selvaggia e arcigna. «È uno dei nostri aiutanti», disse il direttore indicandocelo. «È facile che ce ne occorrano due se vogliamo che tutto proceda bene durante la vostra visita a Jack Straw». Salimmo una scala separata dal pianterreno da una porta massiccia, chiusa da parecchi catenacci. Attraversammo alcuni corridoi tetri, protetti da altre porte robuste. Grida di rabbia e di dolore, a volte lontane altre vicine, frammiste a rumorosi scoppi di risa, più terribili delle grida, risuonavano attorno a noi. Oltrepassammo un’altra porta, più solida delle altre, che richiudendosi soffocò quei terribili clamori e ci trovammo in una piccola sala circolare. Il direttore si fermò; regnava un silenzio di morte. Egli fece cenno al guardiano indicandogli una porta di quercia guarnita di chiodi: «Guardate», disse. L’uomo spinse uno spioncino praticato nella porta e guardò attraverso le sbarre dell’apertura. «Dorme o è sveglio?», domandò il direttore. «È sveglio». «Lavora?» «Sì, signore». Il direttore si rivolse a mia zia. «Siete fortunata, signora, potrete vederlo in un momento di calma. Si diverte a fare cappelli, panieri e altri oggetti in paglia, abilmente intrecciata. Da questo è venuto il suo soprannome1. Volete che apriamo la porta?» Mia zia divenne pallidissima; vidi che lottava contro una violenta emozione. «Vi domando un minuto o due», disse; «ho bisogno di essere completamente padrona di me stessa, prima di vederlo». Si sedette su una panca di pietra vicino alla porta. «Raccontatemi quello che sapete di quel pover’uomo» disse. «Non è una semplice curiosità che mi guida, ma ho un vero motivo per interessarmene. È giovane o vecchio?» «A giudicare dai denti», rispose il direttore come se si trattasse di un cavallo, «è giovane, ma il suo colorito è plumbeo e i suoi capelli sono grigi. Stando a quel che dice nei momenti in cui è disposto a raccontare qualche cosa, il suo stato è dovuto a un avvelenamento da cui è stato salvato per miracolo. Non si è potuto sapere come e quando abbia avuto luogo l’incidente; non può o non vuole dirlo. Parla inglese con una strana pronuncia tanto che non possiamo dire se è straniero o no. È qui, in via eccezionale, perché questa è un’istituzione regia dove, secondo i nostri regolamenti, dovremmo accettare solo alienati appartenenti alle classi superiori. Jack ha avuto una fortuna straordinaria: troppo pazzo, forse, per preoccuparsi della propria persona, fu investito in una via qua vicino dalla vettura di un’alta personalità che sarebbe indiscreto nominare. Questa persona, una donna illustre, fu così afflitta dall’incidente, benché l’uomo non avesse riportato gravi ferite, che lo fece condurre qui, nella sua carrozza, e ci diede ordine di riceverlo. Ah, signora Wagner, il cuore della nobildonna è degno del suo rango. Ogni giorno manda a prender notizie del pazzo che è finito sotto le sue ruote. Non le diciamo quale fonte di noie e di spese egli sia per noi. Abbiamo dovuto inventare dei ferri speciali per domarlo e, se non mi sbaglio», disse il direttore, voltandosi verso l’assistente, «una frusta speciale per lui proprio la scorsa settimana». Il guardiano si mise la mano nella larga tasca della tunica e ne tolse un’orribile frusta con molteplici cinghie ed esibì quello strumento di tortura con aria di soddisfazione e di orgoglio. «Questo è quello che serve a tenerlo a bada», disse il bruto soddisfatto; «prendetela in mano». Mia zia balzò in piedi; era così indignata che credo avrebbe preso la frusta per adoperarla sulle spalle di quell’uomo se il direttore non lo avesse respinto. «È un inserviente zelante», disse sorridendo; «vogliate scusarlo, signora». Mia zia indicò la porta della cella. «Aprite», disse; «fatemi vedere qualsiasi cosa, ma non voglio più vedere questo mostro». La fermezza del suo tono stupì il direttore. Egli non poteva immaginare la forza di volontà di cui ella era capace e che la vista della frusta aveva risvegliato. Il pallore era scomparso dal suo viso; ella non tremava più; i suoi begli occhi azzurri erano fermi e scintillanti. «Quell’uomo l’ha irritata», mi disse sottovoce il notaio, guardando l’assistente; «nulla potrà trattenerla, David; ora farà quel che vorrà». 1 Straw, in inglese “paglia”(NdT)
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