Il bacio d'una morta

Il bacio d'una morta

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Trafiletto

All"origine del romanzo d"appendice

Carolina Invernizio scrisse più di cento romanzi e tra questi Il bacio di una morta occupa un posto prevalente. La Invernizio fu protagonista del romanzo "d"appendice" diventandone maestra indiscussa per la sua capacità di avvolgere i lettori negli intrecci, spesso torbidi e morbosi, che venivano narrati e che rappresentavano la prosecuzione narrativa della parte giornalistica di fatti di cronaca e resoconti giudiziari. Il romanzo della Invernizio è capace di soddisfare le attese di un pubblico in cerca di svago e di compensazioni emotive, riuscendo a plasmare personaggi ben riconoscibili nei loro tratti caratterizzanti. L"interesse verso questo romanzo, e la sua autrice, deriva dal grande impatto suggestivo che ha l"immagine della "sepolta viva", che potrebbe essere oggi interpretata come il simbolo dei fantasmi e delle paure che abitano in ognuno di noi. Così come le vicissitudini che compongono l"intreccio del romanzo: misteriose tortuosità dell"inconscio, fino al limite di un sadismo compensativo di una realtà sessuale repressa e negata. Le vicende di Clara e della sua famiglia, la sua vita famigliare così come la sopraggiunta e misteriosa morte, con epilogo clamoroso, vengono composte in una narrazione che non sarà indifferente nemmeno al lettore contemporaneo, ritrovando trame, personaggi e situazioni psicologiche quanto mai attuali ed inquietanti.

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La morte che risana
La morte che risana di Cristina Tagliaferri Carolina Invernizio (Voghera, 1851 - Cuneo, 1916) divenne celebre con i suoi oltre cento romanzi d’appendice, sul modello del feuilleton francese. Particolarmente apprezzata dal pubblico del tempo – specialmente quello femminile di estrazione proletaria e piccolo-borghese – ma assai meno stimata dalla critica, la sua narrativa è stata rivalutata solo negli ultimi decenni alla luce di nuove metodologie interpretative, come la Sociologia della letteratura e la Semiologia, riconoscendovi in essa il primo vero esempio di produzione letteraria di consumo e di massa in Italia. Capace di soddisfare le attese di un pubblico in cerca di svago e di compensazioni emotive, miscelando ingredienti volti a garantire l’efficacia del racconto, la Invernizio riuscì a plasmare personaggi ben riconoscibili nei loro tratti caratterizzanti, dove il tema dominante, in un orizzonte di senso, è l’eterna lotta fra il bene e il male, declinato nelle sue diverse manifestazioni: il ‘tradimento’, l’arte pericolosa della ‘seduzione’, il motivo riparatore della ‘espiazione’, il problema della ‘giustizia’ collegato alla tensione per la ‘vendetta’, nonché l’ossessione per la ‘morte’, di cui risentì la stessa scrittrice. Al centro della sue opere è l’ideologia della famiglia, i cui valori vengono inizialmente infranti e negati a causa dell’adulterio. In relazione a esso, si colloca il tema dei trovatelli (figli della ‘colpa’ e del ‘peccato’), la cui condizione è alla fine sanata dalla ricomposizione del nucleo familiare o dal riconoscimento dei diritti in precedenza negati. L’interesse morboso per le vicende più deplorevoli è legato alla pratica del tempo di pubblicare sui quotidiani che ospitavano i romanzi a puntate (le famose ‘appendici’, da cui la locuzione ‘romanzo d’appendice’), rubriche di cronaca nera e resoconti giudiziari. Le opere della Invernizio costituiscono la prosecuzione narrativa della parte giornalistica, sfruttando e lusingando allo stesso tempo i preconcetti dichiarati e i tabu o i desideri inconfessati e repressi di larghi strati sociali a cui quella pubblicistica era destinata. Ripetitivo, nell’insieme, il repertorio tematico ma vario in quanto a soluzioni proposte sul piano dell’intreccio, così da disporre a regola d’arte i motivi organizzatori su cui si regge l’impalcatura romanzesca, secondo la tecnica della suspense volta a mantenere desta la curiosità del lettore. Garanzia di scelta e di lettura sono, come per altri simili autori (ricordiamo fra tutti il vero maestro del genere, Eugène Sue, e in Italia, insieme alla Invernizio, Francesco Mastriani, Luigi Natoli ed Emilio Salgari), gli stessi titoli dei romanzi, nell’intento di assicurare, dopo il primo successo, la continuità dell’opera: è il caso de Il bacio di una morta (1886) seguìto da La vendetta di una pazza (1894), che nella stesura originale erano parte di un unico libro. Tanto più che quella sorta di ‘alleanza / legame’ con le signore in cerca di brividi è sancito sub limine fin dall’inizio, per mezzo di un registro linguistico colloquiale e diretto: «Se qualcuna delle mie lettrici ha visitato un cimitero di notte, sa quale triste e funebre impressione se ne riceve»… (Parte prima, cap. III) Il bacio di una morta, ambientata in parte nei dintorni di Firenze, in parte a Parigi, racconta la vicenda della contessa Clara, sposatasi col conte Guido Rambaldi e madre della piccola Lilia. In seguito a un’inquietante sua lettera inviata al fratello Alfonso, viene raggiunta da questi insieme alla sposa andalusa Ines. Con grande stupore però, al suo arrivo egli apprende che la sorella è spirata due giorni prima; il conte invece è scappato insieme alla figlia. Alla villa ci sono solo i domestici che informano il giovane sul fatto che Clara, non ancora interrata, lo sarà la mattina seguente. Nell’intento di porgerle l’ultimo saluto, Alfonso convince il becchino ad aprire la bara. Per mezzo di un magistrale colpo di scena, la defunta reagisce al bacio. Riacquistata la salute, la donna può finalmente raccontare la sua terribile disavventura, legata a un tradimento del marito e all’irruzione, nella vita di lui, di una femmina perfida e seduttiva, la bella Nara. Ricalcando la struttura tipica del feuilleton, dopo l’avvio in medias res, le storie di Clara e di Nara (creatura angelica e creatura diabolica – un motivo già recepito dalla Scapigliatura – divenute cliché ricorrenti all’interno della produzione di consumo) sono introdotte mediante la tecnica dell’incastro, del ‘racconto dentro al racconto’, impiegando il meccanismo della digressione (Parte seconda, Il romanzo di Clara; all’interno del quale – nel cap. XI – viene presentata, con una nuova digressione, la figura di Nara). La narrazione viene cioè interrotta inserendo al suo interno vicende parzialmente autonome, ma convergenti nella trama principale. Nel tessere il filo degli avvenimenti, incoraggiando l’attenzione dei lettori, la scrittrice ricorre a interventi anticipatori (o esplicativi: «Che cosa era avvenuto?», fine cap. XII) di questo tipo: Ella chinò alquanto il capo; quindi […] cominciò la sua narrazione, che noi racconteremo senza le interruzioni, che lo stato di debolezza della contessa rendeva indispensabili, completandola con la storia della giovinezza di Clara e Alfonso, intrecciata da tanti episodî drammatici e commoventi. (Parte prima, fine cap. VII) Attraverso i frequenti spostamenti cronologici e spaziali, il romanzo d’appendice valorizza strategicamente i capovolgimenti imprevisti, gli indizi e i presentimenti, che tendono a presentare la vicenda come mossa dalle leggi della ‘fatalità’ e del ‘destino’. In questo riveste un ruolo fondamentale il meccanismo dell’‘agnizione’ (precorrendo il genere giallo), basato sul riconoscimento improvviso dell’identità di un personaggio, a seguito di scambi di persona o di travestimenti, sciogliendo i ‘nodi’ dell’intreccio. Così, nel Bacio di una morta, l’apparizione al colpevole conte Rambaldi della Dama Nera, sotto le cui mentite spoglie si nasconde la sventurata moglie, creduta ormai morta: Guido gettò uno sguardo distratto nella vettura, mentre gli passava dinanzi, ma poco mancò non mandasse un grido e non cadesse di sella. In quella carrozza era seduta una giovane signora, vestita completamente a lutto, e senza i capelli nerissimi di lei, Guido avrebbe creduto di trovarsi dinanzi sua moglie. Era lo stesso viso di una bianchezza marmorea, di un ovale fino e regolare: erano gli stessi occhi dallo sguardo dolce, melanconico, pensoso; la stessa bocca rosea, soave. La visione era passata come un lampo. Quando Guido si riscosse, si ritrovò solo nel viale: la carrozza era sparita. (Parte terza, cap. IV) È la voce narrante a guidare man mano le lettrici (concepite, più che come interlocutrici, come ricettrici passive di quanto viene loro proposto) nella comprensione degli avvenimenti, dopo avere provocato la giusta dose di suspense, così da rendere l’opera letteraria del tutto consolatoria e priva di qualsivoglia polisemia e problematicità (un aspetto ravvisato da Umberto Eco nell’ambito della nota distinzione fra opera ‘aperta’ e opera ‘chiusa’). L’unica possibilità consentita è cioè quella di identificarsi in toto nella fictio letteraria, schierandosi dalla parte dei ̒buoni᾽ per condannare le azioni dei ̒cattivi᾽, senza per questo sottrarsi al fascino perverso del male: La contessa Rambaldi, seguendo il consiglio del notaro, aveva trasformata la sua figura, e aveva assunta un’aria di mistero, che doveva colpire la fantasia di quanti l’avvicinavano. Un’ammirabile capigliatura d’ebano aggiungeva una malìa nuova, un nuovo incanto ai suoi lineamenti delicati, alla sua carnagione da bionda. Si era tinta di nero le ciglia e le sopracciglia, ma non aveva potuto trasformare la dolcezza dello sguardo, il mesto sorriso. […] Essa era bellissima, ma di una bellezza strana, che dava da pensare. Il notaro le aveva detto che bisognava tentare col conte la via della seduzione. Clara ne avrebbe avuta la forza? Avrebbe saputo sostener bene la sua parte? Si, perché pensava a sua figlia, che voleva ricuperare, salvare. E nello stesso tempo, vi era un intimo desiderio di ricondurre a lei, che pure doveva ricordargli la morta, quell’uomo che l’aveva negletta e disprezzata, per una femmina ignobile come Nara. (Parte terza, cap. V) È evidente come alla distinzione moralistica corrisponde un’altrettanta differenziazione sul piano fisico: nel caso di Clara, biondo angelo del focolare, casta e virtuosa, la trasformazione con quei capelli «d’ebano» e insieme la sua acquisita seduttività sono giustificate e accettate unicamente in virtù di un fine superiore. Al contrario della ballerina Nara, naturalmente malvagia e senza scrupoli: «una giavanese dagli occhi nerissimi, dal volto abbronzato, dalle labbra frementi di passione, la cui potenza di attrazione si diceva irresistibile» (Parte seconda, cap. IX). Un altro espediente sfruttato dalla letteratura di consumo, è quello, di sicuro effetto, della ‘lettera rivelatrice’, capace di suggerire nuovi sviluppi nel corso di passaggi cruciali per l’evolversi della vicenda. Nel Bacio di una morta la troviamo nel momento in cui Nemmo svela a Clara il mistero custodito dalla madre morente, rivelandole l’esistenza del fratello; un’altra lettera è quella indirizzata da Alfonso alla sorella, equivocata da Nara e abilmente sottoposta alle considerazioni di Guido, generando il proposito di avvelenare la moglie; oppure quella in cui la Dama Nera, portando a termine lo stratagemma ideato per riprendersi la figlia, presagisce per il conte «prove durissime» e «pericoli immensi», fra cui il disonore. Ma vi è spazio anche per la redenzione e il perdono, quando al culmine della vicenda, nel corso del processo per l’omicidio della consorte, l’indiziato vede apparire «una signora tutta vestita di nero, con un velo talmente fitto in viso, che sarebbe stato impossibile di riconoscerla» (Parte terza, cap. IX)… «Sono la contessa Clara Rambaldi!» – risponde ella ad alta voce. (ivi) E non per accusare il marito, ma per testimoniare davanti a tutti la sua innocenza. Nell’epilogo, infatti, a vincere è la ricomposizione del nucleo familiare, così che l’adulterio e gli impulsi più abietti risultano funzionali al definitivo trionfo del ̒bene᾽, secondo la morale borghese del tempo, di cui questa ̒occulta᾽ ed immediata azione educativa è espressione. Di grande impatto suggestivo, l’immagine della ̒sepolta viva᾽ potrebbe essere ancora oggi interpretata come il simbolo dei fantasmi e delle paure che abitano in ognuno di noi. Così come le vicissitudini che compongono l’intreccio del romanzo: misteriose tortuosità dell’inconscio, fino al limite di un sadismo compensativo di una realtà sessuale repressa e negata, soppiantata da teneri e ambigui legami tra congiunti (Clara e Alfonso) o tra donne (Ines e Clara). PARTE PRIMA La morta viva

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